nato a Bassano del Grappa (Italia) il 21 luglio 1924, morto a Roma – UPS il 10 settembre 1991, a 67 anni e 49 di professione.
La mattina dello scorso 10 settembre stava andando alla recita di Lodi in apertura del secondo giorno degli esercizi spirituali, quando stramazzò a terra privo di sensi. Soccorso immediatamente, dato lo stato in cui versava gli venne impartita l’assoluzione e amministrata l’unzione degli infermi, mentre si attendeva l’arrivo dell’ambulanza per portarlo al policlinico Umberto I. Là giunto, dopo pochi minuti spirava. L’esame medico accertò che la causa del decesso era stata un’embolia polmonare. Iniziammo subito i suffragi per lui, che furono molto favoriti dal clima degli esercizi in svolgimento.
Il corso della vita di Francesco Milani fu lineare, come lineare fu sempre la sua condotta. Visse in famiglia fino a 11 anni. Poi venne da Don Bosco, e la sua formazione si protrasse fino ai suoi 23 anni. Altri 23 ne trascorse in Argentina, come educatore salesiano. Gli ultimi 21 li passò di nuovo in patria. Era nato il 21 luglio 1924 a Bassano del Grappa da Giovanni e Giovanna Simonetto, terzogenito di una famiglia numerosa e di solida pratica cristiana: un ambiente che certo favorì lo sbocciare della sua vocazione. Entrò giovanissimo nel nostro collegio di Este, e al termine dell’anno fu consigliato di andare alla scuola agricola di Cumiana, dove frequentò i corsi di tecnica agraria.
Fece il noviziato nel 1941-1942 a Villa Moglia, in piena guerra. Subito dopo la professione fu associato al gruppo di giovani confratelli destinati a fare il magistero grafico nell’incipiente istituto «Bernardi Semeria» ai Becchi di Castelnuovo (ora Colle Don Bosco). Vi rimase 5 anni e si specializzò come linotipista. Un confratello del Colle, allora aspirante, lo ricorda «esemplare e molto impegnato nelle sue cose, molto attivo e di costituzione forte»; e aggiunge che «molte volte il direttore lo aveva incaricato di commissioni difficili». Ciò è convalidato da altri testimoni. Si deve pensare alle condizioni degli anni 1943-1945, tempo di occupazione e di guerra partigiana, con i trasporti praticamente inesistenti e con tanta fame e paura. Le «commissioni difficili», specie se destinate a località distanti, non potevano essere espletate se non con l’ausilio della bicicletta, e comportavano fatiche e pericoli non lievi. Sono dunque prova della fiducia dei superiori nella sua capacità, fidatezza e coraggio; e senza dubbio contribuirono ad aprirlo alla disponibilità verso gli altri che fu sua caratteristica costante. Una chiara conferma di questa fiducia si ha da un episodio riferito dal medesimo confratello, confermato da vari altri e di cui lo stesso protagonista parlava qualche volta. Quando i bombardamenti alleati su Torino indussero a mettere al sicuro le reliquie dei nostri Santi, e degli altri, conservate nelle chiese della città, si pensò al Colle. E lo stesso Rettor Maggiore Don Pietro Ricaldone, volle controllare la loro collocazione nella sagrestia del Santuario di Maria Ausiliatrice che è presso la casa natale di Don Bosco. Il citato confratello scrive che, terminata la riposizione, e alla presenza del direttore della casa, «Don Ricaldone consegnò non al direttore, ma a lui, Francesco, le chiavi della sagrestia ove erano le nostre più preziose reliquie. Ed egli fu fedele a tale consegna fino al 13 maggio 1945, quando con solenne corteo furono riportate a Torino». Due anni più tardi, nel 1947, Francesco venne mandato in Argentina.
Fu incardinato nell’ispettoria di Buenos Aires e destinato alla scuola «Juan S. Fernandez» di San Isidro. Come capo laboratorio collaborò all’organizzazione della scuola grafica e vi lavorò per 9 anni. All’occupazione principale ne affiancò altre nella zona, spostandosi sulle lunghe distanze con la fida moto, di cui gli rimase sempre la nostalgia. Nel 1956 fu mandato a La Plata, istituto «San Miguel», con analoga incombenza. Restò là anche quando fu erètta l’ispettoria di La Plata. Nel 1967 fu destinato alla «Editorial Don Bosco» di Buenos Aires; e prima del suo rientro in Italia, nel 1970, trascorse un periodo anche alla «Editorial Don Bosco» di Cuenca, Ecuador. Degli anni passati m America Latina gli restò un ricordo indelebile. Nominava spesso superiori e confratelli, ma specialmente i numerosi e affezionati exallievi. Quando riceveva una loro visita, era una festa di ricordi. Un particolare rivela in qual misura l’Argentina gli fosse entrata nella mente e nel cuore: se voleva esprimersi con efficacia e vivezza, non gli venivano in bocca detti nostri, ma modi di dire e proverbi spagnoli, quando non addirittura espressioni «criolle».
In Italia fu alla Elle Di Ci di Leumann, all’ufficio viaggi di Valdocco, e poi alla nuova casa generalizia di via della Pisana in Roma, dove, durante il Capitolo Generale Speciale e nei mesi successivi, fu incaricato dell’ufficio fotocopie. Con l’identico compito venne qui il 27 settembre 1973. E fu l’ultima sua destinazione. Iniziò a lavorare con un semplice ciclostile, ma ben presto venne attrezzato in modo più consono alla mole del lavoro e alle necessità dell’istituzione che andava dilatandosi. Fedele in maniera assoluta al suo orario di lavoro, rapido nell’esecuzione e preciso nella contabilità, fu un preziosissimo sussidio per noie per i superiori nostri e delle FMA, specialmente durante i Capitoli Generali e in occasione di convegni o riunioni. Continuò anche qui la pratica di aggiungere al suo incarico fondamentale altre occupazioni, soprattutto d’indole tecnica, un’area per la quale aveva inclinazione e attitudini non ordinarie, pur essendosi, come si dice, «fatto da sé». Era abile nella riparazione di apparecchiature elettriche ed elettroniche, ma specialmente nel rimettere in sesto orologi di ogni tipo. Una cosa che aborriva era l’ozio. Si può giustamente dire di lui che, come Don Bosco, faceva consistere il riposo nel cambio di occupazione. Non prendeva vacanze vere, limitandosi alla visita ai familiari e rinunciando talora anche ad essa. Passava l’estate qui, sempre attivo, anche quando, nel mese di agosto, l’ufficio fotocopie rimane chiuso.
Per un profilo spirituale del Nostro, dobbiamo affidarci alla familiarità avuta con lui in 18 anni di vita in comune. Per parte sua, riservato in morte come invita su quello che era il suo «privato», non ci ha lasciato nemmeno una riga su sé stesso o sui suoi sentimenti e aspirazioni. Possiamo dirne qualcosa, da tre prospettive principali:
– Dal punto di vista umano era dotato di spiccate capacità pratiche e di grande spirito d’iniziativa e versatilità, qualità sostenute e amalgamate da una notevole apertura comunicativa. Questa a prima vista si sarebbe detta in contrasto con il suo esteriore, non di rado sbrigativo e senza complimenti. Ma dietro ad esso emergeva una forte disponibilità a rendersi utile.
– Dal punto di vista cristiano e religioso mostrava una solidità senza fronzoli, una semplicità sostanziosa e schietta, nella vita di preghiera e nella pratica sacramentale. Arrivava sempre con buon anticipo alla meditazione del mattino e alla preghiera vespertina, per avere un ampio spazio di raccoglimento personale di fronte al Santissimo Sacramento.
– Dal punto di vista della salesianità rivelava un convinto attaccamento alla Congregazione e alla comunità, cioè ai superiori e ai confratelli, e l’esternava tanto nella lealtà e cordialità, quanto nella chiara e diretta denuncia, fatta con la sua tipica immediatezza e sincerità, di ciò che stimava errato. Un tratto singolare a questo riguardo ci è stato comunicato dal cugino, Mons. Giuseppe Lazzarotto, Consigliere di Nunziatura presso la Segreteria di Stato, che lo frequentava molto sovente, e attesta di non aver sentito da lui mai nessun rilievo critico che toccasse qualche superiore o confratello. E aveva inoltre un senso spiccato dell’assistenza. È un tratto che merita speciale attenzione, perché rivela un aspetto pedagogico e apostolico di rilievo, uno stile di presenza che lo legava seriamente a quanti gli erano in qualsiasi modo affidati: a noi, agli studenti, agli esterni e in misura del tutto particolare ai congiunti. Dell’assistente salesiano aveva l’occhio ed il cuore, o, diremmo, l’istinto. Pur attendendo al suo compito in laboratorio o in ufficio, non perdeva mai di vista il cortile antistante, nel quale giocavano gli oratoriani o si allenavano gli sportivi. Nei giorni domenicali e festivi, quando la parrocchia usa la nostra chiesa maggiore, trascorreva nell’atrio dell’Università tutte le ore in cui vi sostavano i fedeli, attento che non si producessero inconvenienti. Aveva per tutti un saluto o una parola. Conosceva personalmente molta gente ed era legato da amicizia con non poche famiglie, sempre attento ad accogliere tutti con il sorriso, il motto di spirito, la domanda che ne mostrava l’interessamento. Così si comportava con gli studenti, anche quando gli sembrasse necessario muover loro qualche osservazione o richiamo. Ma non si alienava gli animi, anzi era oggetto di stima e divero affetto, come mostrò l’impatto traumatico che la sua morte ebbe su molti di loro e la partecipazione corale alle sue esequie, nonostante il tempo estivo e la giornata lavorativa. Per i suoi familiari, poi, dei quali, dopo la morte del fratello, perito in guerra, e della sorella, maggiori di lui, era rimasto il più anziano, era diventato una specie di centro morale. A lui si rivolgevano in particolare i numerosi nipoti, ai quali riservava un’accoglienza festosa e prestava ogni attenzione, con un interessamento che diventava al tempo giusto appoggio e consiglio. Scrive una sua sorella: «Anche se fisicamente Francesco non c’è più, ha lasciato molto di sé dentro ognuno di noi. Ha fatto un buon lavoro, come sempre». E una delle nipoti: «Non trovo le parole per esprimere bene il vuoto che ha lasciato … La sua disponibilitàe il suo interessamento, qualunque fosse la nostra richiesta, era un faro di riferimento che rassicurava. La sua vita morale e religiosa era, ed è ancora più adesso, un solido modello proprio per la sua semplice fermezza».
Il funerale, svoltosi qui la mattina del 12 settembre, fu presieduto dal Superiore della Visitatoria, Don Paolo Natali, assistito dal Consigliere Generale per la Formazione, Don Giuseppe Nicolussi e dal direttore della comunità. Concelebrarono l’Eucaristia numerosi sacerdoti, primo tra loro il cugino Mons. Giuseppe Lazzarotto. Insieme al fratello e alle quattro sorelle, presenziava Sua Em. il Signor Cardinale Antonio M. Javierre Ortas, già nostro Rettore, grande estimatore ed amico del Defunto. Numerose erano la rappresentanze di confratelli e consorelle accorsi sia dalle due case generalizie sia dalle altre comunità delle Ispettorie Romane. C’erano, ovviamente, le FMA che lavorano per le nostre comunità e le Figlie dei SS. Cuori addette all’infermeria, oltre a un gran numero di studenti e di parrocchiani. All’omelia il direttore, commentando le letture della liturgia, toccò alcuni tratti della figura del Signor Milani: uomo giusto, affidato alla speranza cristiana e associato alla Madre di Gesù e al suo Discepolo sotto la Croce. Prima della conclusione del rito il Prorettore dell’Università, Don Angelo Amato, rivolse calde parole di saluto e di ringraziamento, a nome dei docenti e degli studenti, al Confratello che ci ha lasciati; il direttore aggiunse l’espressione del grazie comune, e Mons. Lazzarotto di quello della famiglia, a tutti coloro che avevano voluto essere presenti. La salma venne quindi avviata a Bassano, per volontà del congiunti, dove il giorno seguente, dopo un altro rito funebre svoltosi nella parrocchia di Santa Croce, fu tumulata accanto a quelle dei genitori.
È nostro dovere molto sentito esternare nuovamente la nostra viva riconoscenza a quanti hanno condiviso il nostro lutto. Il ricordo di Francesco Milani, fratello ed amico, rimane vivissimo tra noi.
Sac. Nicolò Maria Loss, sdb Direttore