Miglino Mario

 

Qualche tratto biografico e di cronaca del coadiutore salesiano, ingegnere elettronico, Mario Miglino, nato il 4 maggio del 1942 e morto il 17 ottobre del 2002.


 “A 17 anni ho preso in mano la mia vita”, raccontava Mario Miglino. Da allora, mai un ripensamento, una sbandata, una diversione; ha continuato a viaggiare diritto verso la pienezza della sua realizzazione come uomo, come insegnante, come salesiano, i tre pilastri della sua vita, solidi, sicuri, credibili che hanno sostenuto una costruzione dalle dinamiche inconfondibili. Brescia ha goduto più di altre case della sua presenza, della sua competenza e della sua umanità…  Miglino è rimpianto da persone e istituzioni. Mai nessuno come lui, giura convinto un suo exallievo quarantenne, era energico e gentile, docente e amico, esigente e affettuoso, preciso e indulgente… Mario merita appieno questo elogio. Era ordinario per lui essere straordinario, tanto che nemmeno se ne accorgeva. Ma se ne accorgevano gli altri. Diceva: “Le mie giornate sono popolate da tanti visi di ragazzi e giovani… che abbiamo servito al modo di Don Bosco”. Il plurale non era maiestatis, non era cioè riferito a sé ma alla comunità salesiana di cui faceva parte e agli insegnanti con i quali si sentiva in sintonia tale, da formare un insieme educativo.  “Mi hanno contagiato”, diceva dei suoi alunni.

PROFESSIONALITÀ SÌ MA…

La scuola per Mario era il luogo del suo apostolato come salesiano, oltre che della sua professionalità come ingegnere. Lì poteva “servire” i suoi giovani, lì rafforzava la sua passione di educatore. Questa completezza umano/religiosa lo aveva condotto per ben due volte a rappresentare l’ispettoria lombarda al Capitolo Generale. Egli “respirava” la sua vocazione… Mi disse, infatti, il giorno che riuscii a intervistarlo: “Vedi, io respiro la congregazione non la casa, la scuola non l’aula, l’educazione non l’elettronica. Capisci?”. Capivo, eccome. E quando tentai l’affondo sulla sua professionalità: “Beh, Mario, so che sei andato in Ecuador ad aggiornare in elettronica, non in pedagogia (e sottolineai l’inciso), i professori delle nostre scuole tecniche…”, non mi lasciò finire: “Sbagliato! Ho fatto prima il salesiano, poi l’educatore, poi anche l’ingegnere”. “Ma come fai a tenere insieme la tua qualifica un po’ arida con la tua vocazione di salesiano coadiutore? A scuola, intendo dire…”. “No, che non è difficile! Io non ho mai fatto scuola come ingegnere ma come coadiutore, mai come professore ma come amico ed educatore. Andavo in classe ogni mattina con questa mentalità”. Era già molto ammalato il giorno in cui andai a cercarlo per l’intervista. Mi ricevette dopo pranzo nella sua modesta cameretta, seduto in una vecchia poltrona, raccolto nel silenzio della controra. “Allora… come va, caro ingegnere”. “Prima di tutto sono Mario. Così mi hanno chiamato i miei. I titoli è meglio tenerli chiusi, perché… – una pausa – allontanano dal Vangelo! Dunque, mi hai chiesto come va? Va bene! Perché mai dovrebbe andar male?”. Accidenti al mestiere, quando trovi gente di questo spessore, pensavo. Mi aveva spiazzato. Non sapevo come interloquire. Perché lui conosceva bene le sue condizioni di salute e sapeva che le conoscevo anch’io. Per chi sa vivere la vita come un dono e una missione, essa è “bella” (l’aggettivo è suo), anche quando sai che sta irrimediabilmente fuggendo da te e non c’è modo di richiamarla indietro. “Miglino ha il baricentro spostato verso l’alto in pianta stabile!”, mi aveva anticipato un salesiano della comunità prima che mi avviassi verso la sua camera. Non so come si configuri l’equilibrio in un corpo ormai prostrato, ma mi sono accorto che quell’uomo lì, che tutti mi avevano detto avere pochi mesi di vita, mi appariva di un equilibrio superiore.

COADIUTORE È BELLO

Era innamorato della sua specificità vocazionale. “Senza coadiutori non c’è congregazione”, mi diceva sicuro. Tentai con un pizzico di sarcasmo in verità un po’ maldestro: “Guarda, Mario, che… siete una razza in estinzione voi coadiutori”. “E tu prega che succeda qualche miracolo, se no Don Bosco sarà costretto a dare l’addio al suo capolavoro…”. “I coadiutori?”. “No, la congregazione”. “La congregazione?”. “Ascolta, caro giornalista dei miei stivali – a cui voglio bene perché è il direttore della nostra più cara rivista – tu hai detto prima, quando eravamo a pranzo, che era urgente rilanciare la figura del coadiutore e che anche per questo stavi portando avanti una rubrica sul BS riguardante noi. Bene! È una benedizione. Ma…”. “C’è un ma? Non sei d’accordo su un rilancio della figura del coadiutore?”. Immediata e sicura la risposta, come fosse il risultato di una lunga riflessione pregressa: “No!”.  “Perché no?”. “È la congregazione che deve rilanciarsi, caro mio, non il coadiutore. Noi non siamo un pezzo della congregazione, siamo un tutt’uno con essa. Non siamo un’aggiunta strumentale ma un valore carismatico essenziale. Perciò scrivi sui coadiutori, te ne saremo riconoscenti, ma per rilanciare la congregazione, non per rilanciare i coadiutori, hai capito?”. Avevo capito.

L’ULTIMA TAPPA

Qualunque cosa ti possa capitare non ti darà danno, perché io sono il Signore il tuo salvatore (Is 43,1-3). Queste le parole che l’hanno sostenuto quando, inaspettata, è arrivata la malattia che ha accompagnato l’ultimo tratto del suo cammino. Sapeva di “essere arrivato all’ultima stazione e di dover ormai scendere dal treno”, perciò decise di regalare ai giovani il suo estremo tribolato tratto di strada, perché potessero trovare la loro e con coraggio percorrerla tutta… La sfida della sua vita l’ha espressa nelle parole scritte ai confratelli quando già sapeva del male: coniugare l’elettronica con l’amore di Dio, salvaguardando il primato del Signore e l’autonomia legittima, relativa delle realtà culturali, professionali e civili.  Mi disse congedandomi: “Ho studiato elettronica come i miei compagni chierici studiavano teologia: per la missione, per diventare esperto in relazioni umane prima che in elettronica, per percorrere con i miei alunni la via dell’educazione piuttosto che quella della cultura”. Così è morto Mario Miglino. A 60 anni.

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