[[image file=”smantarro.jpg” alt=”Santi Mantarro” title=”Santi Mantarro” align=”right” ]](1890-1971)
(cfr. Stefano Ferrando, Coadiutore Santi Mantarro in E. Valentini (a cura di) Profili di missionari Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice, Roma, LAS, 1975, p. 543-547).
n. a Casalvecchio Siculo (Italia) il 28 marzo 1890; prof. a San Gregorio di Catania il 28 aprile 1920; m. a Shillong (India) il 30 settembre 1971.
Santi Mantarro, nobile figura di missionario, andò alla casa del Padre, il 30 luglio 1971: fino all’ultimo respiro cercò di lavorare; serenamente compila sua corsa con la fede di un antico patriarca pieno di anni e ricco di meriti, circondato di affetto e ammirazione. Raggiunse vittorioso il traguardo a 81 anni, di cui 51 spesi nella vita salesiana. L’ultimo suo pensiero fu per la cattedrale dell’Ausiliatrice in Shillong suo capolavoro che gli era costato 35 anni di studio, di sudore e fatiche. Le sue mani erano stanche di maneggiare mattoni di cemento, e di trascrivere note musicali per la banda.
Ormai era come un vestito frusto e consumato; gli occhi quasi spenti, la voce fievole: solo lo spirito era vivo, ma ormai impotente contro i cedimenti di un corpo che non aveva mai conosciuto riposo. Era uno di quei rari uomini che il buon Dio ogni tanto manda in terra per insegnare agli altri come usare le cose di quaggiù per farne una scala e arrivare lassù. Santi Mantarro era nato in un villaggio dal curioso nome di San Fratello (in Sicilia), e forse anche lì sarebbe morto, se un giorno non fosse capitato a San Fratello quel leggendario pellegrino apostolico, cacciatore di vocazioni, chiamato Don Fasulo. La sua predica incantò il giovane Santi Mantarro che decise di farsi coadiutore salesiano.
Aveva appena incominciato a salire la scala del Monte del Signore, quando nell’anno 1910 dovette indossare la divisa militare. Per 10 anni la sua vita si svolse col cominciare e ricominciare il noviziato e venire travolto dagli orrori di due guerre che imperversarono dal 1911 al 1919.
In mezzo a tanti pericoli la fiamma della vocazione non si spense: la custodì colla vita di preghiera e raccoglimento e con la santa ostinatezza di colui che avendo scelto la giusta via, la segue senza compromessi.
Quando già missionario in Assam, nelle prediche ai giovani amava ricordare le vicende guerresche, si spiegava con la eloquenza aiutata da gesti ed elocuzioni imitative tutte sue proprie: «Negli anni 1915-1918 io faceva parte della banda militare. Spesso ci mandavano a suonare anche in posti avanzati per incoraggiare i combattenti. Un giorno eravamo rannicchia ti in una trincea come topi nei buchi; quando cominciarono proiettili che facevano così: ta pum! A destra era “ta pum”; a sinistra: “ta pum”. Fummo circondati dai nemici, e fu necessario alzare le mani e arrendersi. Ci portarono in Germania, ma mi lasciarono la fedele cornetta».
Era di un’eloquenza per nulla ciceroniana; ma nei suoi discorsi egli mirava al bene delle anime. Con questo fatterello tirava la morale di una grande confidenza nell’Ausiliatrice. Si era salvato dai «ta pum» della guerra perché il manto della Madonna lo proteggeva!
In altre circostanze durante la seconda guerra sarà visibile l’intervento della Madonna, perché egli, muratore della Beata Madre, ne costruisse la cattedrale dell’Ausiliatrice in Shillong.
Coronò la fedeltà a Don Bosco colla professione religiosa. Qui incomincia la sua vita di grande lavoratore. Sua specialità era di fare il muratore, ma se la cavava bene come cuoco, maestro di banda, insegnante di catechismo nell’oratorio ecc… Nell’anno 1929 una delle sue più care aspirazioni si realizzò: essere missionario.
Salpò per l’Assam, ove il suo direttore in Sicilia, mons. Mathias, l’accolse con la più viva gioia. Si scambiarono i convenevoli nel bel dialetto siculo. Ma Santi Mantarro dimenticò il siciliano per imparare altre lingue.
Imparare la lingua Khasi non gli fu davvero facile. Finì per foggiarsi un linguaggio tutto suo, non sempre comprensibile. Ma i cattolici si assuefecero a quel nuovo linguaggio internazionale: dopo tutto, anche quando tuonava in tono di rimprovero, sapevano bene che Mantarro parlava dall’abbondanza del cuore di un uomo che si dà tutto a tutti.
Si mise immediatamente al lavoro. Non aveva compiuto nessun studio particolare: ma si arrangiava in una varietà di lavori. Era musico, falegname, muratore, capomastro, e persino ciabattino.
Mons. Mathias gli affidò le imprese edilizie della missione: costrusse cappelle, scuole, e in seguito compì opere grandiose come l’ospedale e la cattedrale di Shillong. «Mantarro, gli domandai un giorno, come fa a industriarsi in tante cose?». «Ci penso su!» rispose semplicemente. Non intendeva certo citare il Manzoni, ma un principio di antica saggezza che aveva fatto suo. Era stato sempre un osservatore attentissimo ed era riuscito a capire i segreti di multiformi attività: questi segreti sarebbero stati utilizzati alla maggior gloria di Dio, e al bene dei giovani.
La prima chiesa, costruita a Joway, a 64 chilometri da Shillong parve una meraviglia agli occhi Khasi. «È bella come il Paradiso», esclamavano.
Una meraviglia che gli era costata tre anni di sudore. Aveva voluto costruirla in cemento armato, perché resistesse ai terremoti, e alle formiche bianche voracissime. Una fatica estenuante: mancava l’attrezzatura adeguata e bisognava portare il materiale a spalle per una mulattiera che s’inerpicava tra balzi e dirupi; anche le pesanti putrelle di ferro. Gli operai già sfiancati dai sacchi di cemento, non volevano saperne. Mantarro non stette a far parole. Si curvò da solo sotto il peso immane e parti stringendo i denti. Ma la spalla fu presto una piaga sola e dovette arrendersi. Allora «ci pensò su!» finché riuscì a trovare il sistema di trasportare le putrelle senza demolire i suoi uomini.
Il lavoro si moltiplica. Nel 1940, quando l’Italia entrò in guerra, i salesiani italiani furono internati in un campo di concentramento centinaia di chilometri lontano dall’Assam.
Il segretario al Governo, nostro sincero amico, fece un’eccezione per Mantarro che poté rimanere a Shillong. In proposito egli era solito raccontare un curioso episodio. Un giorno un nuovo capo della polizia lo fermò sulla strada e fece l’inquirente. Mantarro che non capiva l’inglese … su bocca inglese, si limitò a biascicare: «L’ english … no!», «lo… l’inglese … no!», lontanissimo dall’immaginare che quel «no» italiano potesse essere inteso in un «conosco» in inglese. Il poliziotto rimase perplesso: lo guardava con aria inquisitiva, e Mantarro a ripetere le medesime parole. Infine quel degno funzionario si persuase che l’impero britannico non aveva nulla da temere e lo lasciò in pace.
Santi Mantarro costruì anche la chiesa San Giovanni Bosco in Cherrapoonjee. Due o tre volte la settimana da Shillong prendeva il bus per quel villaggio, nel regno della pioggia, distante 52 chilometri.
Era il bus del mercato carico dei prodotti della terra, e dei pesci dei fiumi. Ma gli autisti trovavano un angoletto per «Brodar» (fratello coadiutore).
Santi Mantarro in mezzo a quel frastuono, trabalzamenti, odor di pesce, estraeva dal taschino il libro delle «Costituzioni Salesiane» e leggeva e meditava la parola di Don Bosco. Infine concludeva col rosario.
Questo episodio rivela l’uomo di Dio, che vive di vita interiore.
Drammaturgo. Fece anche questo mestiere per divertire e attirare i giovani. I suoi drammi non erano quelli di Shakespeare, ma egli voleva, ridendo, insegnare loro a fuggire il male. Sulla scena comparivano giovanotti vestiti da tigre per acciuffare il peccatore; il palco si apriva per mostrare l’inferno dal quale si sprigionavano fiamme! Talvolta ci sbellicavamo dalle risa, parlo di noi dotti, ma egli tirava avanti diritto. Faceva tradurre e adattare i nostri drammi e le commedie tradizionali salesiane. Aveva anche tirato su un’orchestra di 40 virtuosi dell’arco: e allora si vestiva in nero, colla cravatta, la bacchetta in mano e con una certa ambizioncella cercava di imitare Toscanini! Anche nei saggi ginnici all’aperto i giovani di Santi Mantarro si facevano ammirare in una coreografia di movimenti e festa di suoni, con il finale Tableam.
Era un uomo che preparava tutto da sé al margine di altre attività che assorbivano le energie di più di un uomo. Con un personale assottigliato: all’estremo, Mantarro moltiplicò il lavoro per supplire in qualche modo agli internati nel campo di concentramento. Si alzava prestissimo, e immancabilmente si recava in cappella per la prima e più importante azione della giornata: rinnovare le sue energie al contatto vivo con Gesù nella messa e nella meditazione. Trascorreva il mattino e il pomeriggio nel duro lavoro del cantiere, a dirigere gli operai e a faticare non meno di loro. Alle 4 finito il lavoro, apriva l’oratorio a un nugolo di ragazzi impazienti. Giochi, preparazioni di recite, di saggi ginnici, catechismo, preghiere della sera. L’ultimo discorsetto della «buona notte» e finalmente i ragazzi si dileguavano al grido festante: «Khublei! Khublei Brodar!» (Addio).
Mantarro va a mangiare un boccone e poi torna all’Oratorio dove lo attendono giovanotti e uomini che vi affluiscono dopo il lavoro quotidiano. È notte! I suonatori soffiano nei tromboni; altri preparano la recita; Mantano che tiene una cassa di risparmio riceve e distribuisce denaro.
Poi le prove generali, le preghiere con la seconda «buona notte» naturalmente più elaborata di quella dei ragazzini. Sono le undici di notte. Mantarro cerca di prendere riposo su un lettuccio piuttosto duro.
I Santi sono così. Una volta ci accorgemmo di un fatto insolito: Mantarro si recava spesso dal caposarto del «Don Bosco». Che volesse fare un vestito nuovo era da escludere perché si accontentava soltanto di quegli usati che venivano dai pacchi caritatevoli dell’Italia e dell’ America.
Che volesse imparare anche a fare il sarto? Il mistero fu svelato qualche tempo dopo. In occasione d’una festa solenne, ecco i bandisti marciare in corteo in una fiammante uniforme, e alla loro testa Mantarro, che sfoggiava felice la più brillante divisa con i gradi di comandante.
Proprio come la banda del primo Oratorio di Valdocco, ai tempi del celebre maestro Garbellone. E non fu l’unica sorpresa: riuscì anche a procurarsi divise di marinaretti che rendevano felici i ragazzi delle prime comunioni.
È morto e … resuscitato. In 42 anni di vita missionaria Mantarro non conobbe vacanze e non volle andare a rivedere la Sicilia. Era di costituzione robusta, ma gli anni e le fatiche ebbero ragione di lui.
Durante un pontificale solenne, in quelle domeniche ch’erano per Mantarro giorno di lavoro più assillante degli altri giorni, svenne mentre assisteva i giovani.
Ebbe uno sbocco di sangue. Il dottore ordinò che fosse trasportato per aeroplano in Calcutta. I medici pronunciarono una diagnosi preoccupata: cancro al polmone destro. Un rinomato chirurgo lo salvò estirpando il polmone infetto. Poco mancò che il paziente non rimanesse sotto i ferri.
Nel mezzo dell’operazione il cuore cessò di battere: il medico riuscì a rianimarlo: il cuore ricominciò a pulsare e Mantarro tornò alla vita.
Non era ancora la sua ora: non aveva terminato ancora la cattedrale della Madonna! L’Ausiliatrice l’aveva fermato sulle soglie del campo di concentramento e ora su quello della morte.
Mantarro dopo lunga convalescenza guarì; riprese a lavorare con l’entusiasmo di prima senza ricordarsi che aveva un solo polmone. Non morì allora perché la cattedrale non era terminata.
Le cattedrali gotiche del medioevo innalzano le altissime guglie in alto come uno slancio verso il cielo. Sono un segno del trionfo di Cristo. Nell’Assam – Shillong – dopo secoli di oscurità spuntava l’aurora che annunziava la luce del sole, che è Cristo.
Su una collina di Shillong sorse una cattedrale, che rende testimonianza al Cristo, ed è dedicata all’Ausiliatrice. Quando i salesiani arrivarono a Shillong, alcuni cristiani ricordavano i tempi quando di notte, la tigre stava ancora in agguato là, nei cespugli.
Nel 1936 un incendio distrusse tutta la missione cattolica. Mantarro sulle ceneri e rovine dell’antica missione cattolica costruì la cattedrale. Un architetto preparò i piani grandiosi di una struttura antisismica e anti incendio. Quando morì, Mantarro con tenacia andò avanti, lottando contro ostacoli di ogni genere! Vi lavorò più di 30 anni: voleva erigere un monumento a Maria Ausiliatrice. Quando giunse al vertice, si fermò. L’Ausiliatrice aveva il suo santuario.
Mantarro pregava ogni giorno l’Ausiliatrice, di non lasciare questo mondo, senza vedere la realizzazione del suo sogno. La costruzione della cattedrale in onore della Madonna di Don Bosco, che fosse in Assam un centro Mariano! E fu esaudito… Come umile coadiutore salesiano aveva costruito una delle cattedrali più belle dell’India. Ma egli declinava giorno per giorno. Il 30 luglio 1971 l’anima sua bella lasciava la terra per il cielo in quell’ospedale che aveva costruito.
Nella domenica 1 agosto 1971, un corteo interminabile accompagnava raccolto e commosso le sue spoglie mortali al cimitero di Shillong.
C’erano centinaia dei suoi giovanetti, questa volta in pianto, c’erano le due bande in divisa: dei più piccoli e dei più grandi che riempivano il percorso con le meste note ch’egli aveva fatto suonare per tanti altri. Poi fiori, fiori, pianti e preghiere.
«Mai visto nulla di simile, scrive Don Battista Busolin ch’era arrivato quel giorno dalle colline Garo. Quella folla enorme di povera gente non accompagnava alla tomba un grande di questo mondo, ma un umile salesiano coadiutore, nel quale aveva visto incarnato l’ideale della santità cristiana».
Il Governo d’Italia lo aveva decorato colla croce al merito! Ma certo in cielo la corona di giustizia l’attendeva. Don Scuderi ispettore dell’Assam in visita a Shillong disse: «Mantarro è veramente un salesiano santo: degno degli onori degli altari».