(1920-1949)
(cfr. Demetrio Zucchetti, Coadiutore Vincenzo Huambutzara in E. Valentini (a cura di) Profili di missionari Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice, Roma, LAS, 1975, p. 610-611).
n. a Chiviaza (Ecuador) nel 1920; prof. a Cuenca il 2 novembre 1947; m. il 9 maggio 1949.
Pochi giorni dopo che era avvenuta la sciagura aviatoria di Superga (Torino) dove perì tutta la squadra del «Torino , ne avveniva un’altra in Ecuador quasi per le stesse cause. Alle prime ore del mattino del 9 maggio 1949 era partito da Quito il «Douglas 507» per portare rifornimenti a Tupini, campo avanzato dell’Oriente equatoriano, dove si trova la fiorente missione salesiana dei kivari, ma perdutosi nella nebbia andò a sfracellarsi contro il gigantesco vulcano Tungurahua (5087 m), a 15 km da Banos.
Nel tragico incidente perirono undici persone: sei dell’equipaggio e cinque passeggeri. I cadaveri furono trovati, per l’inaccessibilità del luogo, circa una settimana dopo e dovettero essere sepolti tra i precipizi dell’insidioso vulcano.
Tra i passeggeri si trovava Vincenzo Huambutzara primo salesiano coadiutore della tribù kivara. Il Vicariato ha perso con questa morte il primo suo missionario indigeno, il fiore più bello sbocciato in quella selva, tanto desideroso di darsi tutto alla redenzione dei suoi fratelli. S. E. mons. Domenico Comin, vicario apostolico di quella missione, ricevette la dolorosa notizia della sciagura, proprio il giorno del suo arrivo a Torino dove era venuto per chiedere aiuto di personale e di mezzi.
Da lui abbiamo potuto avere queste notizie. «Vincenzo Huambutzara, autentico figlio della foresta , nacque nel 1920 a Chiviaza. Era figlio del cacico della zona di Indanza, Caiapa. Come tutti i figli della sua tribù si era esercitato nel lancio delle frecce, conoscenza dei veleni più potenti, si era preparato a tagliare le teste dei suoi nemici. Dopo aver peregrinato per parecchi luoghi perché perseguitato dai nemici della sua tribù, s’imbatté con Don Corrado Dardé che lo condusse alla missione d’Indanza.
Nel 1941 scoppiate le ostilità tra i kivari e i bianchi sulle sponde del fiume Zamora, venne mandato a Méndez ed a Macas dove compì il suo catecumenato e venne battezzato. Dopo il battesimo si mantenne sempre fedele, manifestandosi d’indole mite e dolce, amantissimo del culto. Nelle mie visite alle missioni . riscontrai sempre in lui buona volontà. Ogni volta che lasciavo la missione mi pregava di provvedere questo o quello per la sua chiesa.
Alla missione imparò anche a fare da parrucchiere. Una volta, prima di farsi salesiano, volendo pure lui dare il suo obolo per la giornata missionaria mondiale, non avendo nulla da offrire si prestò a fare da barbiere ai soldati della guarnigione del luogo. Il guadagno corse a consegnarlo al direttore della missione: «Ecco – disse – quel poco che ho guadagnato: sia il mio obolo per le missioni».
Un bel giorno – continua a raccontare mons. Comin -cominciò a chiedermi che non permettessi mai il suo ritorno a vivere tra i kivari della foresta: «Non mi abbandonare» diceva con tono commovente.
Scoprendo in lui buone qualità lo inviammo a Cuenca, Casa Centrale delle missioni dove imparò a fare il falegname. S’applicò con diligenza al nuovo mestiere e giunse non solo ad impararlo bene, ma ad essere anche vice capo del laboratorio. Diede con disinvoltura gli esami dinanzi alla Commissione governativa con esito brillante.
In questa casa di studio e di lavoro Vincenzo imparò specialmente a vivere da buon cristiano, tanto da sentire il desiderio vivo di consacrarsi alla vita religiosa e missionaria, e, un giorno si presentò a mons. Comin e lo supplicò di non permettere che tornasse al mondo.
Dopo serio esame fu accettato per il noviziato, come coadiutore salesiano. Il maestro fu sempre ammirato della sua condotta. Alla fine dell’anno di prova emise i voti religiosi e si sentì felice. Era il 2 novembre 1947. In quel giorno di festa e di gioia, Vincenzo scrisse in un quadernetto in perfetto italiano: «Saluto con grande affetto la nostra bella rivista Gioventù Missionaria, che tanto servì per aprire la mia anima alla luce del santo Vangelo ed alla vita salesiana».
E conchiudeva in buono spagnolo con questa preghiera: «Gracias te doy, Dios mìo! Que dicha la mia de ser salesiano! Tu me sacaste de la selva, para ser el primier jivaro religioso. Bendice, Señor, a mis Hermanos del Oriente (Ecuadoriano); quiero ser apòstol entre ellos!» (Ti rendo grazie, Dio mio! Che fortuna la mia di essere salesiano! Tu mi strappasti dalla selva, per essere il primo religioso kivaro! Benedici, o Signore, i miei fratelli dell’Oriente (Equatoriano); voglio essere loro apostolo.
Dopo la professione religiosa fu destinato alla missione di Méndez dove mentre esercitava il suo mestiere, si prestava a fare ripetizioni alla sera ai kivaretti della missione, godendo un grande ascendente su tutti i suoi allievi e coetanei.
Manifestò sempre una pietà squisita e una obbedienza a tutta prova, una vera eccezione per l’indomita razza kivara. Fu inviato a perfezionare il suo mestiere nel collegio professionale salesiano «Cornelio Mechan» di Cuenca. Colpito di mal d’occhio fu mandato a Quito per una cura speciale. Rimessosi fu destinato alla missione di Sucua, dove doveva installare una centrale elettrica. Altri erano però i disegni di Dio: nel viaggio aereo lo colse la morte per trapiantarlo nei giardini eterni. Al mattino prima d’imbarcarsi aveva servito la santa messa e fatto la santa comunione.
Dal cielo certo Vincenzo continua con la preghiera l’opera missionaria di redenzione dei suoi fratelli.