De Maria Dante

 

Il profilo di un formidabile maestro d’arte. Una figura carismatica il cui nome ha superato le mura della città dove ha lavorato. Un uomo buono, generoso e gioviale, un grande lavoratore, un maestro di rara esperienza, un salesiano saggio e coerente.


“E che? Qui è scoppiata la fogna?” L’esclamazione era quella di un infermiere che era entrato nella camera di degenza che ospitava il coadiutore salesiano De Maria, costrettovi da un’occlusione intestinale così dispettosa che resisteva imperterrita a ogni lassativo… Fino allo scoppio improvviso, che fece sobbalzare il suo vicino di letto, un tedesco che non spiccicava una parola d’italiano manco a pagarlo, ma nel momento della “scarica” del signor Dante si tirò le lenzuola sulla testa gridando: “Oh, mamma mia!”. Raccontando l’episodio, il maestro De Maria diceva sganasciandosi: “Ho fatto parlare l’italiano a un tedesco senza manco una lezione!”.

E’ MORTO IL GIGANTE BUONO

Il maestro De Maria era uno che sapeva ridere e non sapeva arrabbiarsi. Un gigante buono, come molti lo chiamavano, le cui manone sapevano disegnare, miniando, finissimi capolavori. Era un legatore, un maestro legatore, che aveva fatto della sua arte una forma di evangelizzazione. I suoi messali istoriati in oro sono presso cattedrali, sedi episcopali, chiese e perfino musei. Quando se ne andò, a 75 anni, accorse in S. Maria in Porto a Ravenna anche l’arcivescovo Ersilio Tonini, poi cardinale, che di De Maria era sincero ammiratore, e lo considerava un “segno dell’amore di Dio per la comunità ravennate”. “In chiesa, fece notare qualcuno, quel giorno non c’entrava più uno spillo”: la folla l’aveva invasa sfruttando ogni angolo per dare l’ultimo saluto al “gigante buono”, al “motociclista solitario”, all’artista inimitabile, al salesiano gioviale, al maestro che sul letto di morte a chi gli chiedeva se soffrisse rispose chiedendo una biro e un foglio di carta su cui, con mano ormai incerta, tracciò 5 quadrati disposti a croce e riconsegnò il foglio. “Qualcuno” aveva sofferto per lui e più di lui!

IL LAVORO E LO SVAGO

La mattina presto, chiuso nel suo mini-studio, gli occhialoni da presbite inforcati e il bulino in mano, lavorava di fino, spingendo lo strumento a piccoli colpi delicati come se volesse raccomandargli di non sbagliare, e nello stesso tempo scandendo sommessamente il ritmo con: Avemmaria, Avemmaria,Avemmaria… Terminata una fase lavorativa gli capitava, talvolta, prima di rimettersi al lavoro, di vagare qua e là cercando qualcosa che aveva perduto e brontolando tra sé e sé: “A so un por vecc imbarlé… sono un povero vecchio rincitrullito”. “Maestro, che cosa è successo?”. “Zitto! Ho bisogno di concentrazione: non ricordo dove ho messo gli occhiali!”. “Maestro… ma li ha sul naso!”. “Oh!… A so un por vecc imbarlé”, e giù una risata rilassante. Da lui si usciva rigenerati, puliti, rasserenati. “Quasi fosse un confessore laico”, riferisce un ex alunno.

Il suo unico svago? La moto, una grande moto Guzzi, rossa, una di quelle dismesse dalla polizia e acquistata con pochi soldi, ma adatta alla sua stazza. Quando ci montava sopra… “sembrava occupasse l’intera strada!”. Volava via a 140, “un km al chilo!” – scherzava talvolta – anche quando era ben avanti negli anni. E se gli facevano qualche osservazione ribatteva con un sorriso: “Beh, provate a far entrare la mia stazza in una macchina…”. In effetti i suoi 140 kg facevano soffrire qualsiasi vettura.

Non faceva prediche De Maria, non improvvisava sermoni, non si preparava discorsi elaborati. Lavorava. Con una passione e una gioia tali che valevano più di qualunque predica. Un po’ del Maestro è sparso in varie parti d’Italia. Molti, provenienti dai luoghi più diversi, hanno cercato di accaparrarsi qualcuna delle sue mirabili miniature, incise su messali, evangelari, lezionari e perfino quadranti di orologi. Ravenna l’ha goduto, “artisticamente”, dal 1947 al 1985 e lui per quasi quarant’anni ha regalato il suo genio, e ha trasmesso i segreti della legatoria, gli arcani della doratura e gli enigmi della miniatura a centinaia di giovani. Era diventato per tutti un’istituzione: “Li conoscevano anche i muri!”. “Li?… Come lì?”. “Lui e la sua moto, naturalmente. Sembrava fossero un tutt’uno“. Uno grande, grosso e forte, con le mani che parevano badili, incapace di far male a una mosca, eppure capacissimo di creare capolavori. Nella biblioteca del Maestro Dantesco di Ravenna si possono tutt’ora ammirare tre grandi tomi della Divina Commedia rilegati in pelle e decorati splendidamente dal maestro Dante. In Vaticano è esposto il breviario di Pio XII in pelle istoriata del nostro artista. Alla Pisana regalò un Don Bosco bulinato su cuoio.

ANCORA QUALCHE CHICCA

Era un distratto, come già abbiamo raccontato, ma non se la prendeva più di tanto, anzi ci rideva su. Come quella volta che si mise a sparare foto a ripetizione in un convegno exallievi, e il rullino non finiva mai. Raccontava: ”Ho fatto una cinquantina di foto con il medesimo rullino!”. “Davvero Maestro? Sa fare anche i miracoli?”. “Macché! M’ero solo scordato di infilare la pellicola nella fotocamera”. Una risata e via!

Solo una volta gli scappò la pazienza. E fu quando, giocando a pallone, un avversario si divertiva a martoriargli la caviglia con una certa cattiveria. A un certo punto Dante non ne poté più e lasciò partire uno “sventolone” alla don Camillo. Il malcapitato si ritrovò a quattro metri di distanza! Lui ci pianse su come un bambino e per un paio di giorni si chiuse in camera come autopunizione.

Quando mostrava ai confratelli e agli amici qualche suo capolavoro, e quelli sgranavano tanto d’occhi: Come avrà fatto un omone così grosso a ricamare ghirigori tanto piccoli e perfetti? Lui intuiva la domanda non espressa e rispondeva sorprendendo tutti: “Mi ha aiutato lui!”. Indicava compiaciuto il quadro di Don Bosco.

A 20 anni compiuti dalla morte, nessuno l’ha ancora dimenticato.

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