Cingolani Mario

Nasce a Macerata l’11 febbraio 1912; Prima professione l’8 settembre 1930 a Genzano; Maestro sarto e animatore d’oratorio a Roma-Pio XI (1930-38), a Lanuvio (1938-43), a Roma-Sacro Cuore (1943-44), a Roma-Mandrione (1944-49); Missionario in Medio Oriente (Alessandria d’Egitto e Betlemme) come maestro sarto dal 1950 al 1967; Portinaio notturno, centralinista, sarto, guardarobiere e sagrestano nella Comunità Gesù Maestro della Visitatoria dell’UPS dal 1968 al 1992; aiutante nella Parrocchia di Santa Maria della Speranza negli stessi anni; muore il 4 aprile 1992 a 80 anni, 61 di professione religiosa;tumulato a Macerata nella tomba dei Salesiani l’8 aprile 1992.


Il suo declino era iniziato già da alcuni mesi e da tempo accusava disturbi di salute che non lo avevano tuttavia arrestato nel suo lavoro solerte e prezioso. Dietro l’insistenza di confratelli e di medici a ottobre si ricovera all’ospedale dove subisce un delicato intervento chirurgico. Gli viene asportato un carcinoma gastrico e il decorso postoperatorio sembra promettere il meglio quasi sconfessando il presentimento di morte più volte esternato dallo stesso confratello. Ma rientrato in comunità, nonostante brevi periodi di ripresa, si indebolisce ulteriormente. A nulla valgono le cure dei medici, la premurosa assistenza delle suore e l’interessamento vigile di parenti e confratelli. Presto le illusioni di ripresa si smorzano ma non viene meno la serenità del malato e di tutti noi incoraggiati dalla sua testimonianza di fede e di cristiana rassegnazione. E così pronuncia il suo «nunc dimittis».


Riproponiamo l’omelia sentita e vibrante, tenuta dal docente don Carlo Chenis che nella sua attività di animazione liturgica dell’UPS e della Comunità aveva condiviso con lui, quasi giornalmente, lavoro, gioia e preoccupazioni. Dalle sue parole emergono i tratti caratteristici del sig. Mario e la sua elevata statura spirituale. Il servo buono e fedele che ha raccolto ogni frammento della giornata terrena per il Signore ora si è presentato al suo cospetto per consegnargli il lavoro delle sue mani. È stato fedele nel poco di questo mondo, ha ottenuto la ricompensa riservata ai giusti.


Il nostro confratello Mario ha così concluso la grande quaresima della condizione terrena vivendo il suo Calvario tormentato nel corpo ma non nello spirito. Unito a Cristo nella sofferenza, sepolto con Cristo per mezzo del battesimo con lui risorge a vita nuova perché ha vegliato per la sua ora nell’orto del Getsemani. La sua vita è un pregevole commento del brano evangelico che abbiamo deposto sul suo feretro quale profetico segno di risurrezione. In esso Gesù, rivolgendosi al Padre, dice: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te» (Mt 11,25). Guardando il sig. Mario, Gesù ha voluto ancora una volta ripetere questa sua preghiera di lode. Ritroviamo in lui un «sapiente» della piccolezza. La sua esistenza è una coraggiosa omelia sull’umiltà e sul servizio totalmente reso ai giovani poveri e abbandonati. Non li ha condizionati al suo prestigio, non ha solo parlato di loro, li ha serviti con abnegazione profonda e amati glorificando Dio. Fu una personalità completa: un uomo maturo, un cristiano convinto, un vero salesiano laico.Tenace nel lavoro, con lo sguardo rivolto a Dio per donargli le proprie fatiche quotidiane, burbero nel beneficare, amorevole nel destare fiducia e simpatia, capace di scrutare gli altrui disagi e di sommergerli con cordiale ironia, semplice nel farsi perdonare difetti e ostinazioni, il sig. Mario seppe con astuzia tipicamente evangelica e salesiana ritagliarsi in tutte le circostanze, o meglio sotto ogni obbedienza, uno spazio pastorale senza perdere di vista l’urgenza di un adeguato nutrimento spirituale. È l’operaio della prima ora. È l’egregio figlio di don Bosco che ha fatto del lavoro un propizio strumento di santificazione e perciò di educazione dei giovani.


Il suo incontro con don Bosco inizia presto attraverso i salesiani di Macerata di cui ha sempre serbato un caro ricordo. E l’ambiente salesiano lo educa ad una pietà solida e popolare. Già da aspirante si faceva svegliare prestissimo in camerata per andare a servire messa ad un confratello anziano. Tale abitudine di incontrare subito il Signore all’inizio della giornata, e di rammaricarsi anche vistosamente per chi non lo faceva, l’ha conservata fino al suo ricovero in ospedale. Confratelli singoli e l’intera nostra comunità devono essere grati del suo servizio all’altare, puntuale e devoto già nelle ore antelucane. Ritrovò nel lavoro di portinaio, di guardarobiere ma soprattutto di sarto la sua indulgenza per attuare una vocazione alla santità solidale al nostro testo costituzionale: «Quando avviene che un Salesiano soccomba lavorando per le anime, la Congregazione ha riportato un grande trionfo» (Cost 54).


Visse nella convinzione recepita da don Bosco che qualsiasi attività o ruolo devono essere donati interamente ai giovani. Il sig. Mario ritenne così il lavoro un modo di rendere il giogo dolce, il carico leggero. Dolce perché gli veniva offerto dal Signore, leggero perché si risolveva nei giovani in un sorriso di compiacimento appagante ogni fatica. Con don Bosco capì che non basta amare, ma che occorre far comprendere il proprio amore. E dietro la sua scorza amabilmente dura, dietro ad ogni «no» c’era profondo affetto e servizio sollecito. Sia negli anni della gioventù, sia nell’anzianità non perdette il «cuore oratoriano» e uno schietto spirito di famiglia con cui contagiò adulti, ragazzini e comunità. Carlo Cappello racconta, in un fascicolo delle Letture Cattoliche (Gli sciuscià di Roma nel 1945, Torino 1946, p. 54-55) di aver incontrato sulla tramvia di Centocelle un signore che gli descrisse l’ambiente molto anticlericale al primo arrivo dei salesiani nella zona del Mandrione tra gli sciuscià e così concluse il suo dire: «Ora però l’hanno vinta li preti, anche quelli più discoli si son fatti boni. Ma fu dura sa; dal novembre del ’44 al marzo del ’45, mattino e sera, fu una continua lotta e io non so come i salesiani abbiamo resistito; i nervi di quel prete e del sor Mario furono messi a dura prova!» «Chi è questo signor Mario?» replicò don Cappello. «E’ il sarto di casa, un signore de gran core non è prete, ma è dei preti, io non so bene come si dice …». «Capisco, è un coadiutore salesiano». «Sarà. Comunque i preti hanno vinto. Adesso quando uno passa a Tor Pignattara e all’Acqua Bullicante, non si sente più gridare: “Abbasso li pretacci”, ma salutare con riverenza». Ecco il sor Mario del Mandrione che lì arriva dopo aver raccolto turbe di pischelletti al Pio XI; dopo aver lavorato a Lanuvio e al Sacro Cuore, sempre come maestro sarto e sempre con lo sguardo fuori dalla finestra per incontrare i Bartolomeo Garelli di turno che, se non sapevano fischiare, certamente sapevano rubacchiare per campare. Dal Mandrione, siamo alla fine del ’49, con un gesto semplice e pentecostale chiede di partire per le missioni e nel ’50 arriva ad Alessandria d’Egitto e poi per 17 anni a Betlemme. Fu davvero un gesto pentecostale perché pur straparlando l’arabo raggiungeva lo stesso il cuore di quei giovani, non più borgatari ma musulmani, tanto che don Laconi affermò più volte: «Con il sig. Mario ogni intrattenimento tra i ragazzi è di sicuro successo». Forbici, musica, teatro infarciti di catechismo andavano anche bene per gli scaltriti levantini. Ancora di recente un suo lontano allievo di Betlemme gli scriveva di volerlo rivedere poiché sempre era nel suo cuore. La terza parte della vita la trascorse qui tra noi. Nel ’68 arriva all’Ateneo come portinaio notturno e centralinista. Accorgendosi che il sig. Silvio Vitali – altro memorabile confratello coadiutore – era più efficiente nell’aggiustare le scarpe che nel rattoppare le tonache dei preti, riprende ago e forbici e in seguito gli viene affidata la sagrestia. Sagrestia e laboratorio diventano così il suo modo di lavorare in questa casa di don Bosco. Confeziona paramenti e li rassetta con scrupolo. Cura l’ordine delle cappelle e fa da «consigliere» per disciplinarne l’uso. Già malato si preoccupa ancora di non poter finire gli ultimi lavori di sartoria intrapresi. Ormai «nonno» non perde cuore oratoriano e spirito di servizio che lo portano ad essere presente, con discrezione e fantasia non priva d’estrosità, laddove vede utile il proprio lavoro. E per anni insegnante di catechismo con un’invidiabile capacità di raccontare e di spiegare ai bambini; organizza la messa domenicale dei fanciulli; attraverso l’apostolato della buona stampa contatta e consiglia i parrocchiani con cui si lega con fraterna amicizia; con il presepio animato – vero evento annuale atteso da tutta la comunità – incontra grandi e piccini; non manca di recitare o suonare in operette e accademie delle ricorrenze salesiane; sulle spiagge di Tor Vaianica è per 25 anni l’animatore per eccellenza delle vacanze al mare delle famiglie del quartiere con le quali si intrattiene con facezie, giochi e pensieri spirituali. Ancora la scorsa estate consigliato di stare a casa in una giornata di pioggia e vento replicò al confratello responsabile del soggiorno marino: «Ma io ci ho l’ombrello!». E fino all’ultimo, su in sartoria, tra un punto d’ago e l’altro, il suo sguardo andava vuoi al quadro della Madonna, vuoi ai ragazzi che gremivano il cortile e di cui si sentiva salesianamente assistente. La sua sapienza oltre ad essere nutrita di doti umane, di intuito, di perspicacia fu ingemmata di preghiera e di osservanza religiosa. Ruminò giorno dopo giorno, nella sua lunga vita religiosa le beatitudini evangeliche diventandone eletto testimone. Il suo brontolare faceto non diventava mormorazione e sovente sminuzzava le altrui critiche incoraggiando a lavorare di più per il Signore. Edificante erano il suo raccoglimento e la presenza alle pratiche di pietà comunitarie che guidò per anni. Di fronte alle battute di incoraggiamento e di ricordo dei tempi passati di chi lo visitava durante la malattia, rispondeva spesse volte senza perdere la sua naturale vena di arguzia: «aiutatemi a pregare» magari guardando, anche se morente, con cipiglio il direttore che durante il rosario stava dicendo un’Ave Maria in più. Quando ormai provato dal male ricevette alcuni giovani esclamò per togliere loro l’imbarazzo della sua situazione: «Questa è la vita!». Non solo per constatare la precarietà della condizione umana, ma per lasciar intravvedere con la lezione della pace interiore il destino al quale andiamo incontro e per il quale ogni perdita terrena è nulla se si è guadagnato Cristo. Un giorno poi, vaneggiando nel dormiveglia del dolore, disse all’economo che l’assisteva di aver vinto una grossa cifra alla lotteria e occorreva ritirarla subito per pagare la nuova Chiesa parrocchiale. Gli ultimi istanti della sua vita li ha vissuti nella beatitudine dell’afflizione ed è spirato in giorno di sabato, circondato da confratelli, dopo l’ultimo segno di croce, fatto con mano tremante ed occhi spenti, per la recita del Magnificat, mentre riceveva l’assoluzione. Il Signor Mario con la sua vita conferma che il venerdì santo non è l’ultimo capitolo. Tutto spinge verso la Pasqua. Con don Bosco egli ci dice che non bisogna avere paura della morte, ma solo del peccato. Egli che ha incontrato Cristo anche più volte al giorno nell’Eucarestia, che gli ha parlato tante volte mediante Maria Santissima, sgranellando i misteri del rosario, che lo ha ritrovato nei giovani pericolanti, spenti al sorriso della loro età, non poteva non desiderare di incontrarlo in cielo dicendo con gioia: «L’anima mia magnifica il Signore». 


I funerali tributati al sig. Mario sono stati una solenne e raccolta manifestazione di fede e di sincero affetto delle comunità religiose, degli studenti dell’università, dei fedeli della nostra parrocchia Santa Maria della Speranza e di numerosi altri amici. Ha presieduto il Superiore don Paolo Natali attorniato dai molti confratelli della Visitatoria e da rappresentanti di altre Ispettorie. Durante le esequie il Direttore, don Piero Scalabrino, ricordando in un breve e commosso bozzetto la figura umana e salesiana del sig. Mario ha voluto ringraziare tutti coloro che si sono prodigati durante la malattia. Il Parroco, don Stelvio Tonnini, ha sottolineato nel defunto il suo ruolo di ministro straordinario dell’eucarestia vissuto con zelo e devozione. Un giovane, cresciuto accanto a lui, ha ribadito la benevolenza sincera e la gioviale allegria dimostrata in ogni occasione. Uno dei tanti nipoti si è pronunciato a nome dei parenti dicendo di aver scoperto attraverso l’omaggio dei funerali l’affetto non solo dei propri cari – a cui il sig. Mario era legatissimo – ma anche dei confratelli e di tanti parrocchiani.Tra le testimonianze epistolari il card. Antonio Javierre, già Rettore dell’UPS, così ha scritto: «Finora il sig. Mario ci ha portato a guardare il suo Presepio del Natale, ora ci addita la sua Pasqua in cielo». Mons. Tarcisio Bertone che fino allo scorso anno fu anch’egli Rettore, ha descritto in questi termini la sua ultima visita al capezzale del confratello pochi giorni prima della morte: «Era gravissimo e assopito in un faticoso respiro. Mi dispiaceva lasciarlo, senza che mi riconoscesse; ma dopo averlo appena chiamato si è svegliato, mi ha guardato con i suoi occhi luminosi e penetranti, e mi ha detto: “Ah! Sei tu! Vai pure, tanto ci rivedremo in Paradiso”. Ne sono uscito commosso e non ho cessato di ricordarlo nelle preghiere». Anche il Rettor Maggiore ne ha ricordato l’umiltà e il lavoro indefesso. Ma gli onori che cercava il sig. Mario erano altrove, là in Paradiso dove ha ormai incontrato tutti coloro che lo hanno preceduto nel segno della fede e attende per riunirsi nello stesso eterno banchetto quelli che con lui hanno condiviso l’amore a don Bosco e alla Chiesa.


La salma è stata traslata a Macerata dove il Direttore della casa salesiana, don Gesuino Monni, ha presieduto l’Eucarestia di suffragio e ne ha commemorato la figura. Ora riposa in pace nella tomba dei salesiani della sua città natale dalla quale partì per seguire don Bosco sulla strada che conduce all’amore di Dio percorsa dai tanti ragazzi che conobbe durante la sua vita. Nelle parole conclusive dell’omelia, portando la testimonianza della Comunità in cui è vissuto per molti armi, il predicatore così si è espresso: «Per noi confratelli salesiani dell’UPS si spegne una figura tipica di coadiutore che nella ferialità del lavoro santificato ci ha dato, senza farcela pesare, una lezione di sapienza e di servizio. Non possiamo se non benedire con Gesù il Padre che ha rivelato queste cose ai piccoli».


Cari confratelli oltre al suffragio per quest’anima eletta ricordate nelle vostre preghiere questa missione universitaria e tutti noi. 

Roma, 6 giugno 1992 Sac. Piero Scalabrino Direttore

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