nato il 16 maggio 1903 a Moriondo, frazione del Comune di San Sebastiano Po in provincia di Torino; morto a Roma il 30 ottobre 1979
… Anche se non del tutto improvvisa, la sua scomparsa però ci ha colpiti ugualmente in modo profondo, essendo venuto meno con lui non solo un confratello che ci era molto caro, ma anche una figura di coadiutore, così come lo aveva concepito Don Bosco, che sta diventando sempre più rara: un formidabile lavoratore, affezionatissimo a Don Bosco e alla Congregazione e sempre disponibile, con spirito di iniziativa e senso di responsabilità, a qualsiasi servizio non solo prescritto dall’obbedienza, ma anche semplicemente richiesto dalle molteplici esigenze della vita delle nostre Case.
Era nato il 16 maggio 1903 a Moriondo, frazione del Comune di San Sebastiano Po in provincia di Torino, da una famiglia di poveri contadini. Papà Giuseppe e la mamma, Anna Argentera, nonostante il duro lavoro e i grandi sacrifici, stentavano a mantenere la piccola nidiata (due figli e due figlie) che la Provvidenza aveva loro affidato, perché la terra toccata loro in sorte era poca ed avara. Perciò il piccolo Simone, appena terminate le scuole elementari, per essere di aiuto alla famiglia dovette andare a lavorare come bracciante agricolo: d’estate a zappare nei campi ed a falciare nei prati, e d’inverno ad abbattere gli alberi nei boschi. Se gli stenti della fanciullezza e della adolescenza si ripercuoteranno nella sua poco florida salute, il precoce rude lavoro dei campi lascerà un’indelebile traccia nel suo carattere forte e nelle sue membra robuste, aduse alla dura fatica. Di questo periodo ci è narrato un curioso episodio, che ci rivela due caratteristiche di fondo del suo spirito: l’onestà a tutta prova e la sua grande generosità. Al momento di ritirare il suo magro salario, considerando meno la fatica fatta per guadagnarselo, che le ristrettezze economiche in cui si dibatteva il suo datore di lavoro, talora preferiva accontentarsi di ritirarne la metà.
Di profonda pietà, frequentava assiduamente la chiesa. L’ottenuta guarigione da grave intermità (tubercolosi polmonare) e la saggia guida spirituale del parroco, poco per volta maturarono in lui il desiderio di consacrarsi interamente a Dio: desiderio che, durante il servizio militare, si concretò nella decisione di entrare tra i figli di Don Bosco nella Congregazione Salesiana.Terminato però il servizio militare, col grado di caporal maggiore degli Alpini ed un attestato di infermiere del regio esercito, dovette attendere parecchi anni prima di realizzare il suo progetto. Difatti nel frattempo una sorella s’era sposata, l’altra, per non essere d’aggravio alla famiglia, s’era trovato un lavoro in città, ed il fratello minore stava per partire, a sua volta, pel servizio militare. Al nostro Simone, per venire incontro ai genitori ormai anziani e incapaci di provveder da soli alle loro necessità, non restò altro che rimanere a casa a compiere il suo dovere di filiale pietà. Appianata ogni difficoltà, dopo il ritorno del fratello dal servizio militare, Simone potè finalmente coronare il suo desiderio recandosi all’aspirantato missionario “Cardinal Cagliero”, di Ivrea alla età di 25 anni. E’ una vocazione adulta, provata, sofferta. Entra nella Casa di Don Bosco, non alla ricerca di una sua qualsiasi affermazione personale, ma perdonarsi totalmente a Dio così com’è: con la sua salute un po’ malferma e la sua grande voglia di lavorare. E Don Bosco il lavoro non glielo lascia davvero mancare.
Dopo qualche mese di aspirantato ad Ivrea (dal gennaio al settembre del 1928) entra in Noviziato, prima a Villa Moglia (10/9/1928) e poi a Cumiana (18/10/1928), dove il 23 di agosto del 1929 corona il suo sogno con la prima professione religiosa. Il verbale del Capitolo della Casa che lo ammette, nella sua laconicità ce ne scolpisce il profilo: “Contadino non molto robusto ma laborioso e pio”. Forse avrebbe anche potuto aggiungere: «Tutto e per sempre di Don Bosco». Difatti se nella sua vita, come per ogni mortale, ci possono essere stati momenti di sconforto, di fragilità, di debolezza, non sembra invece ci sia mai stato un istante in cui si sia rammaricato della scelta fatta. Un segno dell’affetto che ha sempre nutrito per Don Bosco e la Congregazione, la possiamo considerare una paginetta dell’umile suo diario, in cui ci rivela quale contraccolpo abbia avuto sul suo amore filiale la contestazione scoppiata in seno alla Congregazione: «Mi ha fatto molto soffrire – afferma – il timore d’una distruzione completa di quel meraviglioso monumento, la Congregazione Salesiana, per cui Don Bosco ha speso le sue meravigliose energie, tutto il suo cuore, le sue forze, il suo intelletto, e ha consacrato tutte le sue lunghe veglie per vedere germogliare, crescere, irrobustirsi e maturare la sua amata Congregazione». Le espressioni sono semplici, ingenue, ma l’affetto che vi traspare è sincero, intenso, profondo.
Trascorre i primi cinque anni di vita salesiana nella Casa agricola di Cumiana (1929-1934) come provveditore. Con lo stesso incarico passaancora otto anni al «Rebaudengo», (1934-1942) in un periodo, come quello della guerra, in cui, il provvedere all’appetito di tanti giovani, era impresa ardua e rischiosa. Trascorre sette anni (1942-1949) a Roma nella Casa di San Callisto, come incaricato del negozio acquisti e vendite di oggetti religiosi. L’anno 1949-50 passa al Colle Don Bosco per ricuperare la malferma salute. Di lì passa a Torino nella Casa della «Crocetta», dove rimane per nove anni (1950-1959) come provveditore. La frattura ad una gamba lo obbliga ad un anno di riposo forzato che trascorre a Roma, nuovamente nella Casa di San Callisto. Appena rimessosi in salute lo troviamo nuovamente come provveditore, prima nella Casa Generalizia di Torino-Valdocco (1960-1965) e poi nell’Ateneo, dove ha vissuto il periodo ultimo e più lungo della sua vita (1965-1979). L’arido elenco di luoghi e di date penso, però, non sia sufficiente a darci un’idea neppure sommaria della figura del confratello. Contadino d’età adulta, di poca cultura ma di gran senso pratico, ha fatto di tutto per rendersi non solo utile, ma anche molto prezioso nel servizio della Congregazione che grandemente amava. Erede del temperamento della gente della sua terra, ci teneva a che l’ufficio affidatogli fosse svolto bene. Per un profondo senso del dovere e per attaccamento alla Congregazione e alla Casa a cui apparteneva, di cui sentiva come propri gli interessi, aveva il puntiglio di «entrare dentro» nelle sue mansioni, di capire i lavori, di rendersi «competente». Di qui il suo industriarsi per risolvere i problemi emergenti, per riparare i guasti, per venire incontro nel modo più soddisfacente alle mille piccole e grandi esigenze delle nostre Case.
Di temperamento volitivo, a volte tenace con i suoi collaboratori ed aiutanti, non si tirò mai indietro nel lavoro, pagando sempre per primo di persona, finché le forze glielo permisero. Credo che la «pigrizia» non abbia mai trovato spazio nella sua vita e nel suo vocabolario intimo. Di animo molto sensibile, lasciava trasparire la sua soddisfazione e gratitudine quando vedeva compresa ed apprezzata la sua dedizione e fatica; ma aveva la capacità di continuarla in silenzio e semplicità con senso di servizio e di famiglia, anche quando ciò non avveniva. Di cuore buono e generoso volle sinceramente bene ai confratelli: sapeva scherzare e stare allo scherzo; aveva spesso delicatezze inattese. Nella critica era bonario: sapeva passar sopra e mandar giù, anche quando non fosse troppo convinto e persuaso delle decisioni altrui. Di carattere forte, talora ebbe qualche difficoltà, per divergenze temperamentali, coi confratelli con cui doveva direttamente collaborare: ma il suo animo profondamente retto e il suo cuore buono non permisero mai che tali divergenze si trasformassero in ostilità o indifferenza. Vocazione “adulta” visse con profonda convinzione ed intima coerenza gli impegni della sua professione religiosa. E dire che la sua attività di provveditore e di “factotum” avrebbe potuto essere occasione di tanti, alibi, al riguardo. Invece l’abbiam visto fino alla fine, finché le forze glielo permisero, esser sempre fedele e puntuale alle varie pratiche di pietà della comunità. In fatto di povertà poi, come è stato sempre scrupoloso nell’annotare e nel rendere conto di tutto, così è stato sempre rigoroso con sé stesso. Chi ha visitato la sua camera dopo la morte è stato ad un tempo profondamente colpito ed edificato, di non aver trovato proprio nulla, non dico di comodità, ma neppure di quanto avrebbe potuto esser necessario. Il sottoscritto l’ha potuto conoscere da vicino solo in questo anno che ha visto il suo progressivo declino, ed anche il suo doloroso progressivo distacco dal lavoro che era diventato un po’ la sua ragione di vivere, tant’è che, quando non s’é più sentito capace di far qualcosa, ha pensato d’aver finito la sua missione sulla terra e ci ha lasciato. Al di là del tratto alcune volte all’apparenza ruvido, del carattere forte, ho scorto un animo d’una semplicità, d’una bontà e rettitudine incantevole. Un senso di fiducia, di rispetto, di gratitudine, di docilità al superiore, anche se tanto più giovane d’età, che mi impressionava, mi commuoveva, profondamente mi edificava. Ho constatato che la dolorosa purificazione di quest’ultimo anno, ha finito di smussare le ultime angolosità del suo carattere, stemperando la sua forza in pazienza, in comprensione, in longanime bontà: un uomo veramente in pace con Dio e con gli uomini. Non temeva la morte: ne parlava con serenità, come qualcuno che ha tutto pronto per il grande viaggio. Sfogliando le pagine dell’umile suo diario, in cui san raccolte le riflessioni delle giornate di ritiro spirituale degli ultimi dodici anni di vita, m’è sembrato di comprendere il segreto di questo umile figlio di Don Bosco, che è poi identico al segreto del padre: la sua intima e continua unione con Dio.
Una vita vissuta costantemente avvertendo i segni della sua presenza e con pieno, riconoscente e fiducioso abbandono alla sua Volontà. Il 16 luglio 1979 chiude il suo diario con queste parole: “Vedo che mi vuoi bene, e mi tieni sotto il Tuo controllo. Mi dai le sofferenze ma mi porgi anche il Tuo aiuto prezioso. Grazie Signore. Mi ricordi sempre che devo soffrire, per scontare i peccati”. … (Don Colli Carlo Direttore)