Cfr. Il salesiano coadiutore. Storia, identità, pastorale vocazionale, Roma, Editrice SDB, 1989 (le pagine indicate in parentesi quadra indicano la pagina esatta del volume in edizione cartacea).
4.0 INTRODUZIONE
Nel discorso conclusivo al CG22 il Rettor Maggiore, commentando l’originalità della figura del Salesiano coadiutore, invitava a convertirsi a una più autentica sensibilità salesiana e a una formazione veramente rinnovata. Faceva notare come in Congregazione, rimanessero aperti alcuni problemi: quello numerico-vocazionale, ma anche, e più a fondo, una certa insensibilità e un criterio non corretto nella comprensione di questo aspetto proprio della identità vocazionale (quello della «dimensione laicale»), vincolato alla peculiare conformazione delle nostre comunità e alla realizzazione della loro missione.[1] Non si trattava di alcune cose da fare, certo anche di questo. Ma, più in profondità, di una conversione a una più autentica sensibilità salesiana che porta con sé l’urgenza di appropriati interventi.
4.1 Uno straordinario impegno nella formazione
La formazione, tutta la formazione, iniziale e permanente, e la formazione di tutti, aiuta questa conversione: «voglio ancora insistere», egli diceva, «sull’impegno della formazione. Dopo quanto abbiamo detto, essa non può unicamente riferirsi ai giovani Coadiutori, ma a tutti i confratelli, anche preti e chierici, per l’intero arco della formazione sia iniziale che permanente. Senza uno straordinario impegno nella formazione non credo si possano ottenere cambiamenti radicali in tempi brevi. Ma se si imposta la formazione in forma veramente rinnovata, sopra tutto per le giovani generazioni, il futuro sarà certamente promettente».[2] [pag. 163]
L’impegno comune, in Congregazione va verso questi obiettivi, con serietà. L’analisi dei Direttori ispettoriali e i suoi risultati sono un argomento a favore. Le ispettorie cercano di armonizzare fra loro organicità e flessibilità dei curricoli formativi; mostrano di voler fare subito tutto il possibile, come se fossero entrate finalmente in un tempo di maggiore concretezza e operatività;[3] accettano la sfida dei primi passi, non sempre sicuri negli esiti e insidiati per di più dalla indifferenza di alcuni pochi; si sono convinte infine della necessità della collaborazione interispettoriale che assicura più facilmente l’insieme delle condizioni perché le fasi del processo siano formative.[4]
Le ispettorie sono incamminate dunque a «reagire creativamente»[5] e a realizzare quello «straordinario impegno di formazione», di cui parla il Rettor Maggiore, aiutandosi per migliorare insieme contenuti e strutture.[6]
4.2 Le ragioni profonde
Tutto questo impegno ha le sue ragioni profonde e presenta un carattere di urgenza. Lo si deduce sia dalla natura della vocazione salesiana che dall’ambiente e dalla condizione del mondo giovanile. La formazione del Salesiano coadiutore è diretta non solo a realizzare la sua specifica forma vocazionale, ma anche ad arricchire quella del Salesiano prete e della comunità. Quando mancassero o si indebolissero i doni propri all’una o all’altra, il Salesiano prete o il Salesiano laico ne verrebbero personalmente a soffrire, quasi non fossero abbastanza se stessi. E ne soffrirebbe la stessa comunità che di queste forme è la comunione operante. Non si può essere Salesiani preti o Salesiani laici isolandosi. Ciascuna forma vocazionale è concreta e completa in se stessa, ma fa parte della sua concretezza e completezza anche l’essere in relazione con l’altra.
Questa è la nostra caratteristica carismatica.[7] [pag. 164] È una prima ragione, questa, per formarsi. È una ragione interna, per così dire, al nostro carisma. Ma ve ne sono anche altre. Le potremmo chiamare «ragioni d’ambiente».
Il pluralismo culturale, i ritmi sempre più accelerati e le trasformazioni rapide del mondo spingono tutti a un riadattamento continuo. La nostra poi è una forma di vita che accentua la ricerca di una tipica carità pastorale. Essa tiene conto delle novità emergenti nel mondo giovanile e nella coscienza della Chiesa.[8] Come educatori, infatti, siamo rivolti verso quella parte di umanità, i giovani, così nuova e sensibile ai mutamenti che non possiamo dedicarci al loro servizio senza produrre uno sforzo permanente di formazione aggiornata e creativa.
Si ricordi, a questo proposito, l’art. 19 delle Costituzioni che si intitola: «Creatività e flessibilità». È un tratto del nostro spirito.
4.1 I CONTENUTI GLOBALI DEL PROCESSO FORMATIVO
Sulla scorta di quanto il Rettor Maggiore ha scritto nella sua lettera: «La componente laicale della comunità salesiana», dell’ottobre-dicembre dell’80, vorremmo accennare al quadro globale entro cui si muovono queste «Linee per la Formazione» del Salesiano coadiutore.
4.1.1 I contenuti specifici
Il Rettor Maggiore, appunto, si faceva eco di una preoccupazione del CG21, quella di una certa «assenza di contenuti specifici per la formazione del Salesiano coadiutore»[9] e ne segnalava alcuni «da tener presenti in tutte le fasi, integrandoli costantemente nella doppia istanza di «studio-riflessione» e di «pratica-esperienza».
Essi sono:
— una formazione religioso-salesiana che aiuti il Confratello coadiutore [pag. 165] a comprendere l’originalità propria della nostra Società;
— un’adeguata preparazione pedagogica, umanistica e salesiana;
— una sufficiente competenza apostolica con approfondimenti teologici e catechistici;
— una preparazione tecnico-professionale, secondo le capacità e le possibilità dei singoli in ordine al carattere educativo-pastorale della nostra vocazione;
— un’educazione socio-politica che prepari a una specifica azione educativa, specialmente in ordine al «mondo del lavoro».[10]
Certo, in tutto questo, concludeva, bisognerà essere attenti alla varietà caratteristica che la dimensione laicale presenta e alle possibilità concrete dei singoli.[11]
Alcune di queste indicazioni richiamano valori umani e di grazia; altre atteggiamenti secondo cui tendere all’azione, altre ancora sono competenze da acquisire.
Bisogna dunque entrare in un processo formativo che aiuti a identificare i valori della consacrazione apostolica laicale, per altro già in gran parte indicati nelle pagine che precedono; un processo formativo che aiuti a farli propri, a farli diventare cioè i motivi primari di quel che si pensa, si vuole, si opera, i motivi primari degli atteggiamenti e dei comportamenti, con mezzi e metodi adatti.
Il discorso sarà globale («è da tener presente in tutte le fasi», scriveva il Rettor Maggiore),[12] anche se per alcune di esse, per il postnoviziato e il postirocinio, si farà più particolare e diretto per la complessità e l’importanza che queste fasi rivestono.
4.1.2 L’ordinamento dei contenuti
Tratteremo dunque:
– dei valori e degli atteggiamenti propri della consacrazione apostolica del Salesiano coadiutore. Dopo averli identificati globalmente (nella «speciale Alleanza che il Signore ha sancito con noi»,[13] la missione, la comunità fraterna, uno stile di vita evangelica vissuta [pag. 166] con radicalità), ne porremo in evidenza alcuni più decisivi per la sua formazione;
– della dimensione costitutiva e della sensibilità caratteristica con cui il Salesiano coadiutore li vive: la «sua» laicità;
– della sua umanità, su cui i valori e gli atteggiamenti della consacrazione apostolica s’innestano come un dono e da cui si esprimono nella testimonianza, nell’annuncio e nella carità pastorale;
– del metodo per farli propri. Nessun valore vocazionale vale «per sé», se non lo si è fatto entrare nella propria vita e non diventa la motivazione primaria delle sue scelte;
– della sua formazione intellettuale e dei curricoli di studio, relativi soprattutto al postnoviziato e al postirocinio.
4.1.3 Un processo unitario e complesso
Come si può ben capire, il processo è unitario: «tutta la formazione tende allo sviluppo dell’identità vocazionale» e trova in essa «le radici della sua unità».[14] Nasce quindi la necessità di avere dell’identità salesiana l’idea più certa e vera possibile.[15]
È anche un processo complesso. Ha, infatti un’unica finalità, ma vissuta in forme vocazionali specifiche e complementari. Educatori-evangelizzatori dei giovani si diventa nella forma laicale o presbiterale. È una comune vocazione, egualmente salesiana, ma distinta e complementare nei servizi e nei ministeri.[16]
Per questo, l’uno e l’altro, il Salesiano prete e il Salesiano coadiutore, ricevono un’eguale prima formazione con un «curricolo di livello paritario, con le stesse fasi e con obiettivi e contenuti simili. Le distinzioni sono determinate dalla vocazione specifica di ognuno, dalle doti o attitudini personale e dai compiti del nostro apostolato».[17] [pag. 167]
È complesso, questo processo formativo, anche perché intende sviluppare nella persona la totalità delle dimensioni che compongono la sua vocazione, armonizzandole in unità vitale, con equilibrio e senza frammentazione.[18] Intende anche garantirne l’assimilazione, una volta rimossi i possibili impedimenti e adottati mezzi e metodi adatti. È un punto d’interesse e d’impegno decisivo se ci si muove in vista di una «formazione rinnovata».
4.2 IDENTIFICARE I VALORI
L’art. 3 delle Costituzioni costituisce un buon quadro di riferimento. I valori vi sono collocati con chiarezza, secondo un certo ordine, distinti fra loro eppure inseparabili e dunque influenti gli uni sugli altri e insostituibili: «La nostra vita di discepoli del Signore, dice l’articolo, è una grazia del Padre che ci consacra col dono del suo Spirito e ci invia ad essere apostoli. Con la professione religiosa offriamo a Dio noi stessi per camminare al seguito di Cristo e lavorare con Lui alla costruzione del Regno. La missione apostolica, la comunità fraterna e la pratica dei consigli evangelici sono gli elementi inseparabili della nostra consacrazione, vissuti in un unico movimento di carità verso Dio e verso i fratelli. La missione dà a tutta la nostra esistenza il suo tono concreto, specifica il compito che abbiamo nella Chiesa e determina il posto che occupiamo tra le famiglie religiose».
4.2.1 In «una speciale Alleanza»
In «una speciale Alleanza», la missione apostolica, la comunità fraterna, uno stile di vita vissuta con radicalità evangelica sono i valori propri della consacrazione del Salesiano.
Sono quei valori che lo fanno autentico e lo motivano nel suo essere e nel suo fare quando li vive «in un unico movimento di carità verso Dio e verso i fratelli». [pag. 168]
Non è inutile ricordarli. Non si devono dare per scontati perché, senza, tutto diventa falsato. [19] È quanto Giovanni Paolo II sottolineava parlando alla plenaria della Congregazione per i Religiosi e gli Istituti secolari: «È necessario… sottolineare come la formazione del religioso deve mirare in modo speciale alla«sapienza del cuore: a quella sapienza, dono dello spirito, che lo rende veramente intimo del Signore e profondo conoscitore della sua volontà. Questa sapienza contribuisce molto più alla salvezza del mondo che non il moltiplicarsi di attività esteriori non animate da tale spirito soprannaturale».[20]
La grazia che fu data a Don Bosco ed è partecipata ai suoi figli è interna a un mistero di Alleanza. È infatti, fondamentalmente, una particolare esperienza teologale. La sequela di Cristo in vista della edificazione del Regno di Dio nei giovani e in se stessi,[21] l’unione col Padre che ci consacra ed invia,[22]l’attenzione e la docilità allo Spirito, fonte di santificazione e rinnovamento sono le presenze che la compongono.[23]
Perché il mistero resti vivo e muova con la sua forza ogni attività, vanno coltivati gli atteggiamenti che gli corrispondono.[24] Essi sono: la centralità e l’assoluto di Cristo Signore che comunica nel Padre e nello Spirito la sua forza e il suo amore; il dono della paternità di Dio che ravviva continuamente la dimensione divina delle nostre attività; il sentimento della propria filiale appartenenza, che si manifesta partecipando, come Salesiano laico,[25] nella Chiesa, alla Sua carità paterna e trova in essa «l’origine ultima e la fonte che alimenta perennemente la missione;[26] la presenza infine dello Spirito Santo, di cui si è pronti ad accogliere l’iniziativa e l’azione per crescere nell’amore di Dio e dei giovani.[27] [pag. 169]
Non si pensi che tutto sia già fatto quando i valori si conoscono, si apprezzano e si coltivano col desiderio o quando ci si entusiasma per essi. Son tutte cose buone, ma da sole non bastano. Dopo aver conosciuto che cosa vuol dire essere salesiani (valori e atteggiamenti), bisogna poi diventarlo «vivendo e lavorando per la missione comune», a certe condizioni.[28] Bisogna cioè camminare («processo») per formarsi, utilizzando quei mezzi e metodi che le scienze dell’educazione e la nostra tradizione ritengono più congeniali al nostro spirito ed efficaci allo scopo.
Neppure si pensi ad un genericismo astratto, quasi che i valori esistano come a sé stanti. Sono vissuti in forme vocazionali distinte. Il Salesiano prete li vive come prete, il Salesiano laico li vive come religioso laico, componenti a loro volta di una comunità anch’essa con caratteristiche così originali che, per essere salesiana, ne richiede la presenza.
E sono vissuti in un contesto storico preciso. Questa «speciale Alleanza», sigillata dalla Professione perpetua, viene fatta nel tempo. Ha una data. Si colloca cioè in un contesto storico che continuamente provoca e sensibilizza l’esperienza dell’uomo in continua ricerca dell’interpretazione di se stesso. Evangelizzarsi ed evangelizzare vuol dire tradurre in proposta culturale credibile, perché la si vive, l’interpretazione che dell’esistenza umana dà il Signore.
Occorre ripensare la cultura alla luce della rivelazione e la rivelazione alla luce della promozione umana.
L’uomo moderno, i giovani, oggi, sono più realistici e pragmatici. Quanti vanno verso di loro per offrire una proposta di salvezza non possono ignorare gli aspetti concreti della loro vita, le loro sensibilità, le situazioni di fatto, i rapporti che vivono col mondo economico, [pag. 170] sociale e politico. Devono cercare la risposta che il messaggio cristiano può offrire a queste sollecitazioni. Esse sono personali, ma anche e sempre più sociali, pubbliche e interpersonali, sempre più pratiche e concrete. Così le realtà terrestri, il lavoro, la pace, lo sviluppo, la politica, il gioco, la cultura sono stati oggetto, più o meno fortunato, della riflessione teologica e della teologia della vita religiosa. Queste riflessioni hanno via via spostato l’interesse da queste realtà oggettive, in sé considerate, all’uomo e alla sua promozione.
In questo si sono lasciate muovere dal modo nuovo di concepire il rapporto uomo-mondo, presente nella premessa che introduce la Gaudium et Spes. Là il mondo e le realtà terrene non stanno più di fronte all’uomo per reclamare un loro senso. Sono considerate piuttosto in funzione dell’uomo, come mezzi per il suo sviluppo. Lo sguardo si volge all’uomo, al suo potere di fare e, in connessione con questo, alla sua importanza sociale. Alcuni problemi, infatti, quelli dello sviluppo, per esempio, sono affrontati nella prospettiva ampia della società e delle grandi masse e si trasformano, sotto questo aspetto, da problemi di etica individuale in problemi di etica sociale.
Chi ha per vocazione il dono della predilezione per i giovani dovrà vivere un’esperienza concreta di fede e di umanità che testimoni e annunci l’assoluto di un Dio che salva in questo contesto, valorizzando gli elementi tipici di una vocazione religiosa che, perché laicale, lo pone in contatto più facile di comprensione, sintonia personale e possibilità operative.
4.2.2 La missione apostolica
Questa Alleanza, come sorgente che non si spegne, fa nascere da sé, con ricchezza di grazia attuale e di adattabilità, la missione.
La dedizione ai giovani, specialmente i più poveri, è stato per Don Bosco l’itinerario dove si è fatta reale la sua consacrazione: consacrato da Dio «per» i giovani, offerto a Dio «nei» giovani. Era completamente dedicato a loro, completamente riservato per loro e, nello stesso tempo, realizzato in loro. Amare i giovani non significava per lui soltanto suscitarne l’affetto, ma anche sentirne l’attrattiva, [pag. 171] esserne soggiogati, avvertirne il ruolo insostituibile nella propria vita.[29]Nell’unità della carità pastorale, frutto per eccellenza della formazione religiosa e umana, trovano senso e unità i due poli che movimentano la vita del salesiano: Dio e i giovani. Egli avverte in sé il bisogno di un’intensa presenza a Colui che lo invia e, insieme, a coloro a cui è mandato.[30] Rendere concrete queste aspirazioni nel «dove» e nel «come» viene compiuta la missione, vuol dire anche trovare spazio e significato all’originalità della vocazione del Salesiano coadiutore.
A. I valori e gli atteggiamenti del «senso pastorale»
Il desiderio di un’intensa presenza a Colui che lo manda solleciterà il Salesiano coadiutore a condividere l’ansia di Gesù per l’avvento del Regno;[31] a percepire nella storia il disegno di Dio che opera per la salvezza e il mistero di iniquità che gli si oppone. A questo fine si educherà a un forte senso di Chiesa, perché «evangelizzare non è mai per nessuno un atto individuale e isolato, ma un atto profondamente ecclesiale… e nessun evangelizzatore è padrone assoluto della sua azione evangelizzatrice».[32] Saprà crescere nella spiritualità eucaristica e mariana che lo fanno cooperatore di Dio: «Delle cose divine, la più divina, diceva Don Bosco, è cooperare con Dio alla salvezza delle anime».[33] Nello spirito di preghiera scoprirà e apprezzerà le leggi che si dicono «apostoliche»[34] e che peraltro esigono anche il fervore delle nostre capacità e competenza. Nutrirà finalmente la propria vita di fiducia, di intraprendenza e di gioia, anche nelle fatiche.[35]
Il desiderio di un ‘intensa presenza ai giovani a cui è mandato impegna il suo «senso del concreto» a promuovere nella comunità e in sé alcune sensibilità sulla misura delle loro esigenze. [pag. 172]
Quali?
– il senso dell’uomo come libertà, per esempio, che progetta la propria vita e utilizza il mondo come materiale messo in movimento dalla sua creatività;
– il senso morale che percepisce la storia come compito e responsabilità;
– il senso della partecipazione che fa prendere coscienza, oggi, della cultura umana come «cultura socializzata» dove gli sforzi per la costruzione e la difesa della città terrestre o sono comunitari o non sono efficaci;
– il senso della prospettiva che intende la storia come liberazione progressiva e integrale, dove salvezza e processo storico sono dimensioni della medesima «libertà».
La comunità apparirà allora come una fraternità che scende dal cielo, ma che muove anche dalla terra, visto che il Figlio di Dio per salvarci «spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e diventando simile agli uomini»; una comunità fatta di persone che sono segno di altre Persone, il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo. Persone che si vedono e si capiscono come segno e questo vogliono: diventare una proposta e una risposta per chi vive.
B. Capacità per l’azione
Il «senso del concreto» e il desiderio di offrire la salvezza o di promuoverla dove essa è già presente in germe porta il Salesiano coadiutore ad attrezzarsi «concretamente»: ad essere capace cioè di analisi e di valutazioni critiche di una determinata situazione pastorale; a saper definire in modo realistico e creativo una strategia d’intervento con obiettivi, tempi, operatori e ruoli ben precisati; a utilizzare i mezzi della comunicazione sociale; a farsi sensibile ai problemi del «mondo del lavoro» inteso come processo produttivo, non necessariamente industriale, che segna di sé la vita di tanti giovani bisognosi.
E ad evitare un rischio! Le specializzazioni sono insostituibili nei loro servizi. Non si può evangelizzare soltanto con la «buona volontà». Ma le loro esplorazioni, cariche di attrattiva, devono semmai condurre, non distrarre dall’attenzione allo Spirito. Se le ispirazioni dello Spirito non si armonizzassero con l’organizzazione del [p. 173] nostro fare, si dirotterebbe dalla prospettiva della santità, si perderebbe «la sapienza del cuore», si provocherebbero scollamenti nell’unità visibile della missione e si darebbero motivi seri per le crisi più varie.
C. Funzioni, ministeri e campi di azione
La forma vocazionale laicale e la sua specificità si realizzano nei vari campi di azione e nei ruoli che il Salesiano coadiutore ricopre e per i quali si prepara. In oltre cento anni di storia, i Salesiani coadiutori hanno disimpegnato una vastissima gamma di attività che si possono distribuire, in linea di massima, su tre categorie:
– le funzioni educative, sociali, formative e pastorali: responsabilità direzionali in vari settori; attività scolastiche e culturali, soprattutto in scuole tecniche e professionali; attività evangelizzatrici nelle missioni; animazione di associazioni e circoli apostolici, di gruppi sportivi, musicali e drammatici; animazione del tempo libero; produzione e uso dei vari strumenti della comunicazione sociale; avviamento al mondo del lavoro, formazione sociale;
– le attività cosiddette terziarie: economi, contabili, commissionieri, segretari, rappresentanti di settori, infermieri, sacristi, organizzatori del personale di servizio;
– i servizi domestici: collaboratori in casa, disposti ad occuparsi di qualunque lavoro in cui si sentano anche solo un po’ competenti; incaricati dell’ordine e della pulizia, addetti ai lavori di campagna, cuochi, panettieri, elettricisti, incaricati della portineria o anche preziosi «factotum».
Si tratta di attività e servizi che richiedono attitudini diverse e preparazioni distinte.[36] Esse, giova ripeterlo, non vanno ridotte unicamente a mestieri o professioni. Occorre che siano considerate e vissute come apostoliche: hanno infatti un senso educativo pastorale all’interno della comunità apostolica, costituiscono una vera testimonianza comunitaria, sono profondamente collegate fra loro e tutte insieme finalizzate all’attuazione dei beni del Regno di Dio.[37][pag. 174]
Nell’esortazione apostolica dedicata all’evangelizzazione, Paolo VI valutò positivamente il fatto che, in numerose chiese, gruppi di religiosi e di laici si dimostrassero aperti ai ministeri non ordinati, assicurando così speciali servizi capaci di ringiovanirne e rafforzarne il dinamismo evangelizzatore.
Segnalò, a mó di esempio, i ministeri di catechisti, di animatori della preghiera e del canto, di servitori della Parola di Dio o di assistenti ai fratelli più bisognosi, di capi di piccole comunità, di responsabili dei movimenti apostolici.[38]
Riconobbe poi che i laici possono anche sentirsi chiamati a «collaborare con i loro pastori nel servizio della comunità ecclesiale, per la crescita e la vitalità della medesima, esercitando ministeri diversissimi, secondo la grazia e i carismi che il Signore vorrà loro dispensare».[39]
La storia della nostra Congregazione ha conosciuto, di fatto, non pochi Salesiani coadiutori che hanno esercitato l’urta o l’altra funzione, annoverata oggi tra i ministeri non ordinati. Nel periodo del postconcilio alcuni hanno esercitato i ministeri di accolito, di lettore, di distributore straordinario dell’Eucarestia, oggi definitivamente riconosciuti dal nuovo Codice dalla recente Esortazione apostolica «Cristifidelis laici», come accessibili ai fedeli laici.[40]
Il CG21 ha accolto l’invito di Paolo VI e si è ripromesso che «anche i Salesiani coadiutori, convenientemente preparati, abbiano la possibilità di esercitare come religiosi i ministeri non ordinati a servizio dell’azione evangelizzatrice della comunità salesiana».[41] Non sembri, questo fatto, una rinnovata forma di «clericalizzazione». Si tratta piuttosto di una legittima riappropriazione di ministeri non ordinati che, nella storia della Chiesa, sopra tutto nel primo millennio, vennero generalmente esercitati dai fedeli laici. È inteso che chi accede a questi ministeri dovrà assicurarsi delle proprie opportune attitudini, e dell’aiuto di formatori competenti: possono offrirgli per il discernimento e una conveniente formazione teorico-pratica durante un tempo sufficiente.[42] [pag. 175]
L’elenco delle molteplici tradizionali funzioni del Salesiano coadiutore e quello dei ministeri non ordinati è un elenco indicativo; è quindi aperto e integrabile con altre funzioni e ministeri. La necessità di rispondere con una nuova evangelizzazione e con inventiva pedagogica alle domande e alle urgenze delle culture emergenti può suggerire funzioni e ministeri nuovi o rinnovati.
Secondo il pensiero di Don Bosco, riespresso dal CG21, «il Salesiano coadiutore può partecipare a tutti i compiti educativi e pastorali salesiani non legati al servizio specificatamente sacerdotale».[43]
Il testo delle Costituzioni riprende il concetto: egli opera «in tutti i campi educativi e pastorali» con compiti di ordine culturale, professionale, sociale ed economico, come pure di ordine catechistico, liturgico e missionario, dove porta «il valore proprio della sua laicità, che lo rende in modo specifico testimone del Regno di Dio nel mondo, vicino ai giovani e alle realtà del lavoro».[44]
D. Educatore alla fede nel «mondo del lavoro»
Il «mondo del lavoro», inteso come processo produttivo non necessariamente industriale, è uno dei campi preferenziali offerti alla responsabilità e competenza del Salesiano coadiutore, per tradizione e per l’urgenza dei tempi che corrono.
Dalle caratteristiche che la proposta educativa presenta egli può dedurre i contenuti e gli atteggiamenti che, come educatore, è chiamato a far propriper essere all’altezza del suo compito.
La proposta educativa infatti deve nascere da un progetto-uomo che integra tutti gli aspetti dell’esperienza umana, individuale e collettiva e si confronta con altri progetti, riferendosi continuamente ai valori dell’esperienza cristiana.
Non basta. A contatto con le condizioni degli ambienti di lavoro e dei giovani, che si preparano ad esservi impiegati e protagonisti, questa proposta dev’essere in grado di tradursi in una cultura, nella «cultura del lavoro». Essa deve diventare, per suo mezzo, una proposta educativa della cultura del lavoro.[pag. 176]
Domandarsi quali siano i contenuti e le istanze, negative e positive, di questa «cultura del lavoro» è quindi importante. Ci sembra di poterle indicare, al negativo, nell’assenza o nel decadimento di un’etica del lavoro degna dell’uomo; nella fuga dal lavoro come effetto di una concezione consumistica della vita; nella proiezione sul lavoro di atteggiamenti fortemente egoistici che producono, in maggiore o minor misura, il rivendicazionismo, l’assenteismo, il disinteresse.
Sul versante positivo notiamo invece: il ricupero della dignità umana del lavoro; il bisogno di partecipazione e di controllo; lo sforzo di ricomporre in modo significativo i processi produttivi; la domanda di formazione.
Questi contenuti vanno promossi con un’accorta metodologia. Don Bosco e la nostra tradizione suppongono sempre che si sia consapevoli dei bisogni reali di chi lavora e che si intervenga con un’azione ugualmente attenta al momento educativo e a quello dell’evangelizzazione. Per cui dovranno armonicamente combinarsi i due aspetti: quello dell’ascolto della domanda formativa che emerge dalla condizione giovanile e dalle classi popolari; e quello della soluzione complessiva dei loro problemi: offerta del pane e della Parola, del lavoro e della cultura, della garanzia dei diritti e delle motivazioni al dovere.
Così si precisano anche la finalità, lo stile e gli obiettivi della proposta.
Si tratterà di promuovere al medesimo tempo tutto l’uomo lavoratore e tutto il cristiano, riconsegnando il lavoro alla sfera dell’etica:[45] è il fine.
Si applicherà il criterio preventivo, anticipando tempi e ritmi di crescita contro i rischi di chi si espone, indifeso, alla logica e al clima ambivalente dei rapporti di produzione. Si utilizzerà inoltre un ambiente educativo in cui abbondano gli stimoli (spirito di famiglia, allegria, ottimismo, creatività e spontaneità, naturalezza dell’impegno e del sacrificio) per interiorizzare con serenità la severa etica del lavoro: è lo stile educativo.
Si darà il primato alla persona del giovane, futuro lavoratore, [pag. 177] rispetto alle preoccupazioni efficientiste della produzione; si convincerà il giovane, attraverso proposte positive, a non ridurre la formazione professionale all’indottrinamento o a un pericoloso pragmatismo, ma a muoversi piuttosto verso l’impegno di leader, capace di intendere e di scegliere la propria dedizione ai problemi del lavoro come vocazione e servizio. Sono gli obiettivi.
L’impegno di formazione professionale diventa allora un luogo di educazione alla fede, l’esperienza cioè in cui essa si esprime e si verifica. I Salesiani coadiutori, impegnati in «questo mondo», diventano «gli uomini del lavoro» delle comunità ecclesiali e anche della nostra Famiglia (animatori dei Cooperatori ed Exallievi lavoratori):[46] un carisma che la tradizione salesiana e Don Bosco oggi non vogliono perdere.[47]
Le diverse forme di presenza del Salesiano coadiutore, per essere significative della sua identità laicale e contribuire efficacemente alla realizzazione personale di questa proposta, devono rispettare alcune condizioni che il CG21 descrive in questi termini: egli
– «non dimentichi mai che è sempre e dovunque un educatore salesiano, il cui obiettivo deve essere quello di portare i diversi elementi di questa realtà sociale al servizio dei valori individuali e collettivi della persona per aprirla, così promossa, a trovare nella fede la sua piena e totale realizzazione»;
– sia fedele al suo essere «religioso salesiano laico».
E cioè:
– «sappia cogliere il bene presente nel mondo del lavoro(un progetto di società e di uomo personalistico, comunitario e solidale), ma contemporaneamente segnali i mali che lo minacciano (visione materialistica della vita, chiusura alle realtà spirituali, individualismo, invidia, sentimenti di ostilità, tentazioni della violenza)». Il criterio dell’incarnazione lo muoverà ad essere attento a tutto ciò che vi è di positivo, resistente a ciò che vi è di negativo, critico verso ciò che si può purificare o riorientare, annunciando il cristianesimo come novità assoluta che porta ogni cultura e ogni persona alla salvezza; [pag. 178]
– difenda e promuova questi valori come religioso, tutto orientato a Cristo, fondamento e vertice degli stessi valori umani; potrà (così) più facilmente individuare i pericoli che li minacciano e aiutare gli altri a superarli;
– testimoni, mediante il disinteresse e l’amore con cui si dona incessantemente, una solidarietà profonda e universale che dovrebbe mettere in crisi ogni forma di egoismo, di sfruttamento e di esclusiva ricerca del proprio interesse;
– riveli il regno di Dio già presente nel mondo e nella storia e proprio in questo modo specifico annunci profeticamente il Regno futuro.[48]
4.2.3 La comunione nella comunità
La «speciale Alleanza che il Signore ha sancito con noi»,[49] non è solo missione, ma come sorgente che non si spegne, fa nascere da sé, con ricchezza di grazia attuale, la comunione nella comunità, uno stile di vita vissuta con radicalità evangelica, la preghiera.
Don Bosco, un santo così attivo, sottolinea il carattere realizzatore del comandamento della carità. La carità costruisce l’unità e la comunione ai livelli profondi nella comunità.[50] Vi è in essa una particolare densità teologale che presenta aspetti anche operativi, ma che infine sulla dimensione organizzativa del «fare», privilegia un’organizzazione in vista dell’«essere» e del «vivere» insieme.
Don Bosco chiamava la Congregazione «Società di San Francesco di Sales» mettendo in evidenza la duplice intensità del nostro essere comunione: quella di «chiesa» e quella di «realtà umana», compaginata da fraternità vissuta e da ideali condivisi. Un «vivere insieme autentico» per un «annuncio autentico».[51] [pag. 179]
4.2.4 Uno stile di vita vissuto con radicalità evangelica
«Con la professione religiosa intendiamo vivere la grazia battesimale con maggior pienezza e radicalità».[52]
I consigli evangelici, vissuti nello spirito delle beatitudini, diventano il segno di un’esistenza orientata alla speranza: «L’offerta della propria libertà nell’obbedienza, lo spirito di povertà evangelica e l’amore fatto dono nella castità fanno del Salesiano un segno della forza della risurrezione. I consigli evangelici, configurando il suo cuore tutto per il Regno, lo aiutano a discernere e ad accogliere l’azione di Dio nella storia; e nella semplicità e laboriosità della vita quotidiana, lo trasformano in un educatore che annuncia ai giovani cieli nuovi e terra nuova, stimolando in essi gli impegni e la gioia della speranza».[53]
Poiché oggi la vera questione non è di sapere, come si potrebbe credere, se il radicalismo evangelico è veramente possibile a viversi da uomini come siamo noi in un mondo com’è il nostro; ma, piuttosto, se un tale progetto non è malgrado e a causa di una rottura apparente con la situazione ordinaria degli uomini, dei giovani specialmente, la condizione stessa che salva questo mondo.[54]
Essere obbedienti, nella fede, attraverso il Superiore, al progetto di Dio, come creature libere che invocano e cercano la sua volontà, alzando gli occhi verso l’alto, ma abbassandoli anche verso i giovani che invocano la salvezza, colloca l’obbedienza entro il mistero di Dio e insieme entro il mistero del mondo, dove si fa operante. Essa libera sicuramente dai riflessi di assoluto di cui si veste illusoriamente «l’idolo del potere»[55] e ne comunica la forza ai giovani perché anch’essi realizzino questa libertà.
Essere evangelicamente poveri non è più soltanto una virtù personale. È anche la contestazione di un mondo che organizza se stesso secondo l’ideale della produzione e del consumo e che, a questo scopo, crea e diffonde continuamente il dominio dell’uomo sull’uomo e delle cose su tutti gli uomini, dominatori e dominati. Ed è [pag. 180] virtù evangelica perché, al di là del breve respiro delle nostre tecniche, vuol dimostrare che, seguendo Cristo, è possibile esistere in un modo diverso da quello che il mondo impone, un mondo sgombro da sicurezze troppo mondane, un mondo appunto di povertà.
Essa libera sicuramente i Salesiani e i giovani dai riflessi di assoluto di cui si veste illusoriamente «l’idolo del possesso»,[56] sempre che ci si disponga a educare in se stessi una mentalità e un’anima «evangelicamente povere».
Essere evangelicamente casti batte un certo tipo di fatalismo psichico che irride alla forza della libertà come a un tentativo abortito dentro il mondo dei bisogni insuperabili e nega che si possa crescere e donare attraverso le rotture con «le così dette necessità».
Il Salesiano offre al Signore Gesù e al Padre le sue forze fisiche e affettive come testimonianza di pieno amore di comunione con loro e di disponibilità per il Regno.[57] La consacrazione nella castità apre il cuore alla paternità spirituale,[58] libera e potenzia la capacità di farsi tutto a tutti, favorisce vere amicizie e contribuisce a fare della comunità una vera famiglia.[59] È un amore che non si ferma su sé stesso, ma diventa segno trasparente dell’amore di Dio ai giovani che conoscono di essere amati e, a loro volta, riamano col medesimo amore.[60]
Essere uomini di preghiera! Il CG22, collocando la preghiera a fine dei capitoli IV, V e VI, quasi fosse una loro conclusione, intese «far percepire che la vita consacrata apostolica del Salesiano, con la varietà dei suoi impegni fra i giovani, con la fraternità vissuta nella comunità e con le esigenze di obbedienza, castità e povertà, ha un carattere talmente soprannaturale da essere impossibile e impraticabile senza la grazia dello Spirito che viene continuamente comunicata attraverso la preghiera e i sacramenti.[61]
Il nostro incontro di «Alleanza» si esprime, si celebra e trova la sua forza nel dialogo orante con il Signore. Questo dialogo impegna [p. 181] tutta l’esperienza vocazionale e riceve da essa, per un processo creativo di affinità, il suo stile specifico e i criteri secondo cui creare e scegliere le forme di preghiera più congeniali.
È il dialogo di un apostolo che, quando prega, risponde all’invito del Signore, ravviva la coscienza della sua intima e vitale unione con Lui e della sua missione di salvezza.[62]
Le modalità, laicali le une, presbiterali le altre, con cui i SDB vivono questi valori sono specifiche e complementari. Se ci si fermasse alle sole modalità e si abbandonassero i contenuti comuni, avremmo come una forma vuota, una bellezza senza sostanza; se ci si fermasse ai soli contenuti senza valorizzarne le modalità cadremmo in un genericismo astratto e in una comunità senza originalità.
Li abbiamo però voluti richiamare, pur avendo svolto con più ampiezza, e intenzionalmente, la missione, perché essa stessa li richiama come condizione insostituibile della sua efficacia e perché, impegnandosi nella interiorizzazione degli atteggiamenti corrispondenti e nell’uso dei mezzi,[63] i SDB ad essi configurino la loro vita per l’educazione alla santità che i giovani attendono.
4.2.5 La «laicità» del Salesiano coadiutore: un modo di essere e di operare
Gli Istituti di vita attiva, di fatto così diversi fra loro, assumono, secondo modalità originali, una vera dimensione secolare e riflettono in essa parte di quel realismo storico che è di tutta la Chiesa nella sua missione di sacramento universale di salvezza. Nella nostra Società sono i Confratelli coadiutori ad assicurare una presenza laicale e a svolgere ruoli che manifestano e traducono in pratica questa dimensione. Essa fa parte della loro forma vocazionale, non è semplicemente un mestiere o un servizio.
La nostra Congregazione «coltiva in sé una spinta profana di [pag. 182] fermento apostolico nella storia, per cui vive religiosamente immersa e interessata alle vicissitudini concrete della società umana».[64] Quello che Giovanni Paolo II, nel discorso citato, giudicava «opportuno» e «necessario in alcune ‘situazioni particolarmente gravi’», l’impegno cioè nel vasto campo della solidarietà umana, per noi, se riferito all’educativo e al sociale, è consueto e ordinario.
La stessa spiritualità dell’azione, esplicitamente interessata ai valori temporali, traduce le ricchezze della dimensione contemplativa e dei voti religiosi in energie di educazione. Più particolarmente, la missione giovanile e popolare muove il Salesiano coadiutore ad essere educatore sociale aprendo gli orizzonti della crescita umana all’indispensabile mistero di Cristo.[65]
La dinamica della sua consacrazione si muove in special modo e in forma indissolubilmente unita a determinati problemi di promozione umana. Per questo deve conoscere, stimare e interiorizzare i valori e gli atteggiamenti della laicità consacrata.
Globalmente, come religioso, egli annuncia direttamente i valori definitivi del Regno di Dio, le beatitudini. Rinuncia, per l’esperienza che ne fa e per una loro radicale testimonianza, ad alcuni strumenti e strutture del mondo, al matrimonio per esempio, e ne crea altre che esprimono visibilmente il senso della sua vocazione e sono giustificate per la forza della fede, com’è la comunità fraterna.
Ma approfitta, come Salesiano laico, di tutte le occasioni che una laicità sulla sua misura gli offre[66] per trovare al suo carisma, che ha una sua essenziale proiezione educativa, spazi di secolarità propri, ma i più ampi e comprensivi possibili, perché entro quelli si muovono le possibilità educative in vista dell’evangelizzazione dei giovani.
Più in dettaglio, egli «porta in tutti i campi educativi e pastorali il valore della sua laicità che lo rende in modo specifico testimone del Regno di Dio nel mondo, vicino ai giovani e alle realtà del lavoro».[67]
Questi valori, se assimilati, motiveranno in lui un certo numero di atteggiamenti fondamentali. Alcuni di essi esprimono piuttosto il suo riferimento al mondo, altri la qualità dei suoi rapporti interpersonali.
Eccone alcuni tra i primi.
Coltiva il desiderio e le attitudini per essere una presenza utile nella storia, optando coraggiosamente per l’uomo, per i giovani poveri specialmente e per il loro difficile avvenire. Considera il mondo come spazio della propria vita di fede e della sua carità pastorale. Non accetta un impegno cristiano superficiale e astratto, lontano dalle esigenze della situazione.[68] Si interessa alla realtà oggettiva delle cose, vuole conoscerle anche se complesse, anche se esigono studio, attenta sperimentazione e professionalità. È fermo sui fini, flessibile nella scelta dei mezzi e delle strategie. Coltiva la conoscenza del mondo del lavoro e della sua cultura.
E tra i secondi.
Sviluppa il senso del possibile e del probabile nelle congiunture socio-culturali. Di conseguenza non assume toni dogmatici rispetto a ciò che è discutibile. Rispetta il pluralismo e apre il dialogo con tutti. Cresce nelle iniziative, nella fantasia pedagogica e nella inventiva pastorale. È generoso nella collaborazione ed apprezza l’organizzazione. Finalmente si sente partecipe di un progetto di vita, quello salesiano, capace di educare alla fede nel profano i giovani più bisognosi.[69]
La laicità del Salesiano coadiutore dal voltò ricco di questi lineamenti, lo abbiamo detto, è una laicità complementare. Si traduce in esperienze e attività che integrano quelle del Salesiano prete in vista della vita comune e della comune missione.
Va però notato che «nella comunità salesiana, all’infuori dei ruoli e dei ministeri strettamente laicali o sacerdotali, non ci sono zone o azioni assolutamente proprie dei Salesiani coadiutori e dei Salesiani preti».[70] «Anzi è da desiderare e da promuovere che certi servizi domestici giornalieri e d’impegno passeggero siano sempre [pag. 184] più assunti insieme, in semplicità di collaborazione, da tutti i componenti della comunità».[71]
In tutti questi casi, il contributo specifico dei Confratelli coadiutori ricorda il CG21, «consiste piuttosto nel realizzare i diversi compiti o ruoli del servizio salesiano con stile, spirito e dimensione laicale o sacerdotale».[72]
4.2.6 Una crescita costante in «umanità»
I valori e le tendenze all’azione propri della nostra consacrazione apostolica sono doni di Dio, ma non vivono nel vuoto: essi si innestano come dinamismi nell’umanità del Salesiano coadiutore e si esprimono attraverso questa stessa umanità nella testimonianza e nell’esercizio della carità pastorale.
La santità della vita consacrata non dipende certo dalle indicazione delle scienze dell’uomo e dell’educazione. È frutto dell’azione gratuita di Dio. Ma le virtù e le attitudini umane, presenti o mancanti, possono disporre a ricevere più o meno favorevolmente l’azione di Dio e, più ancora, ad operare in modo più o meno efficace nell’attività educativa.
Questi motivi, specialmente se riferiti a una vocazione com’è la nostra, educatrice ed evangelizzatrice al medesimo tempo, spiegano l’importanza che leCostituzioni attribuiscono ai valori umani e al loro rapporto con i valori trascendenti: cerchiamo di «crescere nella maturità umana»[73] e, allo stesso tempo, di «conformarci più profondamente a Cristo, di rinnovare la fedeltà a Don Bosco per rispondere alle esigenze sempre nuove della condizione giovanile e popolare».[74]
La buona salute e la resistenza fisica, la maturazione intellettuale e una progressiva capacità di riflessione e di giudizio, l’equilibrio e l’adattamento psichico sono fra i valori e gli atteggiamenti più richiesti dal nostro processo formativo.[75] [pag. 185]
Di alcuni, non di tutti, faremo cenno,[76] tenendo conto anche della situazione sociale che, dove più dove meno, mette in attività meccanismi di ritardo del processo evolutivo normale.
A. Una buona salute psichica: integrazione
Unificare sempre più e meglio la persona attorno al proprio progetto di vita è causa ed effetto di una buona salute psichica. Costruirsi una personalità chiaramente integrata per vivere in fedeltà e libertà la propria consacrazione apostolica, per poter intervenire efficacemente nel lavoro educativo, per vivere serenamente la vita comunitaria è un’esigenza sentita da Don Bosco stesso che di «uno splendido accordo di natura e di grazia», fuse «in un progetto di vita fortemente unitario»[77] è il modello primo.
Il Salesiano coadiutore deve dunque curare:
– la capacità di conoscere e accettare la realtà, di giudicare oggettivamente persone, cose, situazioni;
– la stabilità interiore nelle convinzioni, non più dipendenti da conformismi, da entusiasmi superficiali o da delusioni;
– un comportamento sociale ben adattato e la capacità di essere se stesso, pur integrandosi nel gruppo a cui appartiene;
– un comportamento emotivo e affettivo che manifesti una certa uguaglianza di carattere, il dominio sulla paura e la malinconia, sull’attrazione e la repulsione istintiva; un comportamento che mortifichi «ogni moto disordinato, la collera specialmente e gli affetti sensibili»,[78] la propensione alla poltroneria e alla golosità»[79];
– una sufficiente capacità di autogoverno, di responsabilità della propria vita, di iniziative e di decisioni ponderate e libere, di coraggio nell’affrontare gli ostacoli e nell’integrare limiti e insuccessi, di perseverare nelle decisioni prese.
La società non aiuta questi comportamenti. Anzi, spesso, crea ostacoli difficili, a prima vista insuperabili. Essi congelano la persona [pag. 186] in uno stato di indefinitezza e di dubbio che non permette ordinariamente di affrontare le proprie responsabilità. Si cercano punti di appoggio e di riferimento, ma sono anch’essi, per la maggior parte, luoghi comuni carichi di superficialità.
Non vi è dubbio che i nostri giovani Salesiani coadiutori per salvare la propria perseveranza e per diventare modelli che aiutano i giovani a liberarsi e a costruirsi devono conseguire una personalità ancor più equilibrata e matura.
B. Le virtù sociali
Formarsi alla comunicazione e alle virtù sociali è l’altro aspetto di un’umanità che vuol crescere ed essere efficace nel suo servizio. Il Salesiano coadiutore è chiamato ad acquistare una grande capacità di contatto e uno stile di relazioni segnato dalla semplicità, dalla delicatezza, dalla serenità.
Vale per lui ciò che si trova anche in altri contesti: «impari a stimare quelle virtù che sono tenute in gran conto tra gli uomini e rendono accetti.[80] Veda anche di «coltivare a fondo la capacità di venire in contatto con uomini di diversa condizione. Impari soprattutto l’arte di parlare agli altri in modo conveniente, di ascoltare pazientemente e di comunicare con loro, col massimo rispetto di ogni genere di persone, animato da umile amore».[81]
Di fronte a quelle «libere» opinioni che chiamano autenticità e libertà i modi trascurati e talvolta grossolani di comportarsi, il Salesiano coadiutore, specialmente negli ambienti di lavoro, sa «unire la spontaneità alla delicatezza».[82]
La sua comunità, in ogni caso, è il luogo dove egli si forma, più che altrove, allo stile salesiano delle relazioni. Il Salesiano coadiutore sa valutare la qualità delle sue relazioni quotidiane e sa quanto è importante contribuire, a costo di coraggiose rinunce, a formare un clima di vera fraternità dove si armonizzino obbedienza e libertà, si superino simpatie e antipatie, siano riconosciuti e promossi la ricchezza e il valore di ciascuno, resa possibile l’amicizia.[83]
Poiché la società spesso contrasta il raggiungimento di questi obiettivi, accenniamo brevemente alle attività e ai mezzi che la nostra FSDB prevede per migliorare l’unificazione della propria vita e la formazione alle virtù sociali.[84]
C. La maturità intellettuale: intelligenza, capacità di riflessione e di giudizio
Il CGS si augurava per la Congregazione «un nuovo tipo di uomo, capace di superare l’ansia provocata dai cambiamenti e di continuare a cercare senza adagiarsi in soluzioni fatte; disposto ad imparare e ad affrontare il nuovo, a dialogare senza chiudersi, ad accettare l’interdipendenza e ad esercitare la solidarietà; capace di distinguere il permanente dal mutevole, senza estremismi».[85] È il tipo d’uomo aiutato a questi atteggiamenti anche della maturazione della sua intelligenza, e dalla riflessione e dal giudizio, due doti importanti più che non sia un puro possesso di nozioni.
L’intelligenza va coltivata proporzionando il «come» studiare e il «che cosa» studiare alle propensioni personali, alle capacità possedute, alla forma vocazionale scelta, al tipo d’impegno che si vive nella missione, ai bisogni della comunità ispettoriale.
L’intenzionalità vocazionale, chiarita e approfondita attraverso lo studio delle discipline salesiane, motiverà gli studi che si fanno e gli atteggiamenti che si suggeriscono. La vocazione con le sue esigenze indirizza le scelte, motiva le persone e la loro fatica, unifica la molteplicità degli studi e dona sapienza alla riflessione e al giudizio.
Dell’argomento vedremo meglio quando, tra poco, tratteremo della formazione intellettuale nel postnoviziato e nel postirocinio, le due fasi in un certo senso più nuove per la formazione iniziale del Salesiano coadiutore. [pag. 188]
4.3 UN METODO: MOTIVARE GLI ATTEGGIAMENTI E FARNE ESPERIENZA
Fin qui, via via che scorrevano davanti agli occhi i doni di grazia e di natura della consacrazione apostolica del Salesiano coadiutore e i valori e gli atteggiamenti corrispondenti, si potevano avvertire due impressioni: quella di avvedersi, da una parte, di quanto il processo formativo sia ricco e complesso e, per questo, non facile; e, dall’altra, quella di cercare il «come fare» perché questi stessi valori motivassero gli atteggiamenti e i comportamenti e non rimanessero nella mente aumentando il bagaglio delle nozioni e niente più.
Lo sconforto o il dubbio devono venire tempestivamente superati. Possedendo una visione globale del processo, si dovrà sempre iniziare a lavorare su una dimensione importante della persona, magari attualmente carente. Il rapporto con il resto sarà via via un’esigenza.
4.3.1 Un aspetto previo e decisivo: le motivazioni primarie
Più importante invece è l’assunto di costruire la capacità di vivere motivati personalmente da questi valori. È l’obiettivo del processo formativo ed è fondamentale perché il Salesiano coadiutore può fare del bene e realizzarsi solo a questa condizione. Non è un obiettivo facile o spontaneo. Non basta conoscerli intellettualmente o accettarli emotivamente questi valori. Essi devono costituire la motivazione primaria di ogni atteggiamento e comportamento. Ma di fatto, spesso, non è così:
– si può essere obbedienti (è un atteggiamento) per rinnovare nella Chiesa, a bene dei giovani, la piena disponibilità di Cristo, apostolo del Padre e servitore del Regno(è il valore che lo motiva), ma si può obbedire anche servilmente per paura delle responsabilità personali o delle conseguenze negative o per gratificare in sé un bisogno di sicurezza che, se diventa il motivo primario della propria obbedienza, la rende «inconsistente»;
– si può essere fedeli e perseveranti per rispondere in modo sempre rinnovato «alla speciale Alleanza che il Signore ha sancito [pag. 189] con noi»,[86] ma anche per paura di affrontare la vita di tutti;
– si può celebrare la liturgia come mistero che ci innesta nella Pasqua di Cristo,[87] ma anche come espediente per gratificare un bisogno di dipendenza dal proprio gruppo di riferimento;
– si può vivere il sacramento della Riconciliazione[88] per passare dall’egoismo all’amore,[89] ma anche come mezzo per tranquillizzarsi e per scaricare i propri sentimenti di colpa;
– si può entrare in una comunità per un’esperienza di reciproca e autentica apertura alle persone e al gruppo[90] oppure per trovare un luogo dove tutto è indifferenziato, accettabile e sicuro;
– si può lavorare per i giovani, sospinti dalla carità e mettendo a frutto le proprie capacità pastorali[91] oppure lo si può fare per sentirsi ammirati e accettati;
– ci si può impegnare a riformare la vita della comunità per amore di Cristo e della Chiesa;[92] ma anche per scaricare in modo socialmente accettabile la propria aggressività o per gratificare i propri bisogni, più o meno consapevoli, di esibizionismo e di dominazione.
La difficoltà a vivere gli atteggiamenti motivati primieramente dai valori è presente un po’ in tutti, anche nelle persone «normali». È dunque importante intendere bene questo «primieramente». Vuol dire che i valori devono essere la motivazione primaria del vivere, del pensare, dell’amare, dell’agire. Lo possono essere «da soli», lo possono essere anche utilizzando l’energia psichica di qualche bisogno che, essendo coerente coi valori vocazionali, ne può aiutare l’esperienza. Ma questa energia e il suo riferimento al bisogno non dovranno mai essere «il primo perché» di quanto si fa.
Man mano che si cresce e si matura, si riduce l’influenza delle motivazioni affettivo-sensibili e progrediscono le motivazioni vocazionali profonde, finché la persona, senza abbandonare la propria [pag. 190] ricchezza affettiva, costruisce la propria vita sulla base costante della «retta intenzione».[93]
Quando invece questo non accade e le motivazioni primarie, per trascuratezza o per ignoranza, nascono dai bisogni e prevalgono sulle motivazioni fondate sui valori, normalmente i bisogni:
– impediscono una sufficiente maturità vocazionale: da una parte i valori, dall’altra i bisogni, più o meno coerenti coi valori vocazionali, senza che si riesca mai a integrarli nell’unità della persona;[94]
– favoriscono un’interpretazione arbitraria dei valori oggettivi tanto da piegarli a giustificare i propri comportamenti;
– contribuiscono alla formazione di attese non realistiche, di un mondo di speranze e di ideali utopici che, si pensa, verranno poi esauditi attraverso i vari ruoli e funzioni che si ricopriranno, con continue gravi disillusioni;
– privano infine della capacità di leggere «i segni dei tempi»: i problemi veri non vengono più visti e ci si rifugia nelle strutture, quasi che bastassero da sole a cambiare l’uomo e a realizzarne i progetti.
Quella delle motivazioni primarie vere e autentiche è una delle condizioni previe decisive per ogni formazione, anche per quella del Salesiano coadiutore. Egli si sentirà realizzato come consacrato se vivrà fedelmente i valori evangelici che motivano primariamente la sua vita; e si sentirà realizzato come uomo se avrà dato una direzione consistente e armonica alle energie dei suoi bisogni in vista dell’educazione e della evangelizzazione dei giovani.
4.3.2 «Fare esperienza»
Una volta riconosciute e eliminate «le inconsistenze» vocazionali o facendole emergere alla coscienza e liberandosene o, se non è del tutto possibile, accettandosi, ma sempre attenti che esse non [pag. 191] abbiano peso decisivo nella vita e nelle sue scelte, si crea la possibilità di fare esperienza dei valori vocazionali. È un fatto importante perché è nell’esperienza, a certe condizioni,[95] che si interiorizzano questi stessi valori.
Che cos’è «esperienza»?
Esperienza è vivere i valori vocazionali con tutto l’essere, il pensiero, la volontà, il sentimento. È il risultato della costruzione attiva delle condizioni, operata dal soggetto, e del dono che egli riceve, i valori vocazionali. È l’unità vivente, l’incontro delle une e degli altri, «una forza, un’energia, un valore che viene prima dell’interpretazione».[96]
A. Un principio metodologico
L’esperienza è dunque un fatto di vita, ma è anche il criterio che guida tutto il processo formativo e unifica la molteplicità delle sue componenti. Già le Costituzioni del 1972 parlavano di «esperienza di vita e di lavoro».[97] La FSDB, nella sua prima edizione, precisò ed ampliò: «Questa trasformazione (la formazione del Salesiano) non può avvenire se non attraverso un’esperienza interiore che porti a comprendere e ad assumere vitalmente gli ideali propri della scelta religiosa salesiana».[98] L’art. 97, infine, concludendo e dando autorità a queste indicazioni, dice che formarsi è «fare esperienza dei valori della vocazione salesiana»; e il 98 aggiunge: «vivendo e lavorando per la missione comune».
B. La finalità
Questa dunque è la via per diventare «educatore pastore dei giovani» o, come si dice altrove, «apostolo dei giovani»[99] nella forma laicale propria del Salesiano coadiutore.[100] [pag. 192]
Apostolo è un testimone della risurrezione di Cristo [101] («segno della forza della risurrezione», dicono le nostre Costituzioni»).[102]
E «testimone» è chi vive l’esperienza della presenza e della rivelazione del Signore, è capace di annunziarla narrandola[103] e annuncia ai giovani «cieli nuovi e terra nuova, stimolando in loro gli impegni e la gioia della speranza».[104]
C. Alcune condizioni
Quelli descritti sono il fine generale e la caratteristica fondamentale del metodo: la nostra vocazione «sollecita a un’azione formativa che favorisce una vera esperienza di vita».[105] Ma a quali condizioni tutto ciò è realizzabile?
Le nostre Costituzioni offrono alcune pratiche indicazioni:
a) Nelle «attività»
Ci si forma nelle «attività»: «vivendo e lavorando per la missione comune».[106]
Il termine «attività» presenta significati molto vari. Per noi essa è un certo evento, sono fatti o rapporti con fatti e persone che generano un processo attivo, liberano cioè le energie della persona e la stimolano a una risposta. Penso ai rapporti con Dio, con Maria e Don Bosco, a quelli a cui ci conduce il nostro lavoro apostolico (nella Congregazione, nella Chiesa locale, nella comunità, con i confratelli, con i giovani) fino a ciò che accade in un ambiente o, più largamente, in una cultura.
Sono fatti e rapporti che provocano una reazione ed esigono una decisione.
Tutto questo è attività. [pag. 193]
b) Attività «motivate» da motivi veri e autentici
Non ogni attività è formativa. Lo sono quelle sorrette da motivi veri e autentici.[107]
I motivi «veri» appartengono al patrimonio carismatico salesiano[108] o sono tratti dalla storia perché si è attenti alla presenza dello Spirito:[109] «il Salesiano è chiamato ad avere il senso del concreto ed è attento ai segni dei tempi, convinto che il Signore si manifesta anche attraverso le urgenze del momento e dei luoghi…
La risposta tempestiva a queste necessità lo induce a seguire il movimento della storia e ad assumerlo con la creatività e l’equilibrio del Fondatore, verificando periodicamente la propria azione».[110]
Vi è una percezione funzionale delle cose che considera le cose come cose; ma vi è anche una visione di profondità, una percezione sacramentale che scopre nella storia l’azione di Dio e coglie, per questo, una continua e progressiva espansione del senso della fede entro le maglie del senso della storia.[111]
I motivi veri diventano «autentici» quando la persona se ne appropria e vuole che costituiscano le spinte primarie delle sue scelte, riducendo l’influenza dei bisogni. «Retta intenzione è fare quello che più piace a Dio», direbbe Don Bosco.[112]
c) Esperienza, coscienza, comunicazione
Ci si forma nella misura in cui si ha coscienza della propria esperienza e la si comunica: «la formazione permanente richiede che ciascun confratello sviluppi la capacità di comunicazione e di dialogo, una mentalità aperta e critica».[113]
Esprimere con parole la propria esperienza è frutto dello sforzo di ripercorrerla con attenzione per simbolizzare ciò che si è vissuto, [pag. 194] renderlo chiaro, percepibile e inserirlo in un quadro coerente di valori. Gli uomini si fanno nel silenzio, ma si fanno anche nella parola. L’esperienza richiede la sua coscienza, ma richiede anche la sua comunicazione. La coscienza rende possibile la comunicazione e la comunicazione intensifica la coscienza. Quando la persona ha una giusta coscienza della propria esperienza e la comunicazione esprime questa coscienza, allora l’autenticità è reale e i valori sono assimilati.
Chi parla prova facilmente la sensazione che quello che comunica e che gli altri ricevono non sia in realtà ciò che veramente vuol dire. Allora è tentato di tacere. Eppure quando una persona non manifesta, a tempo e a luogo, le dimensioni importanti della sua vita, il suo mondo si restringe, si inaridisce la vitalità, si spengono le possibilità di maturazione e il linguaggio diventa impersonale e tecnico, talvolta banale. Quando invece narra ciò che le è accaduto, allora libera per sé e per gli altri una particolare energia formativa. L’annuncio si fa racconto e realizza intorno a sé i segni dell’amore di Dio e della sua salvezza. L’esperienza di vita si fa messaggio. Chi racconta sa di essere competente a narrare perché è già stato salvato dalla storia che narra. Il suo è un segno che evoca, non informa soltanto, e sollecita a una decisione di vita. È come se dal suo racconto si liberasse la forza e la verità che vi sono racchiuse.
Accadeva spesso anche a Don Bosco: «anche in ricreazione, nota il biografo, parlando talora della SS. Eucarestia, il suo volto si accendeva di un santo ardore… e alle sue parole i cuori si sentivano tutti compenetrati della verità della presenza reale di Gesù Cristo».[114]
La difficoltà più comune, a livello formativo, risiede nell’incapacità a trovare parole e gesti che coincidano con l’esperienza che si è fatta e con la coscienza che se ne ha, in modo da poterle comunicare.
La carenza di questa capacità narrativa genera a volte una certa crisi personale e un’insufficienza nell’azione apostolica: «la crisi nei giovani nasce dal fatto che sono loro imposti mondi simbolici [pag. 195] estranei all’esistenza vissuta, così privi di significato da non poter essere utilizzati per narrare la vita».[115]
Bisogna ricordarlo quando si devono educare i giovani lavoratori. Si sa com’è il linguaggio in fabbrica: povero di parole, privo di termini astratti, con significati di immediatezza che rendono difficile il riferimento a valori «lontani». Conta il valore immediato dei fatti di cui si è protagonisti. Ogni pensiero è orientato all’azione fatta o da farsi per un interesse. Il nesso pensiero-azione-interesse non si slega che con una vita, quella dell’educatore, che è solo servizio e gratuità e trova parole e gesti per farsi capire.
Per questi motivi va riconosciuto importante tutto ciò che fa crescere la comunicazione;
– l’abitudine sistematica alla lettura e allo studio delle scienze proprie della missione, la disponibilità alla preghiera e alla meditazione; [116] le ricorrenti riqualificazioni[117]; i tempi di conveniente durata per il rinnovamento della vita religiosa salesiana, pastorale e professionale;[118]
– il «colloquio» frequente con il Superiore, un colloquio fraterno, momento privilegiato dove il Salesiano «fa confidenza della propria vita» per il bene proprio e per il buon andamento della comunità;[119]
– la direzione spirituale, personale e comunitaria, specialmente nelle fasi iniziali della formazione.[120]
d) La comunità, luogo dove si fa comunione
È un’altra delle condizioni fondamentali. Quando assemblea, revisione di vita, colloquio, direzione spirituale, ciascuno secondo la natura che ad essi conviene o per Costituzioni o per libera scelta, sono incontri in cui si dicono e si accolgono le esperienze, allora si [pag. 196] ha «una famiglia di fratelli attorno al loro padre»[121] e «la vita stessa della comunità è formatrice».[122] La comunità diventa un ambiente che «favorisce la maturazione»,[123] socializza i valori e diffonde modelli e comportamenti.
Essa diventa un ambiente di famiglia dove ciascuno, potendo essere se stesso, accetta volentieri il rischio di aprirsi; un ambiente che ha volontà di ascolto, è ricco di «empatia», tenta cioè di riprodurre in proprio i sentimenti altrui. Diventa un ambiente che permette di comunicare la propria comprensione di ritorno. Quando chi narra riascolta la propria narrazione perché qualcuno, che ha davvero ascoltato, ne accenna in qualche modo, allora egli si sente davvero accolto e compreso. Accetta, a sua volta, sé stesso e gradualmente percepisce una comunione sicura e vitale con quella persona e con tutto ciò che essa rappresenta.[124]
La comunità diventa un ambiente che aiuta il discernimento vocazionale dell’esperienza stessa. L’esperienza narrata dev’essere riconosciuta e verificata nel suo rapporto con l’ideale vocazionale: «la vita nello Spirito Santo e la grazia di Cristo è un dinamismo vitale, sempre orientato da persone contemporanee e qualificate che svolgono una funzione sacramentale di mediazione».[125] La comunità di vita diventa comunità di fede che si confronta, attraverso queste mediazioni, con quella «Alleanza» da cui deriva il senso primo ed ultimo di sé stessa e la verità dell’esperienza vissuta. La comunità di vita favorisce la comunità di fede e la comunità di fede consolida la comunità di vita. Sempre che essa sia una comunità ricca di modelli.
e) Una comunità ricca di «modelli»
I primi Salesiani trovarono in Don Bosco il loro modello: «anche noi troviamo in lui il nostro modello».[126] Così iniziano il capitolo [pag. 197] sulla Formazione le nostre Costituzioni. E continuano valorizzando questo aspetto: i formatori, nelle comunità formatrici, sono detti «capaci di comunicare vitalmente l’ideale salesiano».[127] «Mediatori dell’azione del Signore», «hanno il possesso sereno della propria identità salesiana e l’entusiasmo profondo per la vocazione di cui vivono i valori in modo da poterli testimoniare e comunicare vitalmente».[128] Ogni Salesiano, infine, con la preghiera e la testimonianza contribuisce a sostenere e a rinnovare la vocazione dei fratelli.[129]
L’ideale vocazionale e la sua esperienza si percepiscono normalmente interagendo con modelli che li incarnano e che, considerati come proposta, rendono più facile la propria originale identificazione.
Ci muovono infatti continuamente dal senso dello «star bene» con loro, alla «sfida» che essi sono per le nostre capacità, all’«accoglienza» libera e originale dei valori che propongono vivendo.[130]
4.4 ALCUNE FASI DELLA FORMAZIONE INIZIALE
Sono fasi che, sullo sfondo della vocazione del Salesiano coadiutore, tenuta sempre presente nella sua globalità, sottolineano ciascuna un obiettivo proprio e specifico da raggiungere. Accentuano quindi vari aspetti sia dal punto di vista dei contenuti sia dal punto di vista della preparazione intellettuale corrispondente.
Gli interventi sono progressivi e rispettano un doppio criterio: quello di un’uguaglianza di base per Salesiani coadiutori e Salesiani preti e quello della loro specificità.
4.4.1 Il Postnoviziato
Si tratta per i Salesiani coadiutori, come per gli altri, di maturare la propria fede mediante una progressiva integrazione fede-vita, [pag. 198] fede-cultura; la vocazione salesiana mediante un’adeguata preparazione catechistico-pedagogica; e la propria formazione intellettuale così da sviluppare «una mentalità pedagogica», in continuità con la propria cultura.[131]
Ma si tratta anche dello «specifico» che li riguarda e che trova una particolare attenzione nell’impegno formativo di questa fase.
Si intende infatti:
– assicurare meglio il senso e il valore della loro laicità consacrata;
formare con più cure l’educatore attraverso una conveniente preparazione pedagogica, umanistica e salesiana; e l’educatore alla fede attraverso una iniziazione teologico-catechistica che faccia meglio comprendere la vocazione del Salesiano laico nel suo rapporto con la presenza di Dio nel mondo;
– promuovere gradualmente, fin d’ora, la competenza della loro professionalità e la loro educazione socio-politica così che, valorizzando l’insegnamento sociale della Chiesa, crescano con le carte in regola per diventare educatori-evangelizzatori del «mondo del lavoro».[132]
Accettati questi obiettivi generali, comuni e specifici, e riferendoci più specialmente al loro curricolo di studi, ci domandiamo:
– come accompagnarli nella maturazione progressiva della loro consacrazione apostolica, educandoli anche a una sensibilità socio-politica e preparandoli all’azione educativa nel «mondo del lavoro»?
– come superare il «rischio», più reale per i Salesiani coadiutori, della svalutazione dell’aspetto riflessivo nei confronti di un impegno più immediato nell’azione? Quale equilibrio creare fra attività intellettuale e lavoro manuale?
– quali «criteri» adottare per la scelta delle materie di studio in vista del raggiungimento di questi obiettivi?
– sono preferibili comunità e piani di studio distinti oppure esperienze di vita comune con un piano di studi unitario, pur con le dovute diversità e integrazioni? [pag. 199]
A. Gli obiettivi
La FSDB avverte dell’impegno preso con la professione temporanea che deve tradursi nel «vivere autenticamente i valori della vocazione, nell’aderirvi quotidianamente, approfondendone la comprensione e scoprendo la loro unità, organicità ed armonia».[133]
a) Integrazione fede, vita, cultura
In questa prospettiva, oltre a una corrispondente azione che formi ad atteggiamenti motivati, in fatto di studi vanno impiegati, in giusta misura, alcuni contenuti propri delle discipline teologiche.
Esemplificando:
— Introduzione alla storia della salvezza e al mistero di Cristo;
— Introduzione all’Antico e al Nuovo Testamento;
— Questioni di storia della Chiesa;
— Questioni di teologia sistematica;
— Questioni di morale;
— Insegnamento sociale della Chiesa;
— Agiografia;
— Teologia della vita religiosa;
— Liturgia;
— Catechesi.
b) Maturazione della vocazione salesiana
Accanto alle discipline specificamente salesiane (che in questa fase pongono fortemente in rilievo il Sistema Preventivo e la sua attualizzazione) va evidenziata l’esigenza di comporre in unità fra loro, in prospettiva pedagogica e in vista di un’immediata preparazione al tirocinio:
— Filosofia dell’educazione;
— Pedagogia generale;
— Psicologia dell’età evolutiva;
— Sociologia della gioventù;
— Sistema Preventivo;
— Pastorale giovanile. [pag. 200]
c) Formazione intellettuale più diretta e specifica
Il piano di studio prevede un’attenzione particolare alle discipline filosofiche, umane e linguistiche, in una prospettiva antropologica unitaria. L’intento è di superare qualsiasi frattura fra vita reale e riflessione. Lo studio dev’essere motivato e stimolato dalla vita reale e la pratica illuminata e guidata dalla riflessione.[134]
Ogni svalutazione della riflessione e dello studio nei confronti dell’esperienza e della vita compromette un adeguato riconoscimento dei valori della persona, della dimensione laicale della vita e non favorisce la formazione di una vera «spiritualità del lavoro».
Si propone, per chi ha seguito un regolare curricolo di studi e ha capacità sufficienti, un ordinamento comune degli studi in una struttura comunitaria comune. L’esperienza di vita comune fra candidati al presbiterato e Salesiani coadiutori vede valorizzati due modi di vivere l’unica vocazione salesiana: «è auspicabile», dice la FSDB.[135]
Ma, più spesso, data «la pluriformità di possibilità sotto l’unica denominazione di Salesiano laico»,[136] la preparazione filosofica, pedagogica e catechistica dovrà essere proporzionata alle diverse situazioni.
B. Linee orientative degli studi
a) Il sapere va unificato antropologicamente. La prospettiva unificante del mistero di Cristo è assoluta, ma è essenziale, pur entro questo quadro, sottolineare anche la prospettiva unificante dell’uomo, con l’intento di riscoprire e fondare culturalmente il prima e la centralità della persona e lo stesso impegno di maturazione umana. A questo condurrà la proposta di un ordinamento di studi che vincoli le discipline umane e filosofiche con le scienze dell’uomo e contribuisca a far maturare un’abilità pedagogica.[137] [pag. 201]
b) Le scienze dell’uomo si ritengono indispensabili per un riferimento immediato e fenomenologico alla realtà.[138]
Una scelta possibile, che tiene conto del ricco elenco indicativo proposto dalla Ratio, potrebbe essere:
— Pedagogia generale;
— Psicologia generale e dinamica;
— Psicologia dell’età evolutiva;
— Sociologia generale;
— Sociologia della gioventù;
— Introduzione all’economia;
— Elementi di economia ed amministrazione;
— Storia delle religioni;
— Introduzione alla comunicazione sociale.
Sociologia e Psicologia servono ad illuminare fasce di età particolarmente interessanti per la nostra missione: la preadolescenza, l’adolescenza e la giovinezza, e muovono ad essere attenti all’esperienza e alle domande che ne nascono.
c) Le discipline filosofiche poi con il loro carattere di «globalità» e di «radicalità» in fatto di valori, indirizzano i Salesiani coadiutori verso l’acquisto di una visione personale del mondo, dell’uomo e di Dio e verso una più certa maturità di giudizio. Quelli che, non avendo basi culturali adeguate, trovano difficoltà a seguire integralmente i corsi, ne possono frequentare alcuni pochi fondamentali, come:
— Introduzione alla filosofia;
— Filosofia dell’uomo;
— Filosofia sociale e politica;
— Filosofia dell’educazione;
— Seminario sull’ateismo;
— Metodologia del lavoro scientifico.
d) «La sintonia con la congiuntura storica» è un’esigenza che accompagna l’uomo nella sua vita intera e dunque anche nello svolgersi della sua formazione intellettuale.[139] [pag. 202]
Risponde a questa necessità l’educazione socio-politica del Salesiano coadiutore. L’insegnamento sociale della Chiesa sarà utilizzato ampiamente e profondamente in vista, specialmente, di un servizio educativo nel «mondo del lavoro».[140]
Si sarà attenti anche ad ottenere un saggio equilibrio tra lavoro manuale e attività intellettuale. La presenza e il significato del lavoro manuale vanno rimeditati in vista di una sua comprensione armonica con l’attività intellettuale nello sviluppo e nell’esito della personalità.
L’insistenza sul lavoro manuale in relazione alla professionalità e all’attività intellettuale trova una sua giustificazione anche nell’esigenza di non appesantire la fatica dello studio a quei Salesiani coadiutori che, non avendo fatto un curricolo di studi secondari completo, si trovano sprovvisti di titolo o non hanno una specifica qualifica professionale.
In conclusione, l’ordinamento degli studi nel Postnoviziato ritiene «essenziale, originale e prioritario» il nucleo delle discipline umanistico-filosofiche vincolate con le scienze dell’educazione, ma organizzate e finalizzate nei modi che si sono indicati. Pertanto si potrà dare inizio o continuare un regolare corso di studi tecnico-scientifici o professionali, in vista di una qualificazione, soltanto quando sia sostanzialmente assicurato lo svolgimento di questo nucleo principale.[141]
4.4.2 Il Postirocinio
Gli Atti del Consiglio Generale, analizzando quanto i Capitoli ispettoriali e i loro Direttori avevano elaborato a proposito della formazione del Salesiano coadiutore, concludevano con questi rilievi: il Postirocinio è una fase ancora tutta o quasi da sperimentare; la durata, la comunità formatrice, i contenuti variano molto da luogo a luogo, anzi da persona a persona, ma in ogni caso si intende assicurare primariamente lo sviluppo della capacità pastorale del giovane confratello.[142]
A. Principi e criteri
Tenendo conto della situazione così pluriforme e in movimento, per aiutare le esperienze in corso e dare loro una certa sicurezza, si osserva che i principi e i criteri che orientano l’andamento di questa fase formativa e le caratteristiche dei suoi studi sono principalmente due: la peculiare forma vocazionale del Salesiano laico e la flessibilità ampia del curricolo in base alle reali possibilità dei candidati, alle diversità delle situazioni di partenza, all’itinerario spirituale percorso fin’allora.
Pur tenendo conto dell’art. 106 delle Costituzioni, vi è di fatto una pluralità di possibilità sotto l’unica denominazione di Salesiano laico. Questa diversità esige una considerazione particolare. Si dovrà dunque pensare, a livello ispettoriale e interispettoriale, a «un curricolo formativo serio, ma flessibile e adattabile sia alla natura propria dei diversi compiti, sia alle possibilità concrete dei candidati».[143]
B. Gli obiettivi
Gli obiettivi richiamano i responsabili:
a) a dar sostanza, nell’ambito della formazione anche intellettuale, alla presenza di una teologia che permei di sé la vita e la cultura del Salesiano coadiutore, pur facendo spazio all’area della formazione tecnico-professionale;
b) ad arricchire di motivi e di valori la complementarità delle due forme vocazionali sia nella vita fraterna che nell’azione apostolica; a fare più certa e più vera la particolare sensibilità del Salesiano laico verso «i mondi» del lavoro, della tecnica, dell’arte, dell’economia, della comunicazione sociale e delle relazioni umane; ad aiutarlo a vivere l’atteggiamento della «liturgia della vita» al fine di valorizzare le esperienze pedagogico-pastorali con la ricchezza della propria laicità;[144]
c) ad orientarlo perché approfitti meglio dei ministeri non ordinati, istituiti dalla Chiesa per i laici al servizio della comunità e [pag. 204] che rivelano la loro utilità nell’ambito delle celebrazioni liturgiche, nell’organizzazione delle attività di evangelizzazione e catechesi, nell’area molto più vasta dell’esercizio della carità.[145]
C. Aspetti del curricolo formativo
«La formazione specifica per i Salesiani laici, di cui all’art. 116 delle Costituzioni e 98 dei Regolamenti, dovrà essere concretamente programmata dall’Ispettore col suo consiglio. A seconda dei casi si potrà approfittare di strutture già esistenti a livello interispettoriale e mondiale»[146] o costruirne di nuove.
Si dovranno esprimere con chiarezza le modalità con cui si fanno presenti le ispettorie interessate. Esse saranno un indice della loro comprensione e partecipazione alle responsabilità formative.
Gli aspetti del curricolo formativo sono due fondamentalmente: l’aspetto comunitario e quello della formazione pastorale e tecnico-professionale. La struttura delle comunità si ispira a quella che la FSDB, per le condizioni che possiede, chiama «formatrice».[147] Ma subirà quelle modifiche in personale e iniziative che le consentiranno di dare una certa priorità alla formazione teologico-catechistica «nella linea della laicità consacrata».[148]
A seguito, la specializzazione e i suoi ambienti qualificati dovranno far pensare con tempestività alla «preparazione di Salesiani laici capaci di svolgere convenientemente il compito di formatori». «Il Salesiano laico, infatti, deve essere presente, sempre che sia possibile, nelle strutture formative come peculiare testimone e formatore e, dove sia richiesto, anche come docente in un servizio culturale tecnico».[149]
I contenuti della formazione intellettuale e professionale si mostreranno aperti alle esigenze del ruolo pastorale e professionale di ciascuno, tenendo conto delle possibilità di scelta offerte dall’insediamento del Postirocinio fra persone, corsi, esperienze e situazioni locali. [pag. 205]
Potranno essere distribuiti ordinariamente in quattro semestri, per una durata complessiva di un biennio, calcolato in numeri di ore o crediti sufficienti, ma più o meno allungabili nel tempo a seconda che le condizioni personali siano tali da permettere o no la frequenza a corsi di livello universitario o medio-superiore. Nel caso affermativo, il dosaggio delle discipline, scelte sotto la responsabilità dell’Ispettore o del «curatorium», se la struttura è interispettoriale, sia tale da permettere il raggiungimento degli obiettivi indicati.
Rispettando i criteri ora enunciati, previa consultazione delle comunità formative in cui finora i candidati sono vissuti e accordando i programmi svolti nel Postnoviziato con quelli proposti per il Postirocinio, ad evitare doppioni o sovrapposizioni, sulla falsariga delle cinque aree proposte dalla FSDB[150], sembrano proponibili i seguenti contenuti:
1. Formazione salesiana
— Conoscenza approfondita della vita di Don Bosco e dei primi Salesiani;
— Studio critico di qualcuno dei suoi aspetti;
— Storia del Salesiano coadiutore;
— Spiritualità salesiana nella laicità consacrata;
— Vita comunitaria e relazioni umane;
— Elementi di pedagogia e didattica;
— Elementi di catechesi, pastorale giovanile e vocazionale.
2. Formazione teologica e catechistica
— Aggiornamento e approfondimento della teologia della vita religiosa;
— Approfondimenti biblici per sezioni di temi specifici;
— Introduzione alla liturgia e alla lectio divina;
— Corso di catechesi.
3. Formazione socio-politica
— Insegnamento sociale della Chiesa;
— Economia, sociologia e politica del lavoro;
— Conoscenza di altri aspetti del «mondo del lavoro»: antropologia e teologia del lavoro; [pag. 206]
— Storia delle dottrine politiche.
4. Perfezionamento della formazione professionale
— Informatica;
— Altre, a seconda delle personali competenze.
5. Nuove esigenze
— Comunicazione sociale;
— Musica;
— Tecniche di animazione.
[3] Cf. CG22 9; FSDB 407. 474.
[4] Cf. FSDB 412.
[5] Cf. ACG 323, p. 26-35.
[6] Cf. ib.
[7] CG21 237s.
[8] Cf. FSDB 74-83.
[9] CG21 247.
[10] Cf. CG21 302.
[11] Cf. La componente laicale…, (CL) ACS 298, p. 45.
[12] Ib. p. 44.
[13] C 195.
[14] CG21 242; C 97. 102.
[15] Cf. CG21 242.
[16] Cf. C 98. 4.
[17] C 106.
[18] Cf. C 102; CG21 262.
[19] C 3; Cf. C 23. 125, C 26, C 3. 26. 50. 64. 73. 82. 85, C 40, C 49. 85. 88, C 63.
[20] Osservatore Romano del 2-XII-1988.
[21] Cf. C23. 3. 11.
[22] Cf. C 3.
[23] Cf. ET 11. 12; CGS3; C 1.
[24] Cf. ACS 296, p. 5; C 23.
[25] Cf. C 12.
[26] CG21 579.
[27] Cf. − per 1. Partecipazione alla vita liturgica: C 88. 89; C 87, CGS 283-288. 340. 540. 664; − 2. Ascolto della Parola di Dio: CGS 494. 540. 557; DSM 240-242; − 3. Preghiera personale: C 83, SC 7. 10. 11. 14. 19. 48; C 93; DSM 186; CGS 574-579; C 88; − 4. Eucarestia e Ufficio divino: C 88. 89; CGS 544; SC 10. 4748; LG 11; PO 5bc; 6e; CGS 542-543; − 5. Vita e azione come preghiera: C 86. 95. 21; CGS 532-537; 550. 555f. 677; − 6. Senso e uso del sacramento della Riconciliazione: C 84. 90; RFIS 55; PO 18b; − 7. I momenti di rinnovamento: C 91; − 8. Devozioni salesiane: Maria Ausiliatrice: RG 74; SC 13; CGS 531-545; VIGANÒ E., Maria rinnova la Famiglia Salesiana, 1978.
[28] C 99.
[29] Cf. STELLA P., Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. II, p.473.
[30] Cf. FSDB 74; CGS 26.
[31] Mt 6, 10.
[32] EN 60.
[33] MB 9, 220; 13, 629.
[34] Cf. FSDB 77.
[35] Cf. FSDB 75-77.
[36] Cf. FSDB 58-66. 78.
[37] Cf. C21.
[38] Antichi Regolamenti 260.
[39] Ib. 292.
[40] Cf. CIC c. 230.
[41] CG21 182.
[42] CIC 231.
[43] CG21 182.
[44] C 45.
[45] Cf. GIOVANNI PAOLO II, Laborem exercens, 1981.
[46] CG21 185.
[47] Cf. C 42.
[48] CG21 184.
[49] C 195.
[50] Cf. C 49. 50.
[51] CG21 37, Cf. C 51; Cf. C88; Cf. C 57; Cf. C 90; Cf. C 58. 59; Cf. FSDB 80, MR 30a, CP 106. 177.
[52] C 60.
[53] C 63.
[54] Cf. J. THOMAS, Travati, Amour, Politique, Paris 1972.
[55] C 62.
[56] Ib.
[57] Cf. C 80.
[58] Cf. C81.
[59] Cf. C 83; ACS 285, p. 23-24.
[60] Cf. C81.
[61] Cf. Il progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco, p. 609.
[62] Cf. FSDB 64; C 85.
[63] Comunità: Cf. FSDB 79-80; Obbedienza: Cf. FSDB 82-84; Povertà: Cf. FSDB 85-90; Castità: Cf. FSDB 91-93; Preghiera: Cf. FSDB 95-111.
[64] Cf. VIGANÒ E., La componente laicale…, o. c, p. 30.
[65] Ib. p. 32.
[66] Cf. GS 36.
[67] C 45.
[68] Cf. VIGANÒ E., La componente laicale…, o. c, p. 23.
[69] Cf. CNOS, Per una pastorale giovanile nei CFP, Torino, p. 25.
[70] CG21 182
[71] VIGANÒ E., La componente laicale…, o. c, p. 9-10.
[72] CG21 182.
[73] C 118.
[74] Ib.
[75] Cf. FSDB 58-66.
[76] Cf. FSDB 58-66. 78.
[77] C 21.
[78] Antichi Regolamenti 260.
[79] Ib. 292.
[80] OT 11.
[81] RATIO FIS 51; Cf. FSDB 113. 502. 535A. 544.
[82] CGS 669; Cf. FSDB 65.
[83] CGS 669.
[84] Cf. CGS 673; FSDB 306; Cf. OT 11, FSDB 162; Cf. CGS 679a, FSDB 160-162; C 70; Cf. FSDB 118. 147. 154. 173. 502; CGS 674; Cf. FSDB 115, ACS 285, 4041.
[85] CGS 665.
[86] C 195.
[87] Cf. DSM 194.
[88] Cf. FSDB 106.
[89] Cf. C 90.
[90] Cf. FSDB 79-80.
[91] Cf. FSDB 74-78.
[92] Cf. FSDB 72, C 13.
[93] Cf. CHAMPOUX R., Nuove prospettive nella formazione religiosa: un’integrazione della spiritualità e della psicologia del profondo, in «Civiltà Cattolica» n. 3026, 1976.
[94] Cf. L. RULLA – F. IMODA – J. RIDICK, Elementos de predicción y criterios de perseverancia vocacional, CONFER 74 (1981), p. 316-318.
[95] Noi ne rileveremo soltanto alcune, rimandando per una informazione più completa alla FSDB c. 4.
[96] GIUSSANI L., Decisione per l’esistenza, Ed. Jaca Book, Milano, p. 20-23.
[97] C 1972 art. 102.
[98] FSDB (1981) 155.
[99] Cf. C 97.
[100] C 95. 6.
[101] At 3, 1-10.
[102] C 62; Cf. 61. 34.
[103] Cf. Col. 62.
[104] C 62.
[105] FSDB 3.
[106] C 98.
[107] Cf. 101. 103. 104. 112, RG 85. 88. 89. 94. 98. 100-103.
[108] Cf. C 96, FSDB 134-136.
[109] C 12.
[110] C 19; Cf. C 62. 63. 85. 86. 94. 117.
[111] Cf. EN 21.
[112] MB 9, 986.
[113] RG 102.
[114] Cf. MB 4, 457.
[115] MOLARI C, Per una comunicazione che faccia spazio alla narrazione, in «Note di Pastorale Giovanile» 10(1981), p. 35.
[116] RG 99.
[117] RG 100.
[118] Id.
[119] C 70, RG 49.
[120] Cf. C 105. 109. 112. 113; RG 175. 78. 79.
[121] MB 8, 829.
[122] C 98.
[123] C 52.
[124] VAN KAAM A., Existential foundations of psychology, New York 1969, p. 336-337.
[125] RM, Commento alla strenna 1983, p. 33-34.
[126] C96. 21.
[127] C 104.
[128] FSDB 169, Cf. CG21 245.
[129] C 100.
[130] Cf. DSM 97.
[131] Cf. FSDB 288. 289. 332.
[132] Cf. FSDB 338. 408-410.
[133] FSDB 333.
[134] Cf. FSDB 230.
[135] FSDB 397, CG21 303.
[136] FSDB 410, CG21 301.
[137] Cf. FSDB 340.
[138] Cf. FSDB 224.
[139] Cf. FSDB 229.
[140] Cf. FSDB 338, CG21 302.
[141] Cf. FSDB 403.
[142] ACG n. 323, D. P. NATALI, La formazione del Salesiano Coadiutore.
[143] FSDB 410, CG21 301.
[144] Cf. FSDB 454.
[145] Cf. FSDB 455, CJC 230 par. 1.
[146] FSDB 475.
[147] FSDB 160-163.
[148] C 116.
[149] FSDB 338.
[150] FSDB 338.