Cfr. Il salesiano coadiutore. Storia, identità, pastorale vocazionale, Roma, Editrice SDB, 1989 (le pagine indicate in parentesi quadra indicano la pagina esatta del volume in edizione cartacea).
Il CG22, mentre chiedeva di fare il punto sull’identità del Salesiano coadiutore, spingeva anche ad essere più efficacemente operativi sia nell’ambito della pastorale vocazionale come in quello della formazione. Non si è «qualcuno» per grazia di Dio per fermarsi a contemplare. I doni di Dio ci sono perché, impiegati nel servizio dei fratelli, cresca in loro il suo Regno.
La storia dunque ci ha manifestato la nascita e la crescita di una forma vocazionale in vista di una missione. L’approfondimento che se ne è fatto ne ha rivelato l’originalità, la bellezza e l’efficacia nell’impiego.
Va dunque ricercato questo dono dov’è. Chi lo possiede deve pur riconoscerlo, deve farlo maturare in sé a livello di certezza e di consapevolezza. Deve desiderare e operare perché i valori che lo compongono vengano da lui identificati e interiorizzati. Teologia, pastorale vocazionale e formazione si dividono un compito che è distinto eppure necessario, progressivo e continuo.
3.1 PASTORALE VOCAZIONALE
3. 1.1 Impostazione pastorale del lavoro vocazionale
A monte di ogni invito rivolto ai giovani perché assumano un determinato progetto cristiano di vita, c’è una visione fondante anche se non sempre convenientemente esplicitata, della vocazione in genere e della pastorale vocazionale. Non è necessario per i nostri propositi riportare questa visione in forma completa, come la si ricava dalla riflessione attuale della Chiesa e della Congregazione.[1] [pag. 134]
Qui, il nostro argomento è specifico e ristretto: riguarda la vocazione salesiana laicale. Suppone dunque conosciuto e condiviso quello che è più generale e fondante. Il richiamare, anche solo per accenni, alcune prospettive basilari della pastorale vocazionale aiuterà a impostare correttamente la riflessione e a orientare le iniziative per la promozione di questa particolare vocazione. Parliamo di pastorale. Questa parola ci fa pensare alla Chiesa. La pastorale infatti è l’azione della Chiesa e, in comunione con essa, di singole comunità e persone che tende a suscitare la fede in Cristo, a formare e consolidare le comunità di credenti e a lievitare la storia umana col Vangelo. Così gli uomini si rendono consapevoli della presenza salvatrice di Dio nella loro vita e, rispondendo a questa grazia con la conversione, entrano in comunione col Signore e tra di loro.
In questa finalità si innesta il compito di abilitare le persone a percepire il dialogo singolare che Dio intavola con ciascuno di noi sin dal momento primo della nostra esistenza e lungo tutta la vita per incorporarci attivamente nel suo disegno di salvezza. La Chiesa dunque è l’ambito dove si sperimenta la chiamata di Dio, dove si scopre l’originalità delle diverse vocazioni; il luogo dove le vocazioni sorgono, vengono riconosciute, maturano e si impegnano nel servizio della comunità.
In tal senso la pastorale vocazionale è una «speciale attenzione e aiuto portato dalla comunità cristiana a ciascuno dei suoi membri e uomini di buona volontà, affinché scoprano e realizzino nella loro vita il piano di Dio».[2] È indirizzata quindi ad ogni persona, durante tutta la sua vita, secondo il suo stato e la sua situazione. La risposta alla chiamata del Signore infatti non si può considerare data una volta per sempre; essa va continuamente rinnovata. [p. 135]
Ma la pastorale vocazionale è particolarmente interessata all’età giovanile quando di solito, nel processo di maturazione della propria identità, si prendono quelle decisioni che segnano il corso dell’esistenza.
Orientamento vocazionale e crescita personale vengono ad essere talmente legate da non distinguersi adeguatamente l’uno dall’altra. La finalità della maturazione umana e cristiana è infatti quella di rendere la persona capace di scelte libere e valide. Perciò la pastorale vocazionale risulta strettamente collegata alla pastorale giovanile, cioè all’insieme di iniziative rivolte all’educazione dei giovani alla fede, vissuta nella comunità ecclesiale. È questa una delle conclusioni definitive della prassi attuale: «la pastorale vocazionale trova nella pastorale giovanile il suo spazio vitale. La pastorale giovanile diventa completa ed efficace quando si apre alla dimensione vocazionale».[3]
L’affermazione riguarda meno l’organizzazione che il concetto stesso di pastorale vocazionale e va intesa in un doppio senso: nel senso che ogni sviluppo vocazionale si fonda su una progressiva maturazione spirituale della persona, che va collocando Dio e la sua volontà al centro della propria esistenza: «La pastorale vocazionale infatti è l’azione di aiuto offerta ad adolescenti e giovani nella costruzione della loro identità cristiana… rispettosa della chiamata di Dio e dell’azione dello Spirito che si rivela lungo tutto l’arco vitale, al di dentro delle singole situazioni della storia personale e sociale»;[4] e nel senso che in ogni attività pastorale che’ abbia i giovani come destinatari, dev’essere «presente in modo esplicito e sistematico l’orientamento vocazionale come una sua dimensione essenziale».[5]
3.1.2 I riferimenti fondamentali per una pastorale vocazionale
Alcune convinzioni animano dal di dentro questa azione della comunità cristiana.
La prima riguarda la natura medesima della vocazione. Essa è, [p. 136] e come tale va pensata anche agli effetti più pratici e operativi, una iniziativa gratuita di Dio che si rivela nella coscienza come una chiamata personale di amore.
Così appare nella Sacra Scrittura, soprattutto nei Vangeli: «Vieni e seguimi»; «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi». Il Signore chiama a «stare con Lui»;[6] chiama a una conoscenza vitale del suo mistero e a una adesione totale alla sua persona fino alla scelta radicale del suo amore. Allo stesso tempo invita a collaborare alla salvezza degli uomini attraverso una missione: «Chiamò a sé i dodici… li mandò ad annunziare il Regno di Dio e a guarire gli infermi».[7]
Questa considerazione della vocazione ci riporta alle motivazioni che stanno alla base della sua autenticità, che devono essere già presenti, se pure in germe, nella proposta stessa e purificate ulteriormente durante l’accompagnamento. Offre anche il criterio fondamentale per discernere le vie di una vera pastorale vocazionale e per individuare gli atteggiamenti che devono caratterizzare i promotori vocazionali. Tutto va visto come «grazia», incontro misterioso tra Dio e il giovane nell’ambito della libertà.
Da questa prima convinzione ne segue una seconda: la persona chiamata è il responsabile principale e, in certi momenti, esclusivo del processo e della decisione vocazionale. Quello che non matura nel suo cuore in libertà e generosità, diventerà una inconsistenza insanabile nel suo rapporto con Dio e con la propria vita.
La scoperta e l’accoglienza dell’iniziativa di Dio infatti si realizza attraverso uno scambio profondo in cui il soggetto deve ascoltare e rispondere personalmente. La vocazione, che è voce e iniziativa divina, va emergendo e sviluppandosi nell’intreccio delle esperienze di vita, dei dinamismi e delle scelte libere della persona. È profondamente radicata nella sua storia. Il suo manifestarsi nella coscienza e il suo posteriore chiarimento vengono favoriti o impediti da tutto quello che va definendo la persona di fronte a Dio e alla sua grazia.
Ne derivano due indicazioni pedagogiche fondamentali. Vanno create attorno alla persona condizioni favorevoli all’ascolto e alla [p.137] docilità. Nello stesso tempo bisogna garantire decisioni personali interne e motivate secondo le diverse età.
A queste due indicazioni risponde l’orientamento vocazionale, che vuol essere propositivo e, allo stesso tempo, consapevole del ruolo principale del soggetto.
L’orientamento va inteso come un itinerario o processo interiore del soggetto che verifica la propria disponibilità, si confronta con i segni della chiamata di Dio, assume gli impegni che rendono possibile la risposta. È lui che si orienta.
L’animatore o promotore dà a questo processo un’assistenza, un appoggio e una guida. Non si sostituisce al soggetto e ha cura di non renderlo dipendente nelle sue decisioni. Ha un compito che facilita la libertà che deve superare condizionamenti personali o ambientali, la generosità che deve andare oltre interessi immediati anche legittimi, l’intelligenza che deve cogliere gli orizzonti di Dio e imparare a discernere i segni.
Emerge allora un terzo elemento indispensabile ad ogni pastorale vocazionale, ampia e specifica: la necessità e i compiti delle «mediazioni», di quelle comunità cioè o di quelle persone, che intendono aiutare a percepire la chiamata di Dio e a rispondervi. Fin dalla nascita è dato a tutti, in germe, un insieme di attitudini e di qualità da far fruttificare. Ambienti, persone, insegnamenti, attività sviluppano questi germi, rivelando nuove possibilità di esprimere il proprio amore e aprendo orizzonti di impegno.
La pastorale vocazionale consiste nel mettere in atto mediazioni efficaci nei momenti giusti. Alcuni stimoli possono venire soltanto dalle comunità, altri da persone «incaricate» o particolarmente dotate. Si tratta di due tipi di mediazioni complementari, entrambe necessarie.
Il puntare soltanto sulla «ricerca» di vocazioni da parte di singoli promotori senza curare la testimonianza e l’ambiente comunitario o i rapporti del candidato con la comunità, provoca crisi di credibilità.
L’escludere l’invito personale, aspettando che tutto abbia origine dall’ambiente o dalla interiorità, è misconoscere le leggi dell’incarnazione e mette in pericolo il fiorire di molte disposizioni.
Cristo ci dà l’esempio della mediazione vocazionale. Al fascino [pag. 138] creato dalla sua persona e dalla sua parola, aggiungeva l’appello indirizzato a singole persone.
3.1.3 I compiti della pastorale vocazionale
Chiariti i riferimenti fondamentali a cui si ispira la pastorale vocazionale, è necessario esplicitare i suoi compiti. Vengono formulati sinteticamente con quattro parole: pregare, annunciare, chiamare, accogliere.
«La preghiera non è un mezzo per ricevere il dono delle chiamate divine, ma il mezzo essenziale comandato dal Signore».[8] L’esempio di Gesù e la prassi della Chiesa, espressa oggi in autorevoli inviti di livello mondiale (cfr. Giornata mondiale delle vocazioni) e in iniziative molteplici di gruppi, la rimettono in primo piano come intercessione per ottenere vocazioni, come esperienza provocante per farle sorgere, come itinerario per farle maturare.
L’annuncio della vocazione si fa attraverso la testimonianza e la parola.[9] Consiste nel presentare in forma esperienziale, piuttosto che non soltanto informativa, la grande e universale chiamata del Signore alla vita e alla fede e, in collegamento con essa, l’ulteriore chiamata a un amore più grande e alla santità. Una catechesi progressiva va mostrando i doni del Regno che diventano ricchezza della comunità: il sacerdozio ministeriale, la sequela radicale di Cristo, la consacrazione secolare, la possibilità missionaria. Fa pure vedere il loro vicendevole riferimento per la costruzione della comunità, affinché non vengano intesi come privilegi individuali. Rende consapevoli dei bisogni del mondo, attraverso cui Dio chiama a prender parte al suo amore per l’uomo e degli spazi di servizio esistenti nella Chiesa.
Il documento del secondo Congresso mondiale per le vocazioni parla di «evangelizzare la vocazione» ed esplicita il significato dell’espressione con queste parole: «Urge una catechesi che, in primo luogo, sappia guidare i credenti, specialmente i giovani, a considerare la vita cristiana come risposta alla chiamata di Dio. Tutta la [pag. 139] catechesi acquista così una dimensione vocazionale. La catechesi specifica, a sua volta, pone in rilievo il carattere proprio della vocazione presbiterale, diaconale, religiosa, missionaria, consacrata nella vita secolare, affinché la comunità credente ne comprenda l’importanza per il Regno di Dio».[10]
Ma non basta l’annuncio. A volte chi aiuta deve pronunciare la chiamata personale, quando ha scoperto che nel soggetto esistono le condizioni adatte. Non aprire un orizzonte d’amore e d’impegno per eccessiva cautela o per paura di implicarsi in un futuro personale che ha margini, d’incertezza è privare il giovane di possibilità a cui ha diritto.
Per questo, oggi, dopo un periodo di eccessivo riguardo, si parla di «ricuperare il coraggio di chiamare». Il CG21 lo esprime con queste parole: «il rispetto del piano di Dio su ogni persona richiede che oltre a portare ognuno a una comprensione di sé e della realtà comunitaria umana ed ecclesiale alla luce della fede, si abbia il coraggio di una totale onestà e completezza nell’aiutarlo a rendersi disponibile di fronte a tutte le vocazioni nella Chiesa… Un giovane cristiano non può escludere di considerare anche l’ipotesi della vita consacrata e del sacerdozio. Il non proporgli di esaminare tale possibilità, non rispetta, ma limita la libertà».[11]
Infine c’è l’accoglienza e l’accompagnamento. «È un servizio di ascolto, di misericordia, di speranza…».[12] L’esercizio di questo compito richiede dagli animatori e dai promotori il rispetto della libertà del giovane, la conoscenza dottrinale e l’esperienza pratica del discernimento e della direzione spirituale, l’attenzione ai segni delle diverse vocazioni.
L’accoglienza è assunta in solidarietà da tutti coloro che entrano in contatto con una vocazione, anche se poi verrà attuata soprattutto da determinate persone e comunità. [pag. 140]
3.1.4 Il percorso vocazionale
Attraverso questi compiti la pastorale aiuta i giovani a percorrere un cammino che è tipico della maturazione vocazionale. In primo luogo crea nel giovane il desiderio e il gusto per una forma di vita cristiana impegnata e lo rende capace di mettersi all’ascolto della voce di Dio. È l’accettazione gioiosa della realtà di Dio nella propria vita come rapporto preferenziale e presenza determinante.
Lo assiste poi con informazioni ed esperienze quando il giovane si sente attirato verso una determinata ampia area di valori, di modelli e di attività.
Quando l’attenzione del giovane si va concentrando su un particolare tipo di vita o di persona, colto nella sua originalità come corrispondente alle proprie attese esistenziali, la pastorale vocazionale lo accompagna nei primi passi verso una decisione iniziale.
In questo cammino ha un’importanza singolare il discernimento dei «segni» che rendono percettibile la chiamata di Dio in chi la riceve e in coloro che da parte della Chiesa devono giudicare la sua esistenza e vitalità.
Questi segni sono principalmente: l’interesse, l’assenza di controindicazioni assolute o prudenziali, le disposizioni generali che garantiscono lo sviluppo di una personalità religiosa e quelle specifiche per il tipo di vita a cui si ispira, le motivazioni nel vaglio delle quali bisogna badare alla loro validità e autenticità.
Oltre a giudicare l’esistenza obiettiva dei segni, la pastorale vocazionale segue la risposta libera alla chiamata da parte del soggetto. Essa è dinamica e progressiva. Può soffrire arresti e regressioni. In questo dinamismo più ancora che le attitudini naturali, per quanto pregevoli esse siano, influiscono la formazione spirituale e l’apertura alla grazia.
3. 2 LA PASTORALE VOCAZIONALE DI SALESIANO COADIUTORE
Tenendo presenti i criteri precedenti, che orientano tutta la pastorale vocazionale, si possono esplicitare ulteriormente alcuni aspetti particolari propri della promozione della vocazione salesiana laicale. Essi riguardano soprattutto due momenti o compiti: l’annuncio-proposta, l’accoglienza-accompagnamento.[pag. 141]
Si trova una certa difficoltà nel presentare ai giovani la fisionomia religiosa, spirituale e apostolica, del salesiano coadiutore in tutta la sua ricchezza, in maniera comprensibile e vicina alle loro aspirazioni.
I diversi convegni sulla vocazione del religioso laico hanno cercato di individuarne le cause: il ruolo poco evidente del «fedele laico» nella comunità cristiana, la mancanza di modelli di identificazione, la mentalità «clericale» di alcune comunità religiose, l’assenza di segni distintivi nel religioso laico, un passato che lo faceva apparire come subalterno in famiglie religiose prevalentemente «sacerdotali», l’impostazione della pastorale vocazionale, la naturale tendenza dei giovani a congiungere vocazione con servizio religioso al popolo.
Nella Congregazione si vanno scoprendo vie adeguate per aiutare i giovani a cogliere l’originalità e la bellezza di questa vocazione.
3.2.1 Raccontare Don Bosco
La prima di queste vie è raccontare ai giovani la storia di Don Bosco, delle sue intuizioni, della fondazione della Congregazione salesiana a partire da un’originale esperienza di carità pastorale. L’amore per i giovani che versavano in situazioni di povertà portò Don Bosco a prendersi cura della totalità della loro vita attraverso un progetto di promozione completa. Pensò alla loro salvezza eterna, ma la vide collegata a problemi immediati di esistenza: il lavoro, l’istruzione, la casa.
Quando la sua opera apostolica si estese ai ceti popolari, egli mantenne le medesime caratteristiche: insieme al servizio presbiterale della predicazione e dell’attenzione religiosa, prese a cuore problemi come l’emigrazione, la diffusione della cultura cristiana attraverso la stampa, l’organizzazione della collaborazione per fini sociali.
Così diede inizio e sviluppò un’opera che nella sua struttura materiale includeva la chiesa, ma anche i laboratori, la scuola, gli spazi di giuoco; dove si insegnava la preghiera, il catechismo e la frequenza ai sacramenti; ma dove si imparavano anche i mestieri, ci [pag. 141] si istruiva, si preparavano i giovani al vivere sociale, si coltivava la musica, il teatro e altre forme di espressione.
Con ciò Don Bosco si proponeva di formare «buoni cristiani» per la comunità ecclesiale attraverso i mezzi di cui questa dispone; ma anche (e per questo, se si trattava appunto di cristiani) «onesti cittadini» per la società civile, con capacità di lavoro responsabile e di partecipazione innovatrice.
L’iniziativa era guardata dunque dai credenti come «opera pia e religiosa», legata alla Chiesa; da tutti gli altri come impresa educativa di solidarietà umana, di interesse sociale, di promozione.
Don Bosco medesimo amava presentare questa opera come «benemerita della società civile» e proponeva la collaborazione ai credenti o a chi avesse anche soltanto sentimenti di umanità. Interessava le forze secolari, si faceva presente nei campi culturali, prendeva contatto con persone e organismi dello Stato sempre in vista del bene dei suoi ragazzi.
Per realizzare questo progetto complesso a favore dei ragazzi e del popolo, sin dagli inizi, radunò attorno a sé presbiteri e chierici. Ma chiese anche ed ottenne la collaborazione di numerose persone che non lo erano e che apportavano, insieme all’amicizia, la loro competenza, il loro entusiasmo apostolico, il loro prestigio sociale.
Così quando per ispirazione di Dio diede origine alla Congregazione salesiana la pensò e la fondò come una «radunanza di preti, chierici e laici, specialmente artigiani, i quali desiderano di unirsi insieme, cercando di farsi del bene tra loro e anche di fare del bene agli altri».[13]
La Congregazione salesiana nacque — come abbiamo visto — con due componenti che si completano intimamente, si aiutano vicendevolmente e appaiono come mutuamente necessarie per l’adempimento della sua originale missione giovanile e popolare: i presbiteri e i laici.
Sin dagli inizi tutti furono chiamati alla sequela radicale di Cristo e alla sua santità, vissero in uguaglianza e fraternità sotto l’orientamento paterno di Don Bosco, diedero i loro contributi di competenze specifiche per ottenere un’unica finalità, ispirati dalla [pag. 143] medesima carità pastorale: per alcuni fu il ministero sacerdotale per alta la competenza amministrativa o la capacità di rapporti pubblici, la direzione di laboratori, i compiti di fiducia nella gestione domestica, le attività artistiche.
La figura del «religioso laico», chiamato «coadiutore», occupò l’attenzione di Don Bosco durante tutta la sua vita. Natagli da un’ispirazione divina, come esigenza della missione giovanile la perfezionò mano a mano che nuovi orizzonti di impegno si aprivano alla Congregazione e nuovi candidati arricchivano l’immagine stessa del coadiutore con realizzazioni originali.
Non fu un complemento marginale, ma un elemento costitutivo dell’identità. Egli considerò i suoi religiosi laici indispensabili quanto i preti per portare avanti la missione che Dio gli aveva affidato. Si possono ricordare in merito i suoi gesti verso i coadiutori, il suo atteggiamento di totale fiducia in loro, le sue parole riguardo all’importanza dei loro compiti e responsabilità, la loro partecipazione alla vita della Congregazione.
La vocazione salesiana si è sviluppata così e si può vivere oggi in due forme vocazionali distinte: quella presbiterale che si esprime principalmente nel ministero della parola, della santificazione attraverso i sacramenti e dell’animazione della comunità cristiana; quella laicale che mette a servizio della carità, della testimonianza e dell’annuncio di Cristo competenze, sensibilità e attitudini professionali secolari.
Ciascuno di questi «tipi» concentra ed esprime una caratteristica diffusa in tutta la Congregazione, presente in ogni comunità, operante in ogni persona.
Ogni sacerdote salesiano ha infatti, come Don Bosco, il dono e la capacità di assumere i problemi di vita dei giovani e non soltanto il loro inserimento nella Chiesa. Egli è un educatore. Ogni coadiutore è annunciatore del Vangelo, capace di portare i giovani a Cristo e non soltanto di insegnare un’arte o un mestiere. Egli è un apostolo. Insieme, nell’organicità della stessa comunità, compiono il servizio della promozione integrale dei giovani con attributi, sensibilità e impostazioni complementari, tutte necessarie per l’unico scopo. Ma il coadiutore assume ed esprime, mantiene viva e concentra la capacità di Don Bosco e della Congregazione di operare nelle realtà secolari, la loro disposizione a contemplare le realtà profane [pag. 144] con sguardo allo stesso tempo pastorale e tecnico, la vicinanza agli uomini e alle loro attività temporali, necessarie allo sviluppo della vita.
Così egli conferisce anche una fisionomia originale alla stessa comunità, consentendole forme molteplici di inserimento e di interventi nella Chiesa e nel mondo. Quella salesiana non è una comunità di presbiteri, ma una comunità di persone che seguono Cristo per i giovani e vogliono essere per loro segni e portatrici dell’amore di Dio.
3.2.2 Presentare l’esperienza attuale
Prospettata un’immagine conveniente della identità apostolica della comunità salesiana attraverso il racconto della vicenda di Don Bosco, si può prendere un’altra via: quella che si sofferma sull’esistenza concreta del salesiano coadiutore oggi: chi è, come vive, che cosa fa, come matura spiritualmente.
Egli sente una chiamata di Dio. La sua è una vocazione vera e originale: donarsi al Signore in una maniera totale, mettendo a disposizione del Regno le sue capacità e qualità di uomo e le sue competenze professionali. Queste, assunte nella sequela radicale di Cristo, vengono finalizzate dall’amore alla salvezza dei giovani.
Dio, chiamandolo, lo consacra, lo unisce particolarmente a sé e alla sua opera e gli comunica il suo Spirito perché viva in pienezza la grazia e la fede ricevute nel battesimo.
In questo modo si colloca, come il salesiano presbitero, nel cuore della Chiesa, alla cui missione partecipa pubblicamente attraverso l’impegno giovanile e popolare della Congregazione salesiana. Per mandato della Chiesa e nel suo nome educa ed evangelizza nei settori e secondo lo stile dell’apostolato salesiano.
E attraverso questo apostolato, pubblicamente riconosciuto, anima cristianamente l’ordine temporale, a cui lo ricollega, anche dopo la professione religiosa, la sua vocazione laicale.
Le forme che assume la sua azione apostolica sono molteplici, secondo quanto richiede oggi la missione salesiana in favore dei giovani. Lo si vede dunque, sempre con competenze specifiche e con spirito apostolico, impegnato nella preparazione dei giovani per il [pag. 145] lavoro; coinvolto nell’insegnamento e nell’animazione del tempo libero; occupato nella progettazione, nell’amministrazione e nel mantenimento delle opere; impegnato nella comunicazione sociale per l’educazione e l’evangelizzazione della gente più umile; dedito alla promozione sociale di quartieri bisognosi; dedicato alla ricerca scientifica e alla creazione artistica; dando un contributo insostituibile nelle frontiere missionarie.
Ma operando a favore dei giovani, in unione con altri fratelli, laici e presbiteri, egli fa un’esperienza profonda di Gesù Cristo e sviluppa una vita spirituale in cui consacrazione religiosa e carattere laicale si fondono in un’unità di vita caratterizzata dallo spirito salesiano.
Egli riproduce e attualizza il cuore e lo stile di Don Bosco ed è chiamato ad essere simile a Lui, quanto i presbiteri. Si sente identificato con Cristo e partecipe del suo amore paziente nell’insegnare, nel guarire, nel raccogliere i ragazzi e la gente povera, nel costruire un mondo nuovo.
È consapevole e ne gode di essere umile collaboratore di Dio nella salvezza degli uomini, particolarmente dei giovani più bisognosi; vive l’appartenenza profonda alla Chiesa e si sente in comunione con tutte le forze che operano nella linea della salvezza; sente la fraternità apostolica nella comunità salesiana, consapevole del proprio contributo e anche grato di quello che riceve dai fratelli preti; sviluppa l’esperienza di quei valori legati alla sua laicità e di cui si è detto.
Tutto ciò rende lui e la missione salesiana particolarmente simpatica ai giovani e al popolo. Egli si fa amare ed è sempre disponibile a intervenire quando la sua competenza e la sua umanità possono giovare.
Per questo suo modo di essere, di vivere e di operare egli ha una preparazione che comprende simultaneamente una formazione religiosa salesiana, una qualificazione apostolica che lo abilita al lavoro pastorale, una competenza culturale educativa che lo aiuta a far crescere i giovani in umanità e fede e una qualificazione professionale adeguata al suo carattere di religioso-laico. [pag. 146]
3.2.3 Mettere a contatto con modelli
La via più efficace per rendere comprensibili e credibili questi contenuti è quella esperienziale, è cioè il contatto con la comunità salesiana e con «modelli» di coadiutori.
Nella comunità si percepisce la complementarietà e la fusione delle vocazioni che arricchiscono la missione salesiana e si vede la fraternità che unisce tutti i membri nell’uguaglianza, nell’amore fraterno, nella gioia e nel servizio di Dio. La sua consapevolezza e la testimonianza della propria originalità presbiterale-laicale, l’espressione adeguata della propria missione e i rapporti che intercorrono tra i suoi membri sono più efficaci di qualunque invito verbale.
È da richiamare qui uno degli indirizzi del CG21 a proposito della pastorale vocazionale: «Partire dalla persona del salesiano, dalla vita della comunità… È fondamentale l’autenticità del nostro essere cristiani e salesiani, come lo è un’immagine della Congregazione che presenti un’identità chiara, che sia veramente in sintonia con i giovani e si esprima in una donazione gioiosa. La testimonianza e l’azione di ogni confratello saranno sempre lo stimolo più forte e la mediazione più efficace per aiutare i giovani a una risposta generosa a Cristo».[14]
I modelli mostrano, anche se con i limiti di ogni vita, i tratti caratteristici della vocazione salesiana laicale. Essi possono raccontare la propria esperienza, esporre le ragioni della propria scelta, descrivere il proprio cammino. Perciò nei vari piani di pastorale vocazionale si auspica che in ogni équipe o almeno in ogni iniziativa di proposta vocazionale intervenga un confratello coadiutore, la cui presenza sia appello e risposta per i giovani: invito a considerare il valore della vocazione salesiana laicale, risposta ai loro interrogativi concreti sulla sua natura e realizzazione.
La testimonianza dei modelli viene completata attraverso il contatto con gli ambienti dove si svolge la loro azione più caratteristica: le scuole professionali e tecniche, i centri giovanili, i centri di comunicazione sociale, ecc. Essi offrono un’idea immediata della portata di una competenza laicale assunta nella consacrazione religiosa [pag. 147] e nella missione apostolica. Per questo, sin dai primi tempi della Congregazione, lo spazio preferito per la proposta vocazionale a salesiano coadiutore è stato quello degli ambienti dove i giovani venivano avviati al lavoro o gli adulti erano già impegnati religiosamente nel mondo.
Accanto ai modelli viventi si possono presentare figure di coadiutori esemplari del passato, sottolineando quei tratti ed eventi che più vivacemente fanno vedere l’originalità e la bellezza della vita consacrata a Dio per i giovani. La Congregazione dispone di collezioni di opuscoli da cui emergono figure irripetibili di coadiutori di epoche diverse, di ogni regione, che operarono nelle più inattese circostanze e nei campi di apostolato più vari.[15]
Tra di loro poi eccellono alcuni, ritenuti «santi» dalla gente e dai confratelli, che rivelano l’eroicità della carità e l’intensità dell’esperienza di Dio a cui porta questa vocazione quando la risposta è generosa.[16]
Queste biografie, studiate e presentate in forma pedagogica, costituiscono il «catechismo vocazionale» più reale, efficace e completo sul coadiutore salesiano.
3.2.4 Approfondire il carattere laicale
Nello sfondo della narrazione su Don Bosco e la sua opera, della descrizione della vita attuale nelle comunità’ salesiane, della presentazione dei modelli di oggi e di ieri è sottesa sempre una certa [pag. 148] idea della laicità e di quanto essa concerne: la natura dell’impegno laicale, il rapporto che intercorre tra realtà temporali, salvezza e santità, la possibilità di congiungere un’autentica laicità con la consacrazione religiosa radicale e pubblica.
Colui che presenta le diverse vocazioni deve esprimere una visione corretta e ricca dell’esperienza laicale. Le immagini e gli accenni, anche soltanto sottintesi, vanno allora verificati per non convalidare quell’idea di distacco e incompatibilità tra mondo ed esperienza religiosa che è diffusa nella mentalità corrente.
La realtà di cui è intessuta la vita dell’uomo nel mondo (ambiente, lavoro, famiglia, cultura, scienza, arte, tecnica, politica) possono essere luogo e oggetto di una donazione totale della persona al Signore. Esse non sono circostanze «esterne» al suo rapporto con Dio, ma fanno parte della storia della sua salvezza.
In effetti portano il segno dell’opera creatrice di Dio, sono state assunte da Cristo quando egli si fece totalmente uomo; sono situazioni dove opera la presenza salvatrice di Dio attraverso la mediazione umana; sono «consacrabili» attraverso l’adempimento del disegno di Dio su di esse.
In esse si impegna in forma radicale la carità cristiana per trasformarle ordinandole a Dio e rivolgendole al bene temporale ed eterno dell’uomo.
L’esperienza laicale può essere vissuta in varie forme, ma, rimandando per le altre a quanto già è stato scritto, ora ci interessa quella «consacrata» in particolare. Essa è propria di coloro che, senza lasciare un riferimento sostanziale alle realtà secolari, sottolineano la loro finalizzazione alla salvezza ultima, testimoniando che esse possono essere rivolte al bene dell’uomo soltanto con lo spirito delle Beatitudini e il riferimento a Cristo. Perciò fanno professione pubblica di seguire Cristo attraverso i consigli evangelici, entrano a far parte di una comunità religiosa e assumono un compito apostolico che include la loro scelta laicale.
La sequela radicale di Cristo non è legata dunque al particolare carattere presbiterale. La condizione laicale può essere assunta nell’imitazione e identificazione con Cristo. E non risulta meno radicale o meno significativa per il fatto di non essere congiunta col ministero sacerdotale.
Si possono riportare a conferma le molteplici forme di vita religiosa, [pag. 149] di «discepolato di Cristo» sin dai primi tempi del cristianesimo (cfr. Cap. 1°). Si possono anche commentare alcuni passi del Concilio Vaticano II: «La vita religiosa laicale costituisce uno stato in sé completo di professione dei consigli evangelici».[17] Dio chiama sacerdoti e laici «a fruire di questo speciale dono nella vita della Chiesa e a collaborare, ciascuno a suo modo, alla sua missione salvifica».[18]
Ci è sembrato particolarmente necessario e urgente insistere sui contenuti di questa proposta vocazionale: spirito salesiano, consacrazione religiosa, carattere laicale.
Il linguaggio varia necessariamente a seconda che la presentazione venga fatta a ragazzi, giovani o adulti, secondo il livello catechistico che essi abbiano raggiunto. All’occasione ci si dovrà servire di immagini, racconti, esperienze, modelli, materiale audiovisivo. Ma è importante che tutto questo materiale esprima quell’annuncio vero che scaturisce da una corretta comprensione della Chiesa e della particolare vocazione salesiana religiosa.
3.3 ACCOGLIENZA E ACCOMPAGNAMENTO DELLA VOCAZIONE DEL SALESIANO COADIUTORE
3.3.1 Obiettivi dell’accompagnamento
Come ogni altra vocazione, anche quella del salesiano coadiutore ha bisogno di essere accolta e accompagnata affinché le disposizioni maturino verso una scelta cosciente e definitiva. «Quando un giovane o una persona adulta avverte la chiamata divina, e ha chiesto e ricevuto consiglio, sente il bisogno e l’utilità di un aiuto e una guida per trovare con crescente chiarezza la sua strada e seguirla. È il problema dell’accompagnamento».[19]
Tale accompagnamento si propone obiettivi a due livelli. Il primo è quello più generale delle attitudini e condizioni che predispongono all’ascolto della voce di Dio e alla generosità nella risposta. [p. 150] È il principale. Si tratta della formazione spirituale attraverso la partecipazione alla vita della comunità cristiana, l’interiorizzazione degli atteggiamenti evangelici fondamentali e la pratica della vita cristiana: il senso della presenza di Dio, il riferimento esistenziale a Cristo, l’assiduità alla preghiera, l’ascolto della parola di Dio, la vita di grazia, lo sforzo ascetico, la frequenza ai sacramenti, l’impegno apostolico.
Ciò dovrebbe costituire la base di una personalità tendenzialmente equilibrata, il cui sviluppo è retto da un’immagine obiettiva e da una serena accettazione di sé, dalla composizione positiva delle tensioni interne (pulsioni, ideali, progetti), dall’apertura oblativa verso le persone manifestata nella capacità di rapporti sinceri e costanti, dal contatto ricco con la realtà e il relativo allargamento degli orizzonti culturali, dalla capacità di guardare al proprio futuro e alla sua realizzazione in termini evangelici.
Gli obiettivi del secondo livello sono più specifici. Puntano a coltivare attitudini, ad offrire conoscenze organiche e a sviluppare abilità tipiche di una particolare vocazione.
I due livelli si integrano a vicenda. Sono interdipendenti. Non si dà chiarimento vocazionale senza processi di fede e di crescita interiore in Cristo. Viceversa ogni sforzo sincero di discernere la volontà di Dio sulla nostra vita porta con sé un’apertura alla grazia.
Ma ci sono periodi in cui bisogna fare particolare attenzione a uno di questi livelli conforme alla fase di maturazione che il soggetto percorre.
Nell’accompagnamento iniziale è particolarmente determinante il primo livello. Bisogna mettere quelle basi solide di formazione umana e cristiana che garantiscono una risposta autentica a qualunque vocazione di speciale consacrazione. Su questo sforzo principale, che apre soprattutto alla generosità e predispone al discernimento, si va innestando, attraverso l’informazione e l’esperienza, quello che è caratteristico della vocazione del salesiano laico.
L’accoglienza e l’accompagnamento si realizzano in varie forme e attività simultanee: l’assistenza spirituale personale, il coinvolgimento in esperienze maturanti nella linea della propria particolare vocazione, la partecipazione in un ambiente atto allo sviluppo dei germi vocazionali e il loro discernimento, che porterà ad una prima decisione sufficientemente motivata. [pag. 151]
3.3.2 L’assistenza individuale
L’assistenza individuale è sempre necessaria, anche quando il candidato viene accolto in un ambiente. Sovente è l’unica forma possibile di accompagnamento. Si risolve in direzione spirituale anche quando comincia come colloquio pedagogico e consulta di orientamento. La si è descritta come «un servizio di ascolto, di aiuto alla chiarezza interiore, di esperienza della vita spirituale e di speranza». Per cui «la persona che svolge questo ministero è rispettosa verso la libertà del cammino del giovane che è sempre un cammino personale».[20]
Appaiono chiare le sue finalità specifiche: creare una situazione interpersonale di fiducia, mediante la quale il ragazzo possa diventare più Ubero per cogliere la realtà che lo interpella e i segni di Dio che lo chiamano; offrirgli elementi per una visione limpida della propria interiorità e delle motivazioni dei suoi comportamenti e aspirazioni; renderlo consapevole della grazia di Dio e aiutarlo a verificare la propria risposta, mettendo le basi di una solida spiritualità cristiana; accompagnare e orientare lo sforzo di conversione della mentalità e dei comportamenti (criteri di vita, ascesi, virtù); rinsaldare e completare la pratica cristiana (preghiera, sacramenti…); equilibrare le tendenze non consone alla crescita cristiana (incostanza, permissività, scrupoli, devozionismo, intimismo…).
Questo servizio può essere svolto da qualunque salesiano che si impegni nella formazione cristiana dei giovani: direttori, confessori, catechisti, animatori pastorali, docenti. «Ogni pastore d’anime, o altra persona responsabile, sente la necessità di dedicare attenzione a quei giovani e adulti… che destano interesse per le loro particolari qualità… L’apprendimento di ciò che riguarda il riconoscere i segni di una vocazione e l’avviamento all’arte del discernimento e della direzione spirituale appartengono al programma di formazione e alla sfera ordinaria di attività del pastore d’anime e di altre persone responsabili all’accompagnamento delle vocazioni».[21]
Se si eccettua quanto appartiene al momento sacramentale, [pag. 152] non è richiesto che sia sacerdote o laico chi accompagna una vocazione presbiterale o laicale nella sua prima accoglienza.
Ma il servizio richiede da chi lo svolge, chiunque egli sia, di accettare la responsabilità di assistere un cammino vocazionale, mettendosi egli stesso all’ascolto nella preghiera; di testimoniare una personalità matura e una esperienza gioiosa della propria scelta; di aggiornare la formazione teologica e acquisire una certa conoscenza della psicologia giovanile in generale e di ciò che riguarda la vocazione in particolare; di conformarsi sulla misura di chi dialoga autorevolmente; di esercitare una funzione di vero sostegno nella ricerca, assicurando le condizioni che la rendono autentica.
Nella prassi salesiana dietro tutti coloro che accompagnano c’è la comunità che, guidata dal direttore, stabilisce criteri comuni, suggerisce modalità opportune e aiuta nel discernimento.
3.3.3 Il gruppo giovanile
«Esistono nelle chiese particolari diverse esperienze: gruppi per lo scambio di esperienze di fede e di apostolato: gruppi per una riflessione riguardante l’orientamento della vita; gruppi per l’approfondimento della vocazione in direzione di scelte consacrate».
«Il gruppo svolge un ruolo particolarmente efficace per la maturazione umana e cristiana, per la conquista dell’equilibrio affettivo; per il consolidamento della fede, specialmente in situazioni ambientali contrassegnate da diffusa indifferenza e incredulità».[22]
Nella prassi salesiana si riscontrano i due tipi di gruppi: quelli educativi e apostolici, quelli specificamente vocazionali.
I fattori vocazionali presenti in entrambi sono molti. Una prima elementare esperienza di comunità che porta a vedere, giudicare e agire insieme crea un’abitudine di vigilanza che abilita a reagire cristianamente di fronte ai diversi fenomeni. L’azione apostolica che i gruppi stimolano costituisce una prima prova di donazione, un incontro con i bisogni dei fratelli e un’esperienza dell’energia trasformante della presenza di Dio. Nei gruppi ha luogo l’incontro personale, necessario per il processo di identificazione, con le diverse vocazioni [pag. 152] in cui si esprime la missione della Chiesa: sacerdoti, laici, religiosi, genitori, dirigenti.
Il clima di riflessione allena ad operare gioiosamente scelte in funzione del bene degli uomini, della Chiesa, della sua missione salvifica. Si dà nel gruppo con facilità un rapporto personale attraverso il quale gli educatori scoprono le disposizioni e inclinazioni dei giovani e aiutano a dare concretezza agli ideali.[23]
I gruppi vocazionali aggiungono alcuni elementi più specifici. Sono formati da ragazzi e giovani che desiderano riflettere più a fondo sulla loro vocazione. Si costruiscono dunque come esperienza finalizzata a favorire la ricerca della volontà di Dio a riguardo del futuro dei membri.
I loro programma include una tematica ritagliata sui due livelli degli obiettivi vocazionali di cui abbiamo parlato prima. Gli incontri regolari di approfondimento danno a questi gruppi le caratteristiche di un «ambiente» di riferimento vocazionale. Un animatore vocazionale orienta i gruppi. Accompagna i singoli giovani con particolare attenzione alla loro scelta di vita e, quando ne è il caso, li indirizza verso un direttore spirituale. Gli impegni del gruppo e di ciascun membro vengono selezionati in conformità alle finalità vocazionali. Pur con la massima apertura, si scelgono quei collegamenti che sono più significativi e chiarificatori dal punto di vista vocazionale.
Per ciò che riguarda la maturazione di germi di vocazione salesiana laicale, i gruppi danno la possibilità di incontri con modelli e ambienti e offrono lo spazio per presentare gli elementi dottrinali, storici ed esperienziali di cui abbiamo parlato.
Sottolineando la complementarità delle diverse vocazioni, le provano in campi di lavoro che sviluppano atteggiamenti tipici della vocazione laicale: animazione di ambienti educativi, volontariato, cooperazione allo sviluppo, presenza nel territorio. Tutto ciò aiuta a scorgere l’incidenza della fede sulle realtà del mondo.
Ma nessuna attività è ispirante o formativa per la materialità dei suoi elementi. Toccherà all’animatore motivare e illuminare [p. 154] perché emergano i valori che contiene, l’energia che la muove, le motivazioni e le finalità che danno particolare significato evangelico alle prestazioni e agli impegni.
3.3.4 Comunità di accoglienza e accompagnamento
Infine si deve pensare a predisporre ambienti atti a sviluppare nei candidati i germi e le disposizioni per la vocazione laicale.
Questi ambienti sono vari. Vengono infatti adeguati alle diverse condizioni dei soggetti, tali come il loro numero, l’età, la convenienza o meno di staccarsi dal proprio contesto e famiglia, il programma di studio che devono svolgere. Si ispirano però ad una visione oggettiva della vocazione salesiana che suggerisce una linea pedagogica da concretizzarsi nella forma e nello stile della comunità, nei contenuti, nelle esperienze educative.
Dai Regolamenti Generali [24] e dalla prassi della Congregazione si ricavano tre tipi di ambienti di accoglienza: l’aspirantato, [25] la comunità per giovani candidati (comunità proposta),[26] una comunità salesiana in cui il giovane viene inserito.[27]
A. L’Aspirantato
La sua natura e finalità sono descritte in Reg. 17: «È un centro di orientamento vocazionale salesiano. Mantenendosi aperto all’ambiente e in contatto con le famiglie, aiuta adolescenti e giovani che manifestano attitudini alla vita religiosa, a conoscere la propria vocazione apostolica e a corrispondervi».
Gli elementi specifici del suo progetto educativo si possono così riassumere:[28]
— una comunità di educatori preparati e disponibili per l’orientamento vocazionale;
— un ambiente in cui le caratteristiche dello spirito e dello stile [pag. 155] educativo salesiano vengono curati e vissuti insieme da educatori e giovani;
— obiettivi specifici e periodicamente verificati che comprendono la formazione umana e cristiana di base, lo sviluppo dei germi di vocazione salesiana e una prima scelta personale attraverso il discernimento dei segni, in vista del noviziato;
— un programma di contenuti umani, cristiani e salesiani (informazioni, conoscenze, esperienze, abilità) atti a realizzare gli obiettivi;
— un programma di studi, simile a quello dei coetanei, di valore civile, con opportuni complementi culturali e religiosi;
— un’apertura normale alle famiglie, all’ambiente umano ed ecclesiale, alle manifestazioni legittime della vita giovanile.
Le modalità con cui vengono attuati questi punti fondamentali dipende da molti fattori, tra i quali eccellono l’età dei destinatari e il grado di decisione vocazionale a cui sono arrivati (disposizioni, intenzioni, propositi manifestati).
Se per circostanze particolari si intende organizzare un simile ambiente per tutto l’arco di età che va dalla preadolescenza all’immediato prenoviziato, si ritiene necessario dividerlo in due fasi: una di «orientamento e ricerca ancora generica; un’altra più chiaramente centrata sulla prospettiva della vocazione salesiana».[29]
La diversità tra le due fasi riguarda lo stile della comunità (corresponsabilità dei giovani, personalizzazione, spazi di autodeterminazione, impegni apostolici), la selezione dei candidati dai quali si esige progressivamente un’intenzione esplicita, sebbene non ancora totalmente verificata, di abbracciare la vita salesiana e una presenza di impegno maggiore sui contenuti vocazionali loro propri.
Le differenze tra le due fasi nelle modalità organizzative suggeriscono di creare ambienti distinti e diversi. Per quanto riguarda l’accoglienza dei candidati a coadiutori salesiani si presentano due possibilità: l’aspirantato specifico e quello integrato.
L’aspirantato specifico si propone il consolidamento e la maturazione dei germi di vocazione laicale salesiana. Assume la linea indicata [pag. 157] da Regolamenti 17 e le ulteriori determinazioni pratiche suggerite dai documenti del Dicastero per la pastorale giovanile. Ma le attua diversificando alcuni elementi tipici dell’aspirantato. Nella comunità c’è una presenza preponderante e significativa di confratelli coadiutori. Il programma di studi e le qualificazioni vanno sulla linea della preparazione tecnica professionale. C’è una riflessione più attenta alla storia e alle caratteristiche della vocazione laicale. Si sottolineano nella vita comunitaria alcuni atteggiamenti e capacità tipici di questa stessa vocazione.
Ma, come avviene nell’aspirantato per candidati al presbiterato salesiano, anche in quello per coadiutori si presenta la vocazione salesiana nelle sue due possibili forme, in maniera chiara e propositiva, e si rimane aperti ad un orientamento vocazionale ampio. Da questa formula ci si aspetta un contatto più frequente e diretto con modelli di coadiutore, un’esperienza più immediata dei tratti della vocazione salesiana laicale, la possibilità di un accompagnamento più specifico. Si vuole anche arginare il pericolo che le disposizioni per questa vocazione in alcuni soggetti vengano soffocate da un ambiente in cui, per difetti di impostazione pedagogica, prevalgono prematuramente gli stimoli per il ministero sacerdotale.
La formula funziona quando i candidati sono relativamente numerosi (indice di natalità, forme di promozione, disponibilità delle famiglie) da poter costituire un ambiente-struttura proprio; quando la loro età e sviluppo consentono già una prima intenzione personale motivata, e i programmi di studio comportano differenze riguardo a quelli che si seguono nell’aspirantato per candidati al presbiterato.
Non poche ispettorie comunque, anche per ragioni di circostanza, adoperano la forma integrata, quella cioè in cui tutti gli aspiranti alla vita salesiana, sacerdotale o laicale, vengono accolti in un unico ambiente.
Le ragioni di fondo si rifanno ai criteri che guidano il progetto educativo pastorale: provvedere alla formazione cristiana e accompagnare i primi passi delle vocazioni sulla base comune della salesianità, dando tempo per una opzione più matura sulla forma di viverla.
Il vantaggio che ci si aspetta è quello di rendere comprensibile in forma vitale il carattere dell’unica chiamata alla consacrazione [pag. 157] apostolica secondo il progetto di Don Bosco che è per tutti; di abilitare tutti a vivere assieme, sin dall’inizio, in vicendevole stima e complementarità, secondo lo stile delle comunità salesiane.
Le ragioni di circostanza tengono conto del numero di candidati e della possibilità di soddisfare in un unico ambiente alle esigenze di studio, dipendenti molto dal contesto socioculturale.
Quando si assume questa modalità si deve assicurare una consistente e qualificata presenza di salesiani coadiutori tra il personale dirigente, anche in ruoli rilevanti, e un ambiente che non anticipa in dismisura motivi e insistenze presbiterali, che peraltro non sono propri di questa fase. È invece la vocazione salesiana alla vita consacrata e alla missione giovanile che va messa a fuoco, mentre si accompagna ciascuno nel discernimento e nella scelta.
B. Comunità vocazionali
«La cura tempestiva di questi giovani può essere condotta anche in altre forme: comunità di riferimento vocazionale…»?[30]
Nel piano di lavoro preparato per il secondo Congresso Internazionale per le vocazioni (1982) si dice: «Il seminario minore non viene considerato come l’unica struttura entro la quale cresce e matura una vocazione. Anzi è necessario intensificare il lavoro vocazionale con i giovani e con gli adolescenti mediante nuove forme ed esperienze complementari al seminario stesso».[31]
Queste forme alternative appartengono alla tradizione della vita religiosa e oggi ridiventano frequenti. La vita religiosa ha trovato nelle proprie comunità, particolarmente in tempi di forte tensione carismatica, il migliore ambiente per la crescita delle vocazioni. L’esempio dell’Oratorio di Don Bosco a Valdocco risulta eloquente.
Le circostanze locali e le esigenze pastorali possono consigliare la creazione di comunità piccole di accoglienza, con finalità identiche a quelle dell’aspirantato, ma con modalità differenti che rispondono meglio alla situazione di certi giovani di determinati contesti culturali ed ecclesiali.
Tali comunità, caratterizzate dai rapporti personali e dalla [pag. 158] corresponsabilità, prendono in considerazione la diversità dei candidati, li mantengono in relazione col proprio ambiente familiare e giovanile, si avvalgono di molteplici strutture scolastiche frequentate dai candidati a seconda dei diversi tipi di studio intrapresi, valutano la loro capacità di reagire di fronte agli stimoli correnti, positivi o negativi.
È indispensabile però che esse assicurino e guidino il processo vocazionale e che il loro programma e le loro modalità non siano lasciati alle decisioni di singole persone, ma siano assunte dalla responsabilità della comunità ispettoriale. [32]
Anche in queste comunità, come negli aspirantati, possono venir separati o messi assieme i candidati alla vita salesiana sacerdotale o di consacrazione laicale. A favore dell’una o dell’altra soluzione valgono le ragioni sopra esposte.
C. Inserimento in una comunità salesiana
Infine c’è l’inserimento del candidato in una comunità normalmente impegnata nel lavoro salesiano, ritenuta atta ad accompagnare una vocazione. [33]
In linea di principio ogni comunità dell’ispettoria potrebbe e dovrebbe servire come ambiente, esempio e appoggio per nuove vocazioni. Ciascuna di esse infatti vive le caratteristiche della missione salesiana, fonde in un unico tipo religioso la vocazione sacerdotale e quella laicale ed è chiamata ad assumere quel servizio tipico della pastorale salesiana che è la cura delle vocazioni.[34]
Le si può dunque chiedere di offrire ai candidati spazi di esperienza autentica, informazioni sulla vita salesiana e assistenza spirituale.
Va allora superata, qualunque siano poi le scelte giudicate più opportune, la divisione tra comunità capaci di accogliere e quelle che non lo sono. Il CG21 raccomandava di affrontare il problema delle vocazioni a partire dalla persona del salesiano e dalla vita della comunità. «È fondamentale l’autenticità del nostro essere cristiani e [pag. 159] salesiani, come lo è un’immagine della Congregazione che presenti una identità ‘chiara’, nelle sue motivazioni evangeliche, nei suoi destinatari e nel suo progetto educativo… la testimonianza e l’azione di ogni confratello saranno sempre lo stimolo più forte e la mediazione più efficace per aiutare i giovani a una risposta generosa a Cristo».[35]
Per coloro che si orientano verso la vita salesiana laicale si preferiranno quelle comunità in cui questa vocazione ha espressioni più rilevanti e attraenti.
CONCLUSIONE: ANIMARE, PREGARE
Quanto veniamo dicendo è affidato a responsabilità definite che operano comunitariamente. Poiché la pastorale vocazionale si compone di interventi molteplici e convergenti, ci vogliono convinzioni diffuse e condivise, coinvolgimento attivo delle comunità, programmi portati avanti assieme, ruoli coordinati. Il tutto sostenuto da una fiducia totale nella grazia e spinto da una volontà di servizio al Signore, alla Chiesa e ai giovani. La pastorale vocazionale implica e suppone tensione spirituale, conoscenza aggiornata delle questioni specifiche, aggiornamento metodologico, appoggi organizzativi e pratici.
L’animazione appare allora necessaria. Con essa si vuole passare dall’azione soltanto individuale al coinvolgimento comunitario, dagli interventi occasionali e settoriali ai piani organici e stabili, dal «settore» vocazionale slegato alla sua integrazione in un programma completo di pastorale giovanile, dal carattere funzionale dei nostri interventi (per avere…) al criterio educativo (perché la persona cresca secondo il piano di Dio).[36]
Sia a livello ispettoriale che locale l’animazione chiama in causa responsabilità di governo e ruoli di sostegno.
I primi definiscono l’orientamento della pastorale vocazionale e le garantiscono un largo spazio nella pastorale giovanile globale. È il compito dell’Ispettore e del Direttore con i rispettivi Consigli. Ai [pag. 160] secondi tocca attivarla, stimolarla, appoggiarla, coordinarla. Questi ruoli possono essere svolti da persone singole o da équipe. Ma «più che delegare a fare, devono essere degli stimolatori e informatori delle varie comunità».[37]
Per ciò che riguarda la vocazione del salesiano coadiutore l’animazione tenderà in primo luogo ad assicurare la mentalità e la testimonianza delle singole comunità.
La mentalità riguarda una giusta visione dell’originalità del carisma, della missione e della comunità salesiana manifestata in espressioni verbali, nell’organizzazione e nelle valutazioni.
La testimonianza si riferisce alla vita della comunità, ai rapporti al suo interno, all’apprezzamento degli aspetti laicali per ottenere le finalità educative e pastorali proprie dell’azione salesiana.
Ma oltre la mentalità e la testimonianza bisognerà curare che l’orientamento vocazionale venga esplicitamente incluso nel progetto educativo pastorale ai tre livelli con attività e momenti differenziati: per tutti i ragazzi, per quelli che manifestano segni di particolari vocazioni, per quelli che si orientano alla vita salesiana.[38]A tutti poi venga presentata la vocazione salesiana laicale nella sua ricchezza di svariate possibilità.
Bisognerà dunque che, sempre con il coordinamento di dirigenti e animatori, gli orientamenti vengano tradotti in obiettivi raggiungibili, sulla misura dei ragazzi concreti a cui gli interventi sono rivolti; in esperienze praticabili, a cui vengono interessati tutti i componenti della comunità, sebbene con contributi diversi (ambiente, rapporto, dialogo personale, momenti specifici).
Si impone poi la verifica e riprogettazione periodica. Ciò porterà ad approfittare di quanto è stato sperimentato con successo e a tentare vie nuove per la presentazione della vocazione del salesiano coadiutore.
Ma il punto principale dell’animazione è mantenere le comunità in uno stato permanente di preghiera per le vocazioni. Ne abbiamo parlato già come di un compito fondamentale della pastorale vocazionale. [pag. 161]
La preghiera è invocazione-petizione, ma anche sforzo di consapevolezza di fronte a Dio, meditazione, apertura ai suoi disegni, comunione con coloro che ci hanno preceduto nel cammino che noi cerchiamo di percorrere. Intenzioni, formule di preghiere, testi di lettura, intercessori (i salesiani coadiutori servi di Dio!)[39]aiuteranno a includere la preoccupazione della vocazione salesiana laicale nel nostro desiderio espresso ogni giorno al Signore: «che mandi operai alla sua messe».
In particolare non bisognerà dimenticare mai quanto affermano le Costituzioni circa il clima gioioso e familiare della comunità salesiana: «tale testimonianza suscita nei giovani il desiderio di conoscere e seguire la vocazione salesiana».[40]
[1] * Cf. Sviluppi della cura pastorale delle vocazioni nelle Chiese particolari: esperienze del passato e programmi per l’avvenire, Tema generale del Secondo Congresso Internazionale per le Vocazioni, a cura delle Congregazioni per le Chiese Orientali, per i Religiosi e gli Istituti Secolari, per l’Evangelizzazione dei Popoli, per l’Educazione Cattolica. Documento conclusivo, Roma, Ed. Rogate Ergo, 1982; * Documenti delle chiese locali, per es. Conferenza episcopale italiana, Vocazioni nella Chiesa italiana. Piano pastorale per le vocazioni, Bologna, EDB, 1985; * CG21, La fecondità vocazionale della nostra azione pastorale, Documenti Capitolari, nn. 106-119 Roma 1978; * Dicastero Pastorale Giovanile, Lineamenti essenziali per un Piano Ispettoriale di Pastorale Vocazionale, Roma 1981.
[2] CG21 106.
[3] Sviluppi della cura pastorale…, o. c. n. 42.
[4] CG21 112.
[5] CG21 113.
[6] Cf. Gv 1, 39.
[7] Cf. Lc 9, 1-6.
[8] Sviluppi della cura pastorale…, o. c. n. 23.
[9] Ib. n. 25-28.
[10] Ib. n. 15.
[11] CG21 113.
[12] Sviluppi della cura pastorale…, o. c. n. 131.
[13] MB 12, 151.
[14] CG21 112b.
[15] Cf. * CERIA E., Profili di 33 coadiutori salesiani LDC, Colle Don Bosco 1952; * BIANCO E., La mano laica di Don Bosco. Il Coadiutore salesiano,LDC, Torino 1982; * BIANCO E., Rico J. E., Salesiano Coadjutor, Ed. CCS, Madrid 1984; * FORTI E., Fedeli a Don Bosco in Terra Santa. Profili di otto coadiutori salesiani, LDC, Torino 1988.
[16] Cf. * ENTRAIGAS R., El pariente de todos los pobres, Ed. Don Bosco, Buenos Aires 1961; * BIANCO E., Artemide Zatti, il parente di tutti i poveri, LDC, Torino 1978; * FORTI E., Un buon samaritano. Simone Srugi, Salesiano Coadiutore, Scuola Grafica Don Bosco, Ge-Sampierdarena 1967; * FORTI E., Da Nazareth qualcosa di buono. Servo di Dio Simone Srugi, Ed. SDB, Roma 1981.
[17] PC 10.
[18] LG 43.
[19] Cf. Sviluppi della cura pastorale…, o. c.
[20] Ib. n. 50.
[21] Ib. n. 50.
[22] Ib. n. 51.
[23] Cf. * Dicastero Pastorale Giovanile, Lineamenti Essenziali per un Piano Ispettoriate di Pastorale Vocazionale, Roma 1981. * Sviluppi della cura pastorale…, o. c. n. 51.
[24] Cf. art. 16, 17.
[25] R 17.
[26] CG21 118.
[27] R 16.
[28] Dicastero Pastorale Giovanile, Lineamenti Essenziali…, o. c. n. 49-50.
[29] Cf. *CG21 118; * Dicastero Pastorale Giovanile, Lineamenti Essenziali…, o. c. n. 48.
[30] CG21 118.
[31] Riv. Seminarium, ottobre-dicembre 1981, p. 991.
[32] Cf. CG21 118.
[33] Cf. CG21 118.
[34] Cf. C 28, 37.
[35] CG21 112.
[36] Dicastero Pastorale Giovanile, Lineamenti Essenziali…, o. c, n. 53.
[37] CG21 114.
[38] Cf. C 6, 28, 37.
[39] I Coadiutori Salesiani Artemide Zatti e Simone Srugi. Cf. le biografie citate alla nota n. 16.
[40] C 16.