2. Identità

 Cfr. Il salesiano coadiutore. Storia, identità, pastorale vocazionale, Roma, Editrice SDB, 1989 (le pagine indicate in parentesi quadra indicano la pagina esatta del volume in edizione cartacea). 

 


2. L’IDENTITÀ VOCAZIONALE DEL SALESIANO COADIUTORE: APPROFONDIMENTI TEOLOGICI [pag.70]


2.0 PREMESSA 

Si è presentata a larghi tratti la storia del Salesiano coadiutore. Non è la storia di un’idea, ma di un dono che lo Spirito Santo, attraverso Don Bosco, ha fatto alla sua Chiesa. È stato percepito e amato da Don Bosco e da lui sempre meglio conosciuto e apprezzato come ricchezza di una comunità originale e attiva al servizio dei giovani.

I Salesiani coadiutori hanno dato ai giovami, specialmente più poveri, ma hanno anche ricevuto da questo contatto il dono di essere di più quello che già erano. Nella loro storia, lo abbiamo visto, questo è chiaro: essi hanno imparato dai giovani e dal loro mondo ad essere più se stessi.

È un messaggio della storia questo: ogni vocazione è un mistero che si manifesta, si dona, riceve e cresce nel tempo stesso in cui, a contatto con le situazioni giovanili e popolari si offre per il loro servizio.

La storia, attraverso i diversi strumenti con cui si accosta, porta a questa ricchezza sempre in movimento di servizio per gli altri e di crescita di se medesimo.

L’identità vocazionale del Salesiano laico è stata progressivamente ridefinita nei Capitoli generali del postconcilio, che hanno condotto ad una più chiara visione della figura e del ruolo del Salesiano coadiutore: si deve ricordare specialmente il CG21 che vi ha dedicato un apposito documento. Tutta la riflessione capitolare è poi confluita nel testo rinnovato delle Costituzioni, approvato dalla Santa Sede.

L’intera Congregazione si è molto impegnata in questo compito non facile. Lo ha fatto seguendo gli orientamenti del Vaticano II, le autorevoli indicazioni del Rettor Maggiore, lo studio degli esperti e, in particolare, l’esperienza viva degli stessi Soci laici. [pag. 71]

Oggi è a nostra disposizione un ampio insegnamento. Si tratta di penetrarne la profondità e rendersene più consapevoli, tenendo presente anche la riflessione in atto nella Chiesa che sta chiarendo in modo particolare due argomenti: 1. i molti sensi ed aspetti dell’identità e, 2. le componenti della laicità e della secolarità. Privilegeremo dunque questi due argomenti e su di essi fermeremo la nostra riflessione. 


2.1 IDENTITÀ: I MOLTI SENSI 

Una spiegazione iniziale dei termini aiuta sicuramente l’indagine e aiuta anche a comprendere meglio il delicato e complesso lavoro compiuto in Congregazione nell’ultimo ventennio per definire la nostra identità. In tale periodo, infatti, si è parlato molto di identità riferendola alla Chiesa, alla Famiglia salesiana e, in essa, alla nostra Società, ai Salesiani preti e ai Salesiani coadiutori. Se ne è parlato in molti sensi. Qui se ne indicano alcuni principali.[1] 


2.1.1 Identità salesiana quantitativa e qualitativa 

Si parla di identità salesiana in termini quantitativi o numerici quando, ad es., si fanno domande come queste: quanti sono i Salesiani?, il loro numero aumenta o diminuisce?, e il numero dei Salesiani coadiutori? cosa dicono le statistiche circa il loro rapporto in percentuale con i Salesiani preti?

Si parla di identità salesiana in termini qualitativi quando, invece, si sollevano interrogativi come i seguenti: chi siamo noi, oggi, nella società e nella Chiesa? chi sono i Salesiani coadiutori per i Salesiani preti e per gli appartenenti alla Famiglia salesiana? come sono visti dagli altri nella società e nella Chiesa?

Se, come si vedrà, i problemi più rilevanti riguardano piuttosto l’identità qualitativa, quelli attinenti l’aspetto numerico non vanno [pag. 72] tenuti in poco conto. Nel caso dei Salesiani coadiutori, anzi, si aprono su un panorama che può preoccupare.[2] 


2.1.2 Identità salesiana personale e comunitaria 

Si parla di identità salesiana anche in senso personale comunitario. In senso personale quando ci si riferisce alla persona del singolo salesiano considerato nella sua appartenenza alla Congregazione e alla Famiglia salesiana.

Se ne parla in senso comunitario o collettivo quando ci si riferisce a un «noi», ai Salesiani presi nel loro insieme. In Congregazione, i rapporti di amicizia, di comunione fraterna, di collaborazione e di solidarietà consentono di essere e di agire come un «noi», che ha una propria esistenza e originalità, perché saldato dalla comune missione salesiana e dal comune spirito di Don Bosco.

Il testo rinnovato delle Costituzioni usa correntemente il «noi». Vuol mettere in risalto l’identità salesiana comunitaria: il singolo fa parte di un «noi»; ciascuno è salesiano non da solo, ma «con» altri Salesiani.

I rapporti tra Salesiani preti e Salesiani laici sono elementi costitutivi dell’identità così intesa. L’identità degli uni incide su quella degli altri e non possono essere pienamente descritte e vissute senza riferirsi quella degli uni a quella degli altri, reciprocamente. La pre­senza dunque di Salesiani laici nella comunità salesiana non è un fatto accessorio o marginale. Essa mette in questione la fedeltà al progetto comunitario e operativo di Don Bosco e il fatto riguarda da vicino l’identità in se stessa.[3] 


2.1.3 Identità relazionale 

La persona e il gruppo esistono solo in un più vasto corpo so­ciale, il mondo. [pag. 73]

I lineamenti che configurano l’identità sono leggibili solo se si parte dal tessuto di relazioni che la persona singola o il «noi» collettivo hanno con le altre persone e con l’universo religioso in cui si muovono.

Per ridefinire l’identità della nostra Società il testo delle nostre Costituzioni indica non soltanto i suoi lineamenti interni (la consacrazione apostolica e la forma: artt. 2. 3. 4), ma anche il tipo di rapporto che essa ha con la Famiglia salesiana (art. 5) nella Chiesa (artt. 6. 23), col mondo contemporaneo (art. 7) e con l’universo religioso cristiano (la presenza di Maria e dei Protettori: art. 8. 9) e non cristiano (art. 7).

Più precisamente, entrano tra le componenti da prendere in considerazione: il nome e l’appellativo, l’età, il numero dei componenti, lo scopo che la Congregazione persegue, la sua struttura giuridica, i valori in essa vissuti o ricercati, le norme positive o morali che la reggono, le culture in cui i suoi membri vivono o di cui sono artefici.

Li prenderemo in considerazione. 


2.1.4 Identità reale e ideale 

Nel tessuto di relazioni che costituiscono l’identità qualitativa si distinguono un’identità reale e un’identità ideale.

L’identità reale è quella vissuta e prodotta, in modo spontaneo o consapevole, dal singolo o da un gruppo nella maniera di vivere e di agire quotidianamente.

Ogni Salesiano ha una sua identità. La vive e la rivela nel suo modo di lavorare, di pregare e di parlare, nel suo modo di comportarsi con i confratelli, i giovani e le persone con cui viene a contatto. Può esserne più o meno consapevole. Se ne rende conto specialmente quando attraversa momenti di difficoltà e quando fa una specie di bilancio della sua vita.

Ogni comunità salesiana, locale o ispettoriale, ha una sua identità. La esprime nel suo vissuto quotidiano. La si può percepire nella convivenza di ogni giorno e specialmente nelle varie forme di incontri comunitari e nei rapporti col territorio in cui essa opera.

L’identità ideale è quella progettata come meta verso cui tendere, [pag. 74] perché ritenuta più perfetta rispetto a quella effettivamente vissuta e sempre variamente difettosa.

Nel ridefinire la nostra identità le Costituzioni hanno avuto pre­sente l’esperienza dei Salesiani e delle loro comunità e, quindi, la loro identità reale, qualitativa e comunitaria. Hanno utilizzato il criterio esperienziale. Ma insieme hanno cercato anche di definire la nostra identità ideale, in modo che essa fosse il più conforme possibile al vangelo, agli esempi e insegnamenti di Don Bosco, alle indicazioni autorevoli dell’attuale magistero della Chiesa.

Nel presentare l’identità vocazionale del Salesiano laico ci si riferirà alla sua identità reale e soprattutto a quella ideale delineata dalle Costituzioni. 


2.1.5 Identità istituita 

Il Salesiano non è un’isola. Appartiene a una Congregazione, a una comunione di persone regolata da norme. È membro di un’istituzione religiosa e apostolica.

Questo aspetto istituzionale rientra nell’identità personale del singolo e in quella collettiva dei Salesiani. È appunto l’identità salesiana cosiddetta istituita.

Quando le Costituzioni e i Regolamenti indicano i vari tipi di attività e di opere in cui operiamo come missionari dei giovani, quando descrivono la comunità salesiana ai vari livelli e danno indicazioni e norme per la pratica dei consigli evangelici, per la formazione iniziale e permanente, per il servizio dell’autorità definiscono appunto gli aspetti istituzionali della nostra identità. 


2.1.6    Identità espressa: necessità e limiti 

L’identità salesiana espressa è la descrizione della nostra identità reale o ideale e istituita fatta attraverso il discorso, i pronunciamenti, le norme.

Quando un Salesiano o una comunità scrive o parla di sé, della propria vita e attività, dei suoi rapporti con gli altri, dei suoi atteggiamenti e comportamenti, dei suoi valori e dei suoi progetti, esprime la sua identità e lo fa per lo più in forma spontanea. [pag. 75]

Ma vi è una forma autorizzata di manifestarla: è il discorso ufficiale fatto da autorità riconosciute come sono il Papa, il Rettor Maggiore, i Capitoli generali, i Superiori ai vari livelli.

Per farlo, oggi, ricorrono alle intenzioni e agli esempi di Don Bosco fondatore, alla tradizione, specialmente alle Costituzioni e ai Regolamenti che sono il testo approvato e autorevole in cui sono descritti i lineamenti fondamentali della nostra identità.

Questo discorso detto «autorizzato» è un discorso indispensabile e ad esso, quasi esclusivamente, si riferisce quanto diremo sull’identità del Salesiano laico. Eppure è un discorso che non va assolutizzato a scapito della descrizione spontanea dell’identità salesiana. Pur con i suoi limiti, questa sovente anticipa e prepara i pronunciamenti ufficiali. Se i confratelli non si fossero espressi e non avessero fatto presenti le loro esperienze e le loro convinzioni, non si sarebbe potuto condurre a termine, con la ricchezza che oggi possiede, il complesso lavoro di revisione delle Costituzioni.

Ci si guarderà allora dal ridurre la nostra identità personale o comunitaria alle riflessioni che si fanno su di essa e, sopra tutto, dal ritenere risolti problemi di identità che essa pone ai Salesiani preti e laici per il semplice fatto che essi ormai possono contare su idee chiare e distinte. Esse sono utili, persino necessarie per vivere in modo autentico la vocazione salesiana. Ma non esprimono tutta la variegata esperienza spirituale e apostolica della Congregazione né pretendono di risolvere i problemi spesso drammatici che essa presenta. 


2.1.7 Il cammino storico dell’identità salesiana 

Ogni discorso tende a fissare l’identità in una specie di fotografia. Coloro che sono restii al cambio la pietrificano e sembrano ignorare che la tensione tra permanenza e dinamismo è vitale e regola lo sviluppo degli esseri spirituali.

L’identità delle persone e delle istituzioni cambia con il tempo. A cinquantanni uno è diverso da quando ne aveva venti: la vita lo ha cambiato, anche se la coscienza di se stesso rimane. La nostra Congregazione ha una data di nascita. Da allora si è via via sviluppata ed estesa a tutto il mondo, si è articolata in ispettorie e regioni, [pag. 76] ha in parte modificato la sua configurazione giuridica, si è adattata a diverse culture e alle varie generazioni di Salesiani. Quanto poi è avvenuto nell’ultimo trentennio, dietro la spinta innovatrice del Vaticano II e delle mutate situazioni in cui si vive e si opera, lo dimostra all’evidenza.

Non sorprende! Al contrario, la Congregazione, coinvolta in av­venimenti storici in costante evoluzione, per vivere e progredire nel suo servizio ha dovuto assumerne le espressioni culturali o ricollocarsi di fronte ad esse e condividerne o meno gli aspetti che le caratterizzano.

La nostra identità ha dunque una dimensione temporale, è sottoposta all’evoluzione della storia e ai suoi dinamismi. Per quanto riguarda i Salesiani coadiutori, lo abbiamo visto, indica bene i cambi e le mutazioni avvenute.

La nostra tradizione ha riassunto questo processo nell’espressione: «con Don Bosco e con i tempi», mentre il magistero salesiano, da tempo, preferisce parlare di «fedeltà dinamica».[4] 


2.1.8 Il senso dell’identità «collettiva» 

Nei periodi di crisi vocazionale ci si interroga spesso sul «senso» della propria vita. Negli anni del postconcilio la nostra Congregazione si è chiesta se mai la figura del Salesiano coadiutore poteva avere ancora senso in un mondo così mutato. Alcuni si erano persino rassegnati alla sua scomparsa, tanto poco ci credevano. Si trattò di atteggiamenti certamente criticabili e giustamente denunciati, ma purtroppo reali.[5]

Un’identità personale e collettiva ha senso finché le sue componenti sono coerenti e significative per le persone interessate e quando le sue finalità e i suoi valori sono leggibili e credibili per gli altri. Se viene a mancare questa coerenza, se essa diventa variamente insignificante, poco leggibile e credibile, l’identità diviene priva di valore ed entra in crisi. [pag. 77] L’enorme lavoro che la nostra Congregazione ha compiuto nell’ultimo ventennio, ha avuto di mira la riconquista e l’assicurazione, per i Salesiani preti e per i Salesiani laici, che la loro vocazione ha un senso attuale nella chiesa al servizio del vasto mondo dei giovani, specialmente più poveri. 


2.2 ALCUNI ASPETTI GENERALI DELL’IDENTITÀ DEL SALESIANO COADIUTORE: CRITERI 

Chiariti i diversi «sensi» secondo cui si parla oggi di identità salesiana, se ne presentano ora vari aspetti. Alcuni sono essenziali e determinati, altri non sono tali, pur essendo importanti.

I fini e i valori professati costituiscono, senza dubbio, le componenti che determinano la nostra identità vocazionale. Le Costituzioni quando parlano della nostra consacrazione apostolica che comprende lo spirito salesiano, la missione, la comunità fraterna, la pratica dei consigli evangelici, il dialogo col Signore nella preghiera, intendono riferirsi ai valori morali e religiosi in cui crediamo e che alimentano la nostra azione e la nostra vita.

Essi sono lineamenti vocazionali così importanti e centrali da meritare una riflessione a parte. La faremo.

Qui segnaliamo altri aspetti della nostra identità che influiscono variamente su quelli essenziali e, in parte almeno, li condizionano. Per questo richiedono di essere presi nella dovuta considerazione. 


2.2.1 La consistenza numerica e la collocazione geografica 

La consistenza numerica dei Salesiani, preti e coadiutori, e la loro collocazione geografica sono fattori di identità. In Congregazione vi si è stati particolarmente attenti. Se ne sono interessati i Superiori e i Capitoli generali, traendone motivi di speranza e di preoccupazione a seconda dei dati che le statistiche offrivano. L’ultima dichiarazione al riguardo fu fatta dal Rettor Maggiore al Capitolo generale 22: «Debbo lanciare un grido di allarme. Nella prima parte [della relazione sullo stato della nostra Società] ci siamo soffermati con intenzionata diligenza a presentare in ogni continente i [pag. 78] dati statistici riferentisi ai confratelli coadiutori. Ne è risultato un panorama preoccupante. Mentre nella chiesa si sta parlando di ‘un’ora del laicato’, sembrerebbe che gli istituti maschili di vita attiva (e noi tra essi) non abbiano saputo coinvolgere questo aspetto nel processo di rinnovamento della loro comunità religiosa. Noi salesiani, poi, quanto più ci rivolgiamo verso i nostri destinatari preferenziali, soprattutto nel terzo mondo, tanto più sentiamo angosciosamente l’impatto negativo del calo numerico dei coadiutori.

«La comunità salesiana non può prescindere da questa figura tanto caratteristica di socio, che testimonia prioritariamente una delle sue componenti costitutive. Enumeriamo alcuni dei gravi problemi che rimangono aperti:

—  innanzitutto, il calo numerico dei confratelli coadiutori;

—  il fatto che vi siano parecchie ispettorie senza novizi coadiutori;

—  il permanere in molti confratelli di una mentalità alienata da questo urgente problema, per ignoranza o per pregiudizi;

—  una certa amarezza in alcuni, alimentata da preconcetti che considerano i valori del sacerdozio e quelli del laicato non partendo dalla sintesi di mutua complementarità propria dello spirito salesiano, ma da considerazioni generiche che concorrono a indebolire l’indole propria della nostra comunità; […]

—  l’indebolimento e la diminuzione degli apporti specifici del ministero sacerdotale nell’azione della comunità in conformità ai criteri pastorali del sistema preventivo;

— un cresciuto secolarismo nella mentalità e negli atteggiamenti di non pochi confratelli preti.

[…] Non è tanto una categoria di soci che è in crisi, ma è la componente laicale della stessa comunità che è interpellata e che deve venir ripensata in fedeltà a Don Bosco e ai tempi».[6]

Il calo numerico segnalato fa problema, ma non deve ingenerare atteggiamenti negativi improntati ad amarezza, a pessimismo, a sfiducia. Deve piuttosto sollecitare un rinnovato impegno per far meglio conoscere e apprezzare, all’interno della Congregazione e nel più vasto territorio in cui operiamo, la nostra identità di Salesiani [pag. 79] presbiteri e laici; per prestare un’attenzione continua alla situazione locale, alle sue prospettive e ai nuovi spazi che vi si aprono e per promuovere un’illuminata, coraggiosa e fiduciosa pastorale vocazionale. 


2.2.2 Gli appellativi di «Coadiutore» e di «Salesiano laico» 

Scegliere, accettare o mutare il nome non è cosa indifferente o soltanto formale. Lo si voglia o no, il nome classifica una persona o un gruppo, rivela la loro appartenenza a un determinato mondo culturale e a una connessa gamma di valori e di non valori, che toccano l’identità.

Negli Ordini e Congregazioni religiose non esclusivamente laicali, lo si è visto, i membri laici sono indicati con diversi appellativi: o si dicono conversi, oblati, servitori, oppure fratelli, confratelli, coadiutori, ausiliari, discepoli. Questi appellativi sono nati in contesti cristiani e richiamano o richiamavano ai credenti alcuni valori evangelici: i conversi, ad esempio, la conversione, gli oblati la donazione di sé, i servitori il servizio cristiano, i fratelli o confratelli la fraternità religiosa, i coadiutori l’aiuto e la collaborazione, i discepoli il discepolato evangelico.

D’altra parte furono appellativi utilizzati in determinati contesti. Proprio per questo, oltre ai valori evangelici essi indicavano anche altri aspetti della vita e dell’azione dei religiosi laici sia all’interno del rispettivo Istituto che nel più vasto ambiente della Chiesa e della società. In concreto, designavano:

— gli uffici, semplici o variamente rilevanti, e i ruoli, per lo più subordinati, dei religiosi laici;

— il loro tipo di presenza nella vita comunitaria come categoria a parte oppure come fratelli alla pari dei religiosi presbiteri;

— il rapporto che avevano con questi, fatto di servizio, di aiuto, di collaborazione paritaria;

— il loro grado di formazione e il loro livello culturale.

In breve, gli appellativi indicavano il loro «status» sociale e cul­turale, canonico e religioso, di gruppo, di categoria, di «classe».

Don Bosco, lo si sa, per designare i Soci laici della sua Congre­gazione si attenne alla legislazione canonica vigente al suo tempo e [pag. 80] scelsel’appellativo di «Coadiutori». Questo appellativo faceva già problema tra i Salesiani di allora, ma egli non volle che lo si cambiasse.

Il problema è riemerso nell’ultimo ventennio. Nei Capitoli generali del postconcilio si discusse se mantenere o cambiare l’appellativo di «Coadiutori».

Per alcuni era questo il nome dato da Don Bosco fondatore. È carico di valori legati alla nostra tradizione e a tante mirabili figure di Salesiani laici. Modificandolo ci si sarebbe esposti al rischio di rompere con le proprie radici e con il patrimonio salesiano e culturale della nostra Società.

Per altri, l’appellativo «Coadiutore» traduce poco i significati della tradizione ed è incomprensibile, oggi, fuori dei nostri ambienti. Richiama inoltre un’immagine caratterizzata da una certa dipendenza, marginalità e «discriminazione». È un’immagine non più proponibile a possibili aspiranti alla vita salesiana. Per questo, il suo cambio era ritenuto non solo utile, ma necessario.

Tenuto conto di questi vari motivi, e specialmente del fatto che «la nostra Società è composta di chierici e di laici che vivono la medesima vocazione in fraterna complementarità»,[7] le Costituzioni rinnovate hanno scelto, per gli uni e per gli altri, il sostantivo «Salesiano» che connota l’unica vocazione da legare poi con l’aggettivo «coadiutore«o «laico» e «presbitero» o «prete», capace di specificare la forma vocazionale propria.[8]

In tal modo si è voluto da un lato essere fedeli al volere di Don Bosco e, dall’altro, venir incontro agli attuali contenuti del linguaggio e alle giuste attese dei Confratelli. Ma, sopra tutto, si è inteso sottolineare i rapporti di piena uguaglianza tra Salesiani preti e Salesiani laici, voluti dal nostro Fondatore e ribaditi più volte dai suoi successori come aspetto originale della nostra identità. [pag. 81] 


2.2.3 Influsso delle strutture 

La struttura fa parte dell’identità e i vari tipi di strutture della Congregazione influiscono sulla nostra identità.

Noi Salesiani «siamo riconosciuti nella Chiesa come istituto religioso clericale, di diritto pontificio, dedito alle opere di apostolato».[9] Sono questi i lineamenti giuridici essenziali della nostra identità nella Chiesa.[10]

È bene far notare che il carattere «clericale» della nostra Congregazione va inteso tecnicamente nel suo specifico senso «canonico». Esso esprime nella forma giuridica un aspetto della sua realtà carismatica. Infatti comporta che la guida, cioè il servizio di animazione e di governo delle comunità — chiamato ad essere in quanto tale nucleo propulsore della pastorale giovanile — sia affidato, ai vari livelli, a un confratello presbitero, a ciò qualificato dalla grazia del ministero sacerdotale e dalla personale competenza e sensibilità pastorale. La caratteristica di questo servizio, però, che Don Bosco volle e la tradizione confermò motivandola, è strettamente collegata a una specifica valorizzazione della componente laicale. Nella co­munità salesiana infatti «chierici e laici vivono la medesima vocazione in fraterna complementarità», recita l’articolo 4 delle Costituzioni. In essa — aggiunge l’art. 45 — «ciascuno è responsabile della missione comune e vi partecipa con la ricchezza dei suoi doni e delle caratteristiche laicale e sacerdotale dell’unica vocazione salesiana».

Questo apporto di ricchezze diversificate alimenta il nostro spirito di famiglia contrario ad atteggiamenti comunque discriminanti tra confratelli.

Altre strutture rivestono al riguardo una loro importanza da non sottovalutare. Esse sono:

— le strutture operative: scuole, oratori, parrocchie, centri di studi superiori, editrici, librerie, stazioni missionarie, centri di acco­glienza, centri di spiritualità; [pag. 82]

— le strutture formative: campi scuola, aspirantati, noviziati, studentati, università;

— le strutture di comunicazione: Atti del Consiglio generale, Bollettino salesiano, notiziari ispettoriali, visite dei Superiori, incontri comunitari a raggio locale ispettoriale regionale internazionale, convegni;

— le strutture di governo, quali esercizio dell’autorità ai vari livelli;

— le strutture finanziarie: economati e uffici amministrativi ai vari livelli.

Prescindendo, per il momento, dalle strutture di governo, sembrano opportune alcune considerazioni sull’influsso che le altre elencate hanno sull’identità salesiana, individuale e collettiva.

I rapidi e profondi cambi sociali e culturali che si sono verificati nell’ultimo trentennio hanno richiesto, a volte, mutamenti di rilievo nelle strutture operative e formative. I nuovi ruoli professionali hanno provocato la superqualificazione di alcuni Salesiani coadiutori. Per far fronte alle accresciute esigenze delle scuole professionali, dei centri editoriali, degli istituti superiori, si rese necessario qualificarsi a livello universitario e munirsi di titoli accademici. D’altra parte, questi stessi fenomeni provocarono la dequalificazione di altri. La progressiva chiusura di alcuni laboratori (sarti, calzolai, falegnami), di scuole professionali e agricole costrinse un certo numero di Salesiani coadiutori ad abbandonare compiti professionali di prestigio svolti, in non pochi casi, per lunghi anni, e ad adattarsi ad altri, spesso meno qualificati e gratificanti. Questi stessi compiti poi li sottrassero al contatto personale e prolungato con i giovani, che così non poterono più incontrare e capire dal vivo, in tutto il suo significato, il modello di vita del Salesiano laico.

Questi fenomeni provocarono inoltre la permeabilità dei ruoli: compiti come quelli del maestro d’arte, del direttore editoriale, del capo laboratorio, riservati fino a un recente passato ai Salesiani coadiutori, vennero assunti anche dai Salesiani preti.

In breve, i cambi delle strutture operative incidono più o meno, ma sicuramente, sull’evoluzione dell’identità, causano crisi di ruoli e condizionano il flusso delle vocazioni.

Nella formazione iniziale e permanente sarà dunque necessario tenere nella dovuta considerazione questo fenomeno, per alcuni [pag. 83] aspetti positivo e per altri preoccupante. I cambi sociali e culturali dovuti al continuo progredire della scienza e della tecnica fanno scomparire alcuni ruoli e ne fanno emergere altri; esigono persone formate in modo da poter periodicamente riqualificarsi, assumere nuovi compiti, recepire nuovi valori, ovviando ai disvalori che sempre si accompagnano ai mutamenti profondi e accelerati.

Oggi le nostre strutture sono codificate. Le Costituzioni, i Regolamenti, la Ratio, i vari Direttori assieme alle indicazioni contenute nella nostra secolare tradizione, costituiscono un corpo di norme che struttura la nostra vita e la nostra azione.

Oltre alla normativa scritta vi sono anche usi, costumi e prassi generalmente non codificati, ma ugualmente influenti sul nostro modo di vivere, di lavorare, di pregare.

Le nostre strutture codificate raggiungono lo scopo di guidare con sicurezza a un’autentica vita salesiana solo quando sono accolte e fedelmente attuate. La nostra identità è toccata più dall’interio­rizzazione di una struttura che non dalla sua codificazione, anche se per interiorizzarla bisogna pure che essa sia identificata nel suo valore e codificata.

Che la nostra identità di Salesiani preti o laici sia vitalmente segnata, in positivo e in negativo, più dalle norme di fatto praticate che non da quelle semplicemente codificate lo si è sperimentato e, spesso, sofferto nel periodo del postconcilio, quando si trattò di mettere in pratica il testo rinnovato delle Costituzioni e le delibere dei vari Capitoli generali.

In ogni caso, l’esperienza recente ci convince sempre più che il rinnovamento delle nostre strutture specialmente operative e formative suppone ed esige il rinnovamento della mentalità, personale e comunitaria, tanto dei Salesiani preti che dei Salesiani coadiutori. Si tratta in ultima analisi di un problema di rinnovamento di identità.[11] [pag. 84] 


2.2.4 I valori economici ed estetici 

In Congregazione, assieme e in dipendenza dai valori morali e religiosi che sono sicuramente essenziali e centrali, e verranno presentati più oltre, esistono altri valori, quelli economici e quelli estetici, l’utile e il bello, lo spirito di famiglia e l’allegria, che toccano la nostra identità in misura forse più consistente di quanto persone troppo idealiste potrebbero supporre.

beni economici giuocano un loro ruolo nella vita e nell’attività dei membri della nostra Società. Basterebbe richiamare alla memoria quanto essi impegnarono la vita di Don Bosco: quante preoccupazioni, quanto lavoro, quante iniziative, quante lettere e quanta fiducia nella Provvidenza, il tutto diretto a reperire il denaro necessario per mantenere i suoi giovani, a creare un clima di gioia e a sostenere le sue opere. Lasciare in ombra questa zona nella vita del nostro Fondatore equivarrebbe a renderlo per vari aspetti incomprensibile e se ne oscurerebbe in ogni caso la figura di organizzatore, di educatore dei giovani e di prete della Provvidenza.[12]

I mezzi economici sono indispensabili per raggiungere gli obiettivi culturali, educativi, pastorali, assistenziali e missionari che persegue la nostra Congregazione con le sue molteplici opere e attività.

Nella storia passata e recente i Salesiani coadiutori hanno offerto e offrono tuttora un apporto spesso rilevante quanto a mole di lavoro e a competenza per il reperimento e l’amministrazione di questi beni, per il finanziamento e il sostegno di opere spesso costosissime.

Nell’attuale cultura di matrice materialista, gli osservatori esterni, più o meno benevoli o critici verso le istituzioni religiose, sono particolarmente attenti a questi valori. I beni immobili e mobili di un Istituto possono comunicare una testimonianza di povertà, di servizio, di condivisione. Possono anche costituire, al contrario, una controtestimonianza. In definitiva non sono indifferenti: contribuiscono a conferire ai religiosi, preti o laici, un’immagine credibile, ma ne possono anche mettere in crisi l’identità, la sua comprensione [pag. 85] e la sua forza di appello. L’articolo 77 delle Costituzioni a questo ci impegna: «Sull’esempio e nello spirito del Fondatore, accettiamo il possesso dei mezzi richiesti dal nostro lavoro e li amministriamo in modo che a tutti sia evidente la loro finalità di servizio. La scelta delle attività e l’ubicazione delle opere rispondano alle necessità dei bisognosi; le strutture materiali si ispirino a criteri di semplicità e funzionalità».

Gli Ordini e le Congregazioni dispongono anche, alcuni più altri meno, di valori estetici, di un proprio patrimonio architettonico e pittorico fatto di monasteri, conventi, chiese, scuole, ospedali, case e caratterizzato da un proprio stile, severo ed austero in alcuni casi, opulento e sensibile in altri, sobrio e gioioso in altri ancora.

Le pretese dei Salesiani in fatto di estetica sono piuttosto semplici. Tuttavia essi hanno esportato nel mondo progetti di chiese e di scuole, quadri e immagini, tipi di teatro che hanno lasciato e lasciano ancora la loro impronta sull’identità collettiva della Congregazione.

Questo patrimonio è motivo di vanto per il fatto che spesso rispecchia i gusti popolari e si armonizza con essi; o, a volte, di critica per il fatto che non si è mostrato abbastanza sensibile alle forme architettoniche e iconografiche dei paesi in cui lavoriamo.

Emerge comunque qui uno dei tanti aspetti del rapporto vita salesiana-cultura. 


2.2.5 Incidenza della cultura sull’identità salesiana 

La cultura in effetti è un’altra delle componenti che più determinano la nostra identità, individuale e collettiva. Insieme alle altre già segnalate, nelle quali del resto è vitalmente innervata, contribuisce in larga misura a imprimere lineamenti fisionomici originali, almeno in parte, alla Congregazione e ai suoi soci.


A. Cultura e culture 

Con la parola cultura si suole indicare un insieme di nozioni, credenze, arti, abitudini e tutti gli altri tipi di capacità e di costanti attività che sono propri dell’uomo come membro della società. È la vita di un popolo. Essa comprende i valori che lo animano, i disvalori [pag. 86] che lo debilitano e che, essendo condivisi dalla moltitudine dei membri, lo riuniscono in base a una stessa ‘coscienza collettiva’. Sono cultura anche le forme attraverso le quali questi valori o disvalori si esprimono e si configurano, cioè i costumi, la lingua, le istituzioni e le strutture della convivenza sociale, quando non sono impedite e represse da altre culture dominanti.

Esistono non una ma molte culture, secondo i popoli e gli ambienti: si caratterizzano per i differenti modi di concepire la vita, di usare le cose, di esprimersi e di mettersi in relazione con gli altri e sopra tutto di collocarsi di fronte all’Assoluto, a Dio. Si trovano in esse elementi che ne rivelano il fondo umano comune e l’azione divina sull’umanità, anche anteriormente all’annuncio del vangelo.[13]


B. La Chiesa, la Congregazione e le culture

La Chiesa non può prescindere da queste culture, pur non identificandosi con nessuna di esse. Ne ha bisogno per esprimere la propria fede,[14] per approfondire il suo messaggio di salvezza[5] e per giungere a prendere decisioni concrete nella sua azione evangelizzatrice.

Si capisce allora perchè essa cerchi di comprenderne gli elementi di unità e le loro differenziazioni, perchè vi si incarni, le assuma e ne promuova la purificazione, l’arricchimento e la trasformazione fino ad aprirle, «in continuità e insieme in discontinuità con la situazione presente»,[16] all’adesione a Dio e al servizio all’uomo.

Gli Ordini e le Congregazioni religiose hanno anch’essi una loro cultura. Nella misura in cui questa dipende dalla cultura cristiana di un determinato periodo storico, sarà facile che scelga e ne riveli alcuni aspetti congeniali al suo carisma e più utili alla sua attività apostolica, divenendo piuttosto una subcultura cattolica.

Don Bosco e la nostra Congregazione hanno fatto le loro scelte e hanno messo in circolazione una cultura salesiana debitrice, per tanti aspetti, della cultura cristiana del secolo scorso e del nostro secolo. [pag. 87] La loro genialità spirituale e pedagogica si è rivelata ed espressa piuttosto nella prassi apostolica e nel momento di riflessione che sempre l’accompagna.

Oggi l’articolo 7 delle Costituzioni dichiara: «aperti alle culture dei paesi in cui lavoriamo, cerchiamo di comprenderle e ne accogliamo i valori, per incarnare in esse il messaggio evangelico».

La cultura (o subcultura) salesiana ha propri luoghi di produzione, una rete di diffusione e un sistema culturale sufficientemente completo: luogo, rete e sistema sono identificabili.


C. I luoghi di produzione e la rete di diffusione

 

I luoghi di produzione della cultura salesiana sono tutti i centri incaricati di elaborare orientamenti dottrinali e operativi per gli appartenenti ai vari gruppi della Famiglia salesiana. Prima di tutto quindi le case generalizie dei SDB e delle FMA. Poi i nostri centri di studi e di formazione, le case editrici, i vari tipi di scuola. L’esigenza di inculturare il vangelo secondo il nostro carisma potrà essere soddisfatta nella misura in cui esisteranno e funzioneranno bene questi centri di elaborazione culturale distribuiti nei vari contesti e qualificati in senso salesiano e scientifico.

Assieme a questi centri produttori di cultura cosiddetta «dotta», ne vanno debitamente valorizzati altri: le scuole professionali di vario tipo, gli oratori e i centri giovanili, che in passato hanno prodotto e producono ancora, specialmente ad opera dei Salesiani laici, una «cultura del lavoro» caratterizzata dalla solidarietà, dalla condivisione e dalla professionalità, e una «cultura popolare» oggi fortemente rivalutata.

La rete di diffusione della cultura salesiana è costituita dai mezzi di comunicazione che utilizza: fin dai tempi di Don Bosco la stampa e, di recente, gli altri mass-media. Le nostre opere sono anch’esse altrettanti trasmettitori culturali e, per ragioni diverse, diventano anche strumenti di trasmissione, più o meno filtrata, di altre culture rivali o semplicemente estranee. Basti accennare al fatto che, in non poche nazioni, le nostre scuole sono variamente vincolate a programmi di studio fissati da governi laicisti e con personale docente non salesiano e, spesso, non scelto dai Salesiani. Si può essere esposti al rischio di far perdere la propria identità e originalità salesiana. [pag. 88]

Ogni Salesiano, prete o coadiutore, è a sua volta in qualche modo un recettore e un emittente. Nella misura in cui ha assimilato la cultura salesiana la diffonde attorno a sé mescolandola con quella dell’ambiente in cui opera. La potenza di questi trasmettitori varia. Un Salesiano, laico o prete, che abbia perso o impoverito gravemente la sua identità, diventa un canale che non comunica, con tutte le conseguenze che sappiamo in fatto di pastorale e formazione vocazionale.


D. Un sistema culturale

 

Questa rete trasporta nella Chiesa e nella società un sistema culturale salesiano, i cui aspetti variano di tempo in tempo e che merita di essere disegnato almeno a larghi tratti. Globalmente, a questo sistema culturale fa riferimento il primo articolo delle Costituzioni.

a. Una storia e un calendario salesiano

Le date principali di questa storia sacra salesiana sono note e generalmente ricordate. Riguardano alcuni momenti importanti della vita di Don Bosco, segnati dalla presenza divina. Le Memorie dell’Oratorio scritte da Don Bosco e le Memorie Biografiche lo testimoniano in modo assai palese.

Anche se oggi si è più attenti nel valutarne i contenuti, è tuttavia innegabile che questa storia sacra salesiana ha trasmesso e continua ancora a trasmettere avvenimenti che fanno parte delle radici della nostra vita e del nostro spirito.

Come gli altri Istituti religiosi anche la Famiglia salesiana ha un suo calendario che si inserisce in quello della Chiesa e che essa adatta alla propria vita. A partire dalla festa di Tutti i Santi, esso riprende il ciclo della salvezza punteggiandolo di note pie e gioiose: sono le feste e le ricorrenze del nostro calendario; sono gli incontri di preghiera che scandiscono i momenti principali della giornata, del mese, dell’anno.

b. Una geografia e un’onomastica salesiana

La geografia si concentra attorno ai luoghi in cui vissero il nostro [pag. 89] Fondatore e altri santi della sua Famiglia. I loro nomi, con quelli del Sacro Cuore e di Maria Ausiliatrice sono titolari, nei vari paesi, di opere, istituzioni, luoghi ecclesiastici e civili; e compongono, per così dire, insieme ai nomi con cui vengono designati in Congregazione i titolari di determinati incarichi (Rettor Maggiore, Consiglieri, Ispettori, Direttori, Economi) l’onomastica salesiana.

c. Un ritualismo e una sensibilità etica salesiana

Nella tradizione salesiana esiste un ritualismo religioso derivato da abitudini popolari locali e propagatosi poi in tutto il mondo: il segno di croce alla levata del mattino; la preghiera prima e dopo il lavoro e i pasti; la visita quotidiana al SS. Sacramento; la recita dell’Angelus tre volte al giorno; le tre Ave Maria ai piedi del letto prima di coricarsi alla sera. Nei vari paesi usanze religiose locali si sono aggiunte o hanno sostituito quelle che abbiamo appena elencate.

È propria dei Salesiani anche una caratteristica sensibilità etica che si rifà alla dottrina di Sant’Alfonso e professa una particolare delicatezza in materia di castità, coltiva un’obbedienza e un amore anche personale al Papa e ai Vescovi, valorizza in modo particolare i sacramenti dell’Eucaristia e della Penitenza.

d. Un pensiero filosofico-teologico e sociale alla base del Sistema preventivo

In materia di filosofia teologia i Salesiani, pur affrontando nella loro prima formazione studi seri e specializzazioni impegnative, hanno preferito la semplicità. Alle gravi e ricorrenti domande essi hanno dato le risposte più comuni, quelle ispirate dal buon senso cristiano dell’epoca. Nel periodo del postconcilio, stimolati dal rinnovamento promosso dal Vaticano II hanno fatto progressi rilevanti. In ogni caso, il sistema educativo che Don Bosco ha lasciato loro «in preziosa eredità», li ha obbligati fin dagli inizi a prendere posizione sulla sorte dei giovani più bisognosi. Oggi più che mai, poiché l’attuazione del Sistema Preventivo, che fa ormai parte del patrimonio pedagogico della Chiesa, li conduce a ricercare e ad assumere i risultati delle scienze dell’uomo e dell’educazione, e dunque a rispondere alle domande e alle sfide del tempo e della condizione giovanile. [pag. 90]

e. Una «politica» salesiana

Per tradizione, la politica salesiana rispetta tutte le autorità, civili e religiose, e mira a farsi ovunque degli amici, senza che ciò voglia dire necessariamente tolleranza, in ogni caso, dell’»ordine» stabilito. Si prefigge il «bene comune» piuttosto che il «potere» e si impegna ad educare alla responsabilità sociale.

Nei Capitoli generali del postconcilio si è manifestata un’aggiornata sensibilità che, in sintonia con gli orientamenti del magistero ecclesiale e con l’anima più vera della nostra tradizione, definisce il comportamento del Salesiano in questa materia sempre difficile e problematica: «Lavoriamo in ambienti popolari e per i giovani poveri. Li educhiamo alle responsabilità morali, professionali e sociali, collaborando con loro, e contribuiamo alla promozione del gruppo e dell’ambiente. Partecipiamo in qualità di religiosi alla testimonianza e all’impegno della Chiesa per la giustizia e la pace. Rimanendo indipendenti da ogni ideologia e politica di partito, rifiutiamo tutto ciò che favorisce la miseria, l’ingiustizia e la violenza, e cooperiamo con quanti costruiscono una società più degna dell’uomo. La promozione, a cui ci dedichiamo in spirito evangelico, realizza l’amore liberatore di Cristo e costituisce un segno della presenza del Regno di Dio».[17]

f. Un’agiografia salesiana

Nella Famiglia salesiana si dispone oggi di una ricca letteratura dedicata alla figura e dell’opera del nostro Fondatore, dei suoi successori, di santi della sua famiglia spirituale, di figure eminenti od anche semplici, ma tutte significative.

Il riferimento a tali modelli di santità è importante per la nostra vita ed azione. Essi sono i testimoni di un’identità salesiana riuscita e, in alcuni casi, canonizzata dalla Chiesa.

La conoscenza, progressivamente approfondita, della loro vita e specialmente delle loro virtù dovrebbe diventare un contenuto insostituibile della pastorale vocazionale e della formazione iniziale e permanente. [pag. 91]

 


E. Incidenza della cultura sull’identità del Salesiano coadiutore

 

Il fattore «cultura» incide anche e non poco sulla vita dei Salesiani coadiutori e sui loro rapporti con i Salesiani preti. Ne può condizionare variamente l’apporto. Nella nostra storia si è percepita l’esigenza, oggi pienamente riconosciuta nelle Costituzioni, di garantire ai Confratelli laici, nel rispetto delle loro capacità e attitudini, un’adeguata formazione umanistica, teologica e professionale. È condizione indispensabile perché siano produttori e diffusori qualificati di cultura salesiana, di tipo accademico o popolare che sia, specialmente se posta al servizio del mondo del lavoro.

La crisi che da oltre un ventennio attraversa, in forme e misure diverse, tutti gli Istituti religiosi non esclusi quelli laicali ha, tra l’altro, radici culturali. Va ascritta alle più o meno profonde ripercussioni che sull’identità religioso-culturale dei vari Istituti, hanno esercitato i rapidi cambi culturali verificatisi di recente.

Di conseguenza, la ricerca di soluzioni non potrà prescindere da una lucida diagnosi della realtà dei paesi in cui operiamo e da una sua correttainterpretazione alla luce della fede. Sarà così possibile cogliere le esigenze, gli appelli e, in ultima analisi, gli imperativi morali destinati a guidare le scelte e gli interventi operativi.

 


2.3 LINEAMENTI FONDAMENTALI DELL’IDENTITÀ DEL SALESIANO COADIUTORE

 

 

Le finalità i valori morali e religiosi, lo si è detto, costituiscono gli aspetti più profondamente qualificanti della nostra identità di Salesiani, laici e preti. Se ne offre qui un’ampia descrizione.

 


2.3.1 Nella Famiglia salesiana, la Comunità sdb, una comunità originale

 

Per descrivere finalità e valori, le Costituzioni hanno utilizzato l’attuale linguaggio ispirato dal Vaticano II. Parlano di carisma di Don Bosco, di vocazione salesiana, di consacrazione apostolica, di missione giovanile, di comunione fraterna, di pratica dei consigli evangelici, di spirito di Don Bosco. [pag. 92]

«Identità vocazionale salesiana» è la formula breve con cui i nostri testi ufficiali esprimono questa ricchezza di doni.[18] Tocchiamo qui la ragione profonda del nostro essere e operare, quella che ci qualifica e caratterizza. Se l’identità vocazionale si stempera e si affievolisce, le componenti finora elencate, anche se apprezzabili, si riducono a ben poca cosa. A ragione quindi i recenti Capitoli generali e le nuove Costituzioni si sono preoccupati di ridefinire sopra tutto la nostra identità vocazionale.

Nel compiere questo delicato lavoro di discernimento essi si sono riferiti a Don Bosco, alla sua vita e alla sua opera, al suo spirito e, in generale, al suoprogetto apostolico. «Noi, Salesiani di Don Bosco, — recita l’art. 2 delle Costituzioni — formiamo una comunità di battezzati che, docili alla voce dello Spirito, intendiamo realizzare in una forma di vita religiosa il progetto apostolico del Fondatore».

Questo progetto coinvolge un vasto movimento di persone che, in vari modi, operano per la salvezza della gioventù. «Ne fanno parte i vari gruppi della Famiglia salesiana. In essa, per volontà del Fondatore, abbiamo particolari responsabilità: mantenere l’unità dello spirito e stimolare il dialogo e la collaborazione fraterna per un reciproco arricchimento e una maggiore fecondità apostolica».[19] In questo quadro si ridisegna la nostra identità: «I salesiani — dichiara il CGS iniziando la sua riflessione sulla Famiglia salesiana — non possono ripensare integralmente la loro vocazione nella chiesa senza riferirsi a quelli che con loro sono i portatori della volontà del Fondatore».[20]

A sua volta, l’identità vocazionale del Salesiano, laico e prete, è stata definita a partire dalla loro condizione di membri della Comunità salesiana: «Il mandato apostolico, che la Chiesa ci affida, viene assunto e attuato in primo luogo dalle comunità ispettoriali e locali i cui membri hanno funzioni complementari con compiti tutti importanti. Essi ne prendono coscienza».[21]

Il Salesiano laico in essa vive, lavora, prega, testimonia la sua [pag. 93] vocazione, fraternamente accompagnato dai Confratelli e corresponsabilmente impegnato con loro. In essa egli rivela a sé e agli altri la sua identità.[22]


A. Una comunità fraterna

 

Il testo delle Costituzioni presenta innanzitutto la nostra identità collettiva di Salesiani. In questa cornice identifica poi i lineamenti propri del Salesiano laico e del Salesiano prete poiché essi ricevono la Dio la vocazione in vista della loro entrata nella comunità. «Ciascuno di noi — dice l’art. 22 — è chiamato da Dio a far parte della Società salesiana»[23]. E vive la sua vocazione all’interno di essa con la coscienza della sua comune dignità di fratello che Don Bosco volle e la tradizione salesiana ha più volte ribadito: «Tra i soci della congregazione — affermò Don Bosco — non vi è distinzione alcuna: sono trattati tutti allo stesso modo, siano artigiani, siano chierici, siano preti; noi ci consideriamo tutti come fratelli».[24]

Don Rinaldi così scrisse nel 1927: «Quando [Don Bosco] cominciò a pensare alla fondazione di una nuova società religiosa, volle che tutti i membri di essa, sacerdoti, chierici e laici, godessero degli stessi diritti e doveri. Per lui i sacerdoti assumono sì, con l’ordine sacro, maggiori doveri e responsabilità, ma i diritti sono uguali, tanto per essi e i chierici, quanto per i coadiutori, i quali non costituiscono punto un secondo ordine, ma sono veri salesiani obbligati alla medesima perfezione e ad esercitare, ciascuno nella propria professione, arte o mestiere, l’identico apostolato educativo che forma l’essenza della società salesiana».[25]

Nel 1930 così ribadì questa caratteristica vocazionale del Salesiano laico: «I coadiutori non sono semplici ausiliari della comunità, ma sono veri e perfetti religiosi, quanto i sacerdoti nostri; educatori e maestri essi pure di un’importante parte del nostro programma sociale».[26] [pag. 94]

I testi delle Costituzioni ripropongono questa fraternità salesia­na, espressione di viva fede e di carità evangelica: «Vivere e lavorare insieme — recita l’art. 49 — è per noi Salesiani una esigenza fondamentale e una via sicura per realizzare la nostra vocazione. Per questo ci riuniamo in comunità, nelle quali ci amiamo fino a condividere tutto in spirito di famiglia e costruiamo la comunione delle persone».

«Dio ci chiama a vivere in comunità — afferma l’articolo successivo — affidandoci dei fratelli da amare. La carità fraterna, la missione apostolica e la pratica dei consigli evangelici sono i vincoli che plasmano la nostra unità e rinsaldano continuamente la nostra comunione. Formiamo così un cuor solo e un’anima sola per amare e servire Dio e per aiutarci gli uni gli altri».

«La comunità salesiana — è l’art. 51 — si caratterizza per lo spirito di famiglia che anima tutti i momenti della sua vita. […] In clima di fraterna amicizia ci comunichiamo gioie e dolori e condividiamo corresponsabilmente esperienze e progetti apostolici».

Secondo il dettato dell’art. 52, «la comunità salesiana accoglie il confratello con cuore aperto, lo accetta com’è e ne favorisce la maturazione. Gli offre la possibilità di esplicare le sue doti di natura e di grazia. Provvede a ciò che occorre e lo sostiene, nei momenti di difficoltà, di dubbio, di fatica, di malattia. […] Il confratello s’impegna a costruire la comunità in cui vive e la ama, anche se imperfetta»; «partecipa generosamente alla vita e al lavoro comune. Ringrazia Dio di essere tra fratelli che lo incoraggiano e lo aiutano».

Nella sua comunità, il Salesiano laico, al pari del Salesiano prete, prende parte in modo corresponsabile alla programmazione, all’attuazione e alla revisione del progetto educativo e pastorale comunitario.[27] Partecipa attivamente alla comunione di preghiera, all’ascolto della parola di Dio, alla celebrazione dei sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione.[28] Viene costantemente ani­mato nella fedeltà alla sua specifica vocazione divenendo, con i fratelli, segno credibile della fraternità instaurata in terra dal Signore Gesù.[29] [pag. 95]


B. Una comunità apostolica aperta alla secolarità

 

Secondo il pensiero e la prassi di Don Bosco, la nuova Società da lui fondata si sarebbe mossa non nella direzione dell’ideale monastico di separazione dal mondo, ma piuttosto nella direzione dell’ideale religioso apostolico vissuto in stretto contatto con la realtà giovanile e popolare.

Partendo dalla sua esperienza di prete secolare, Don Bosco intese iniziare un vasto movimento apostolico, giovanile e popolare, immerso e adattato alla realtà sociale e culturale che stava emergendo. L’oratorio in cui vivevano e lavoravano lui e i suoi primi collaboratori era «per i giovani casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi da amici e vivere in allegria».[30]

Quando si propose di condensare in una «regola» i suoi ideali, scrisse anche un capitolo su «Gli Esterni», il cui primo articolo esprimeva chiaramente la novità del suo progetto: «Qualunque persona — scriveva — anche vivendo nel secolo, nella propria casa, in seno alla propria famiglia, può appartenere alla nostra Società, ecc.».[31]

Vi si percepisce un vivo interesse ad aprire il suo progetto operativo a persone che vivono in una condizione secolare e vi svolgono la missione salesiana,praticando i consigli evangelici. Don Rinaldi, più avanti nel tempo, cercò di realizzare questo ideale. Formò e organizzò quel gruppo di zelatrici di Maria Ausiliatrice, divenuto oggi l’Istituto delle Volontarie di Don Bosco.

Il nostro Fondatore costatò poi, anche per ispirazione interiore e su consiglio di Pio IX, che per raggiungere lo scopo era indispensabile assicurare un nucleo centrale animatore che avesse la stabilità e la consistenza di una Congregazione religiosa. E configurò così la sua Società, che è appunto una Congregazione religiosa nata da un’esperienza apostolica secolare e aperta alla secolarità.[32]

Doveva dunque assumere caratteristiche nuove rispetto ad altri Istituti religiosi, doveva cercare il modo di adattare la sua forma alle esigenze della nascente società civile. Così anche il modo familiare [pag. 96] di vivere insieme, l’agilità delle strutture il comportamento circa la proprietà dei beni, la duttilità di adattamento, l’abito, il linguaggio da usare (casa, ispettore, direttore, assistente), le aree da preferire nell’apostolato, la vicinanza al mondo del lavoro dovevano essere espressioni il più possibile consone a certe esigenze della società che procedeva e si sviluppava sempre più segnata ormai da un progressivo processo di secolarizzazione.

Anche i vari tipi di azione educativa e pastorale erano, di loro natura, orientati a offrire una testimonianza e un servizio aperto alla realtà del mondo circostante. Una caratteristica spiritualità che, modellata sull’umanesimo di san Francesco di Sales, interessava i Salesiani all’azione e ai valori temporali, li aiutava anche a far sì che la loro vita di unione con Dio e la pratica dei consigli evangelici infondessero nuova energia nell’educare la gioventù in vista della costruzione di una società fondata sull’amore.

Per attuare il progetto apostolico di Don Bosco, i Salesiani dovevano evangelizzare attraverso impegni professionali per lo più secolari: l’insegnamento, l’animazione sociale e culturale, la comunicazione sociale, le attività terziarie, gli uffici domestici, lo sport.

Don Rinaldi rimarcò, in un testo giustamente famoso, questa apertura della Congregazione alla secolarità. «Lo spirito nuovo — egli scrive — cui Don Bosco aveva improntato le Costituzioni, spirito precursore dei tempi, sollevò molti ostacoli all’approvazione; ma egli lavorò, insistette, pregò e fece pregare i suoi giovani, e attese per ben 15 anni, ammettendo nelle sue Costituzioni solo quei mutamenti che potevano conciliarsi colla loro indole moderna, agile, facilmente adattabile a tutti i tempi e luoghi. Egli aveva ideato una pia società che, pur essendo vera congregazione religiosa, non ne avesse l’aspetto esteriore tradizionale: gli bastava che vi fosse lo spirito religioso, unico fattore della perfezione dei consigli evangelici; nel resto credeva di poter benissimo piegarsi alle esigenze dei tempi. Questa elasticità di adattamento a tutte le forme di bene che vanno di continuo sorgendo in seno all’umanità è lo spirito proprio delle nostre Costituzioni; e il giorno in cui vi s’introducesse una variazione contraria a questo spirito, per la nostra pia società sarebbe finita».[33] [pag. 97]

In questa Congregazione e nelle sue comunità, così aperte alla secolarità, il Salesiano coadiutore è una presenza caratterizzante in virtù della sua qualifica di Salesiano laico.

La sua è una forma vocazionale in parte diversa da quella del Salesiano prete, ma ugualmente carismatica, dichiara al riguardo il CG21,[34] perché la vocazione alla vita salesiana come «Coadiutore» è un dono gratuito, un carisma dello Spirito. Alla radice delle differenze tra Salesiano laico e Salesiano prete non c’è una negazione, il non essere prete, né una carente qualifica ecclesiale, bensì una scelta in risposta a una vocazione: «il Coadiutore ha optato per un ideale cristiano positivo che non è definito dal sacramento dell’Ordine, ma è costituito da un insieme di valori che formano in se stessi un vero obiettivo vocazionale di alta qualità».[35]

 


2.3.2 La vocazione del Salesiano coadiutore è caratterizzata dalla laicità

 

I Salesiani coadiutori sono i Soci laici della nostra Società. La qualifica laicale imprime un lineamento concreto e complementare alla loro vocazione. E questo è il motivo per cui accanto all’appellativo tradizionale di Salesiani coadiutori i nostri testi ufficiali ricorrono ormai indistintamente a quello recente diSalesiani laici.

Gli ultimi Capitoli generali e gli interventi dei Rettori Maggiori hanno efficacemente e progressivamente orientato a chiarire il tipo di laicità che caratterizza il Salesiano coadiutore, tenendo conto che egli è religioso, membro di una determinata comunità apostolica.

È un argomento complesso, nevralgico per il presente e il futuro di tutti. Vi dedichiamo un ampio spazio, mossi da questo interesse e da questa urgenza carismatica e storica. Lo facciamo in due momenti: qui offrendo delle osservazioni generali sulla laicità e le sue modalità; più avanti definendo il tipo di laicità proprio dei Sale­siani coadiutori.

Nel linguaggio corrente, civile ed ecclesiastico, i termini laico, [pag. 98] laicità indicano realtà spesso assai diverse e presentano una comprensione vasta di significati, precisi alcuni, altri piuttosto vaghi, altri ancora sviati; alcuni si possono applicare nel loro senso ai Salesiani coadiutori, altri solo in parte, altri per niente.

Volerli elencare e precisare tutti è impresa quasi impossibile. Qui ci limitiamo a presentarne alcuni più familiari, condivisi e utili al nostro caso.


A. Laicità con riferimento alla creazione

 

Parlando di laicità, di valori laici, di mentalità laica spesso si intende una ragione e una volontà di rispetto dell’autonomia delle cose: esse hanno una «loro propria consistenza, verità, bontà, leggi proprie e il loro ordine», perché sono state create da Dio e sono sue creature.[36]

È compito dell’uomo scoprirle mediante la scienza, rispettarle, usarle e ordinarle tramite il lavoro e la tecnica, «riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza ed arte».[37]

Il Vaticano II chiama tutto questo «autonomia delle realtà temporali» e dichiara che, quando sia intesa nel senso appena spiegato, è una esigenza legittima postulata non solo dagli uomini del nostro tempo, ma conforme anche al volere del Creatore».[38]

Una corretta mentalità laica esige dunque un alto senso di professionalità, spesso non facile. Più precisamente essa si interessa della realtà oggettiva delle cose; si dedica con costanza a conoscerle, anche se sono complesse ed esigono rigoroso studio, aggiornate conoscenze scientifiche e tecniche, attenta sperimentazione; è lucida nel descrivere le situazioni, critica nel valutarle, realista nel programmarne il miglioramento, serena nel verificarne i risultati, positivi o negativi, coraggiosa nel modificarla; è generosa nella collaborazione e apprezza l’organizzazione.

Queste esigenze sono, tra l’altro, un apporto positivo del processo di secolarizzazione che con varia intensità ha segnato di sé l’epoca moderna e contemporanea. [pag. 99]

Applicando al nostro caso, il fatto di essere cristiani e Salesiani stimola non già a rinunciare a una riconosciuta professionalità e competenza, ma piuttosto a valorizzarle ancor di più: «Sbagliano coloro che, sapendo che “le realtà temporali sono passeggere” — dichiara la Gaudium et spes — pensano di poter per questo trascurare i propri doveri terreni e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno».[39]

Le cose create, pur avendo un valore in se stesse, hanno anche un necessario e imprescindibile riferimento a Dio: «La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce. Tutti coloro che credono, a qualunque religione appartengano, hanno sempre inteso la voce e la manifestazione di Lui nel linguaggio delle creature».[40]

L’attuale processo di secolarizzazione purifica la fede cristiana da visioni mitiche e irrazionali; aiuta a non contrapporre Dio e l’uomo quasi fossero due antagonisti che si spartiscono «sacro» e «profano». Fra Dio e le creature infatti vi è un rapporto di creazione continua: Dio «mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quello che sono».[41]

Una giusta mentalità laica, illuminata dalla visione cristiana, scopre nella verità bontà e bellezza di tutte le cose il rapporto che le lega a Dio e un riflesso di Lui; sa che il contemplarle e l’usarle in modo corretto stimolano il dialogo riconoscente con il loro Creatore.

Ma va detto che il processo di secolarizzazione si accompagna spesso ad affermazioni che difendono la radicale indipendenza delle cose quasi che esse non dipendessero da Dio e l’uomo ne potesse disporre senza riferirle al Creatore.[42] L’uomo stesso nascerebbe alla sua libertà perché finalmente libero da Dio. In molti ambienti «laicità» non è legittima autonomia ma totale indipendenza delle persone, delle società e delle scienze da ogni ulteriore riferimento religioso: una forma di laicismo ateo e di secolarismo, nata dalla degenerazione della laicità stessa intesa in senso evangelico. [pag. 100]

Di fronte a questa situazione, avere una corretta mentalità laica vuol dire, per il Salesiano, laico e prete, sapersi validamente premunire e opporre a svariate forme di materialismo e laicismo ateo, di indifferentismo religioso, purtroppo presenti in molti settori in cui egli svolge il suo apostolato.

 


B. Laicità con riferimento alla missione della Chiesa

 

Con riferimento alla missione della Chiesa nella storia dell’umanità, si parla di fedeli laici per distinguerli dal clero e dai religiosi e per indicare che essi, «per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano».[43] Si parla di laicità per sottolineare il fatto che tali fedeli svolgono la missione della Chiesa all’interno del mondo. È l’indole secolare loro propria di cui si dirà fra poco.

Va notato infatti che il popolo di Dio nel suo insieme è «inviato da Cristo a tutto il mondo», per esservi «segno e strumento d’intima unione con Dio e di unità di tutto il genere umano».[44] Rientra quindi in questa missione, unica e universale, della Chiesa il «permeare e perfezionare l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico».[45]

Ma sono diverse le modalità secondo cui questo avviene: «Certamente tutti i membri della Chiesa — dichiara l’esortazione Christifideles laici di Giovanni Paolo II (n. 15) — sono partecipi della sua dimensione secolare; ma lo sono in forme diverse»altro è il modo proprio dei fedeli laici, altro quello dei preti secolari, altro quello degli appartenenti a Istituti secolari, altro ancora quello dei membri delle Congregazioni religiose.

In questo contesto il mondo è inteso non tanto come creazione, ma come mondo degli uomini, «teatro della storia del genere umano», segnato dal suo lavoro, dai suoi insuccessi e dalle sue vittorie; «il mondo certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma liberato dal Cristo morto e risorto, e destinato, secondo il piano divino, a trasformarsi e a giungere al suo compimento».[46] [pag. 101]

Rendiamoci dunque conto di queste diverse modalità di vita e d’impegno cristiano nel mondo.

a. La «laicità» propria dei fedeli laici è connessa con la loro «indole secolare». I fedeli laici — dichiara il decreto conciliare loro dedicato — hanno «una parte propria e assolutamente insostituibile nella missione della chiesa».[47] Lo si deve all’indole secolare che è loro «propria e particolare», anche se non esclusiva. Essa è presente infatti, secondo modalità e intensità diverse, anche nel clero e negli stessi Istituti religiosi, come verrà spiegato.[48]

Tale indole secolare, detta correntemente secolarità (da non confondere con la secolarizzazione e il secolarismo), presenta un duplice aspetto: l’uno antropologico e sociologico, l’altro ecclesiolo­gico e vocazionale.

L’indole secolare in senso antropologico e sociologico indica il fatto di essere nel mondo, di vivere nelle ordinarie condizioni di vita familiare e sociale, e il fatto di dover assolvere compiti temporali attinenti la famiglia, la salute, l’educazione, la scienza e la cultura, il mondo del lavoro, delle professioni, dell’industria, dell’economia, della giustizia, della politica, delle relazioni tra i popoli, della pace. Essa ricopre «tutte» le realtà umane temporali con le strutture che sono loro proprie e con l’evoluzione storica di cui intessono l’esistenza delle persone.[49]

L’indole secolare in senso ecclesiologico e vocazionale sottolinea l’impegno cristiano di fare in modo che queste medesime realtà siano ordinate secondo Dio, sviluppate secondo Cristo e costruite secondo le ispirazioni del suo vangelo.[50] Impegnarsi perché le relazioni tra le persone in famiglia, nel gruppo di lavoro, nei rapporti civili e sociali siano liberate dal male e dal peccato dell’uomo e rispondano alle esigenze evangeliche di giustizia, di fraternità, di solidarietà, di libertà e di pace è quanto caratterizza l’indole secolare [pag. 102] cristiana dalla semplice condizione secolare comune a tutti gli uomini.

I fedeli laici svolgono questa missione agendo dall’interno di queste stesse strutture, con responsabilità dirette. In questo senso le animano evangelicamente a guisa di fermento,[51] e devono esprimere una spiritualità molto aderente alle loro concrete forme di vita e di attività, alle loro capacità e attitudini, ai doni ricevuti dallo Spirito. Tra queste forme di vita spirituale laicale il Concilio annovera espressamente quelle delle associazioni che si ispirano alle Famiglie religiose, com’è il caso dei Cooperatori salesiani.[52]

Il Salesiano coadiutore invece è religioso e con la professione religiosa egli modifica la sua condizione secolare, perché lascia la propria famiglia e l’inserimento nelle comuni strutture civili e sociali per entrare a far parte della comunità salesiana. Modifica anche la sua missione secolare, perché la svolge ormai non all’interno di strutture secolari come fanno i fedeli laici, ma per lo più nell’ambito delle opere salesiane e, sopra tutto, in conformità alla sua consacrazione apostolica come membro di una comunità salesiana.

b. La laicità o secolarità consacrata è propria di quanti professano i consigli evangelici nel mondo come sono gli appartenenti Istituti secolari.[53]Rimangono nel mondo e operano al suo interno. Non si sottraggono alla loro condizione secolare perché scelgono di restare nella propria famiglia e di lavorare nell’una o nell’altra delle molteplici istituzioni civili e sociali. E svolgono il loro apostolato all’interno di tali strutture secolari. Per questi motivi restano laici e secolari, conservano l’«indole secolare» nel senso antropologico ed ecclesiologico spiegato.

Ma in forza di una specifica vocazione, praticano i consigli evangelici rimanendo nel mondo, divenendo così laici o secolari consacrati. Hanno uno statuto teologico e giuridico proprio, distinto da quello dei religiosi. Non vivono in comunità, anche se favoriscono i rapporti di comunione tra i membri dell’Istituto. Non esercitano un apostolato «confessionale», cioè a nome della Chiesa e del [pag. 103] proprio Istituto, perché l’efficacia della loro testimonianza ed azione cristiana di tipo secolare è strettamente connessa con una presenza nascosta e non appariscente nella società. La loro pratica dell’obbedienza, della povertà, della castità assume caratteristiche secolari adattate alla loro condizione e missione nel mondo. In questa fattispecie rientra l’Istituto delle Volontarie di Don Bosco.[54]

Diverso è il caso del Salesiano coadiutore. Facendosi religioso egli modifica la sua condizione e missione secolare. Vive e lavora in una comunità religiosa, partecipa alla sua missione che esercita a nome della Chiesa e pratica manifestamente i consigli evangelici secondo il progetto indicato nelle Costituzioni. Tutto questo specifica la sua laicità, e, se da una parte le pone sicuramente dei limiti, dall’altra ne evidenzia e caratterizza la testimonianza e l’efficacia connessa con determinati aspetti della missione salesiana.

c. Laicità con riferimento alla vita religiosa. Vi sono nella Chiesa tipi di laicità e di secolarità compatibili e realizzabili anche nella vocazione religiosa.

I fedeli laici che si fanno religiosi non rinunciano alla laicità intesa come rispetto delle realtà temporali e come visione cristiana della creazione, la irrobusticono nella misura in cui sono guidati e sostenuti dalla loro donazione totale a Dio. Con la loro vita e attività testimoniano che Dio solo è il Creatore di tutte le cose e il Signore dell’umanità.

Divenendo religiosi, essi rinnovano l’impegno, già assunto nel Battesimo e nella Cresima, di partecipare alla comune missione cristiana di inviati ai fratelli come segni e strumenti di salvezza e di svolgere le funzioni sacerdotale, profetica e regale comuni a tutti i membri del popolo di Dio. Le varie forme di vita religiosa non emarginano dal mondo e dai suoi problemi: «Né pensi alcuno — dichiara il Vaticano II — che i religiosi con la loro consacrazione diventino o estranei agli uomini o inutili nella città terrena. […] Essi collaborano spiritualmente coi loro contemporanei, affinché la costruzione della città terrena sia sempre fondata sul Signore e a Lui [pag. 104] diretta, né avvenga che lavorino invano quelli che la stanno costruendo».[55]

I religiosi laici vivono la loro qualifica di religiosi e di laici non in modo uniforme, ma secondo l’indole propria degli Istituti religiosi a cui appartengono.

“Molti Istituti sono laicali: «In forza della loro natura, dell’indole e del fine, [essi hanno] un compito specifico, che non comporta l’esercizio dell’Odine sacro. [Ciò] è determinato dal Fondatore o in base a una legittima tradizione».[56]

Altri istituti, come il nostro, sono composti di ecclesiastici e di laici e sono i laici, sopra tutto, a realizzare quella componente laicale che è propria della loro originale natura carismatica.

Spesso con un apostolato educativo, pastorale, ospedaliero, missionario alcuni Istituti sia laicali che clericali si inseriscono vitalmente e profondamente nella realtà secolare. Hanno contatti quotidiani con la gioventù e la gente del luogo, con le famiglie e le istituzioni civili del territorio. Ma, sopra tutto edirettamente, essi intendono confessare Dio come valore assoluto e portano all’interno In questi contesti la loro testimonianza di religiosi e lo spirito del loro Fondatore. Dal punto di vista sociologico, però, e personalmente, per una particolare sensibilità che acquistano operando, essi assumono, in una certa misura, nella loro vita religiosa i segni di una fisionomia secolare. È questo il caso dei Confratelli coadiutori nella nostra Società, nata agli albori della civiltà industriale e tutta protesa a realizzare un grande impegno educativo e pastorale a favore del mondo giovanile e popolare. 


2.3.3 Caratteristiche della vocazione del Salesiano coadiutore 

Per comprendere più compiutamente questa caratteristica peculiare del Salesiano coadiutore, è necessario averne presente varie altre che insieme definiscono la sua vocazione di Salesiano laico. [pag. 105]


A. Una vocazione che si innesta nella vocazione cristiana 

In sintonia con il magistero del Vaticano II, il CG21 afferma: «La vocazione del Salesiano coadiutore è uno sviluppo della consacrazione conferita dai sacramenti del Battesimo e della Cresima. mediante la quale egli vive integralmente i valori cristiani del popolo di Dio: santificato e inviato da Dio Padre per la salvezza del mondo, partecipa della missione e azione di Cristo profeta, sacerdote e pastore, e così si inserisce nella missione propria della Chiesa di testimoniare e annunciare il vangelo». A questo fine manifesta e valorizza «gli atteggiamenti cristiani fondamentali: la coscienza della comune dignità di figli di Dio e di fratelli in Cristo, della comune corresponsabilità nell’edificazione del suo Corpo, e della comune vocazione alla santità; la libertà evangelica, dono dello Spirito, il vivo senso dell’appartenenza alla Chiesa locale presieduta dal vescovo, la rinnovata presenza nella società, e infine la solidarietà cristiana specialmente con i poveri, la sensibilità e l’apertura ai ‘segni dei tempi’, l’attenzione fattiva alle necessità concrete».[57]

Queste indicazioni generali sono riprese ed espresse nel testo della nostra Regola di vita. «La vocazione salesiana — dice l’art. 6 — ci situa nel cuore della Chiesa e ci pone interamente al servizio della sua missione». «Dal nostro amore per Cristo — è l’art. 13 — nasce inseparabilmente l’amore per la sua Chiesa popolo di Dio, centro di unità e comunione di tutte le forze che lavorano per il Regno. Ci sentiamo parte viva di essa e coltiviamo in noi e nelle nostre comunità una rinnovata coscienza ecclesiale. La esprimiamo nella filiale fedeltà al successore di Pietro e al suo magistero, e nella volontà di vivere in comunione e collaborazione con i vescovi, il clero, i religiosi e i laici». «La Chiesa particolare è il luogo in cui la comunità vive ed esprime il suo impegno apostolico», dichiara l’art. 48. E l’art. 7: «La nostra vocazione ci chiede di essere intimamente solidali con il mondo e con la sua storia». Lo completa l’art. 19: «Il Salesiano è chiamato ad avere il senso del concreto ed è attento ai segni dei tempi, convinto che il Signore si manifesta anche attraverso le urgenze del momento e dei luoghi». [pag. 106]


B. Una vocazione che pratica con radicalità uno stile evangelico di vita e di azione 

Il Salesiano coadiutore è consapevole che all’origine della sua vocazione salesiana vi è l’iniziativa di Dio. Chiamandolo alla vita salesiana, il Padre lo consacra con il dono del suo Spirito, suscita in lui la risposta alla vocazione ricevuta e lo sorregge continuamente nell’assolvere questo compito.

Egli risponde all’iniziativa caritativa di Dio con la professione: «La nostra vita di discepoli del Signore è una grazia del Padre che ci consacra col dono del suo Spirito e ci invia ad essere apostoli dei giovani. Con la professione religiosa offriamo a Dio noi stessi per camminare al seguito di Cristo e lavorare con Lui alla costruzione del Regno».[58]

L’azione consacrante di Dio abbraccia non l’uno o l’altro aspetto della vita del Salesiano laico, ma l’intera sua persona ed azione. Con la sua presenza attiva, lo Spirito del Signore lo inserisce nella” vita caritativa divina, lo anima e lo sostiene nello svolgere la missione, nel vivere la comunione fraterna e nel praticare i consigli evangelici.

Anche la risposta che egli dà non riguarda l’uno o l’altro aspetto della sua vita, ma la sua interezza e totalità. Con la professione religiosa egli offre a Dio tutto se stesso: il suo essere e il suo agire per la salvezza dei giovani. S’impegna nella missione salesiana e nella vita di comunione. Trova nella pratica dei consigli una garanzia di soprannaturale efficacia per la sua missione, una sorgente di fraternità e di carità pastorale, di slancio e dinamismo apostolico. I voti lo rendono anche totalmente disponibile agli altri e lo impegnano a vivere e lavorare insieme ai Confratelli per testimoniare e annunciare il Vangelo ai giovani.

La formula della professione esprime bene questa novità di essere e di impegno: «Dio Padre, Tu mi hai consacrato a Te nel giorno del battesimo. In rispostaall’amore del Signore Gesù tuo Figlio, che mi chiama a seguirlo più da vicino, e condotto dallo Spirito Santo che è luce e forza, io, in piena libertà mi offro totalmente a Te, impegnandomi a donare tutte le mie forze a quelli a cui mi manderai, [pag. 107] specialmente ai giovani poveri, a vivere nella società salesiana infraterna comunione di spirito e di azione e a partecipare in questo modo alla vita e alla missione della tua chiesa. Per questo […] faccio voto per sempre di vivere obbediente, povero e casto, secondo la via evangelica tracciata nelle Costituzioni salesiane».[59]


C. Una vocazione religiosa laicale 

I Salesiani coadiutori sono i Soci laici della nostra Congregazione. Riprendiamo ora una riflessione avviata in tema di laicità per approfondirla e integrarla. 

a. Il Salesiano coadiutore vive da religioso salesiano la sua vocazione di laico.

Per descrivere la dimensione laicale del Salesiano coadiutore, il GCS si ispira all’insegnamento del Vaticano II circa le tre note funzioni di cui tutti i fedeli laici sono resi partecipi nei sacramenti dell’iniziazione cristiana, ma le ridisegna, partendo dal fatto che il Confratello coadiutore è un religioso salesiano e questo informa il suo essere laico. Il Salesiano coadiutore, dichiara il CGS:

—   «vive con le caratteristiche della propria vita religiosa la vocazione di laico che cerca il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio;

—   esercita il sacerdozio battesimale, la sua funzione cultuale, profetica e di testimonianza e il suo servizio regale in modo da partecipare veramente alla vita e missione di Cristo e della chiesa;

—   realizza con l’intensità della sua specifica consacrazione e per ‘mandato’ della chiesa, non in persona propria come semplice secolare, la missione di evangelizzazione e di santificazione non sacramentale;

—   svolge la sua azione di carità con maggiore dedizione all’interno di una congregazione che si dedica all’educazione integrale dei giovani particolarmente bisognosi;

—   come religioso, anima cristianamente l’ordine temporale, avendo egli rinunciato alla secolarità [propria dei fedeli laici che vivono [pag. 108] nel mondo e a quella dei secolari consacrati], con un apostolato efficacissimo, educando i giovani all’animazione, cristiana del lavoro e degli altri valori umani».[60]

L’attuale testo costituzionale dà tutto questo per acquisito. Delineando dapprima l’indole salesiana, comune a tutti i membri della Congregazione, e solo all’interno di essa l’identità propria del Salesiano laico e del Salesiano prete, intende chiaramente affermare che il Salesiano coadiutore è prima di tutto un Salesiano religioso: la consapevolezza di avere abbracciato una specifica forma di vita consacrata, quella salesiana, diretta a realizzare il progetto apostolico di Don Bosco, modifica la sua coscienza di laico cristiano, la permea e la anima.[61] Egli «è responsabile della missione comune e vi partecipa con la ricchezza dei suoi doni e della sua caratteristica laicale».[62] 

b. Il Salesiano coadiutore vive da laico salesiano la sua voca­zione comunitaria di religioso.

Il GC21 recepisce quanto aveva affermato il CGS,[63] ma lo integra. Definisce infatti la laicità del Salesiano coadiutore a partire certamente dalla sua vocazione religiosa, ma indica anche e sopra tutto come la caratteristica laicale specifica e informa tutta la sua vita religiosa. È una con determinazione essenziale. Egli vive da laico l’insieme dei valori comunitari che fanno la vocazione salesiana.[64] Il fatto di essere laico cioè influisce sul modo con cui il Confratello vive e agisce da religioso salesiano in comunione con gli altri Confratelli. Ecco i passi che più interessano.

Si dichiara innanzi tutto che «la dimensione laicale è la forma concreta con cui il Salesiano coadiutore vive e agisce come religioso salesiano. È questa la sua caratteristica specifica, un valore rilevante ed essenziale della sua identità».

Si concepisce tale laicità non in modo negativo, quasi bastasse non essere prete per essere laico, ma positivamente come «l’insieme [pag. 109] dei valori che caratterizzano il cristiano laico qualificato dalla consacrazione religiosa salesiana».

Non si restringe questa laicità entro i confini di determinati servizi o funzioni che il Salesiano laico svolge nell’ambito della sua comunità: la laicità — dichiara il testo capitolare — «non si riduce a un servizio o a una semplice funzione».

La si allarga piuttosto alla sua intera vita: «La dimensione laicale investe tutta la vita del Salesiano coadiutore: la missione salesiana, la vita di comunità, l’azione apostolica, la professione religiosa, la preghiera e la vita spirituale sono vissute da lui come religioso laico».

Si segnala il fatto che, in virtù di questa caratteristica laicale, «l’intera sua esistenza si trasforma in una testimonianza salesiana concreta sia verso i Confratelli sacerdoti sia verso i destinatari, sia in generale verso tutti i gruppi della Famiglia salesiana. Ciò fa assumere anche alla comunità salesiana quell’aspetto suo proprio voluto da Don Bosco: arricchita dalla dimensione laicale, è capace di accostarsi al mondo in maniera più apostolicamente valida».[65]

In particolare, non la isola dalla correlativa dimensione presbiterale.[66] La Congregazione è formata di ecclesiastici e di laici uniti fra loro dai saldi vincoli di unità dei distinti. Se si considerano i singoli Salesiani al di fuori di questi vicendevoli legami fraterni si cade nel pericolo di una visione individualistica o, peggio ancora, classista della vita salesiana.[67]

L’attuale testo costituzionale riassume brevemente ma efficacemente la progressione di questo cammino: «Il salesiano coadiutore porta in tutti i campi educativi e pastorali il valore proprio della sua laicità, che lo rende in modo specifico testimone del Regno di Dio nel mondo, vicino ai giovani e alle realtà del lavoro».[68]


D. Una vocazione al servizio della missione salesiana 

Per realizzare il suo progetto di vita e di azione apostolica, Don Bosco ritenne necessario il contributo del religioso laico. [p. 110]

Egli volle che la Società di san Francesco di Sales fosse una «radunanza di preti, chierici e laici, specialmente artigiani, i quali desiderano di unirsi insieme, cercando così di farsi del bene tra loro e anche di fare del bene agli altri».[69]

Nel configurare questa Società Don Bosco stabilì che fosse costituita non di soli ecclesiastici, e non di soli laici; ma di ecclesiastici e laici uniti in un’unica comunione di vita e di lavoro. Fedele a questa intenzione, l’art. 4 delle Costituzioni così si esprime: «La nostra Società è composta di chierici e di laici che vivono la medesima vocazione in fraterna complementarità».

Ogni Salesiano, laico o prete, è partecipe della missione che è affidata alla comunità e corresponsabile della sua concreta attuazione: «Il mandato apostolico viene assunto e attuato in primo luogo dalle comunità ispettoriali e locali i cui membri hanno funzioni complementari con compiti tutti importanti».[70] «La comunità locale — sottolinea l’art. 175 — è composta di confratelli che, […] in unità di spirito sotto l’autorità del Superiore, operano corresponsabilmente per la missione apostolica». E l’art. 45 specifica: «Ciascuno di noi è responsabile della missione comune e vi partecipa con la ricchezza dei suoi doni e delle caratteristiche laicale e sacerdotale dell’unica vocazione salesiana».


E. Una vocazione salesiana concreta e completa 

Dio chiama ciascuno per nome e in vista di una missione concreta da svolgere all’interno del suo popolo, in un determinato mo­mento della storia.

Quella del Salesiano coadiutore come quella del Salesiano prete è una chiamata che Dio rivolge alla singola persona e la fa essere se stessa: «Ciascuno di noi — scrive l’art. 22 delle Costituzioni — è chiamato da Dio a far parte della Società salesiana. Per questo riceve da Lui doni personali».

La chiamata non è generica, ma specifica: si è chiamati ad essere concretamente Salesiani preti Salesiani laici. Per realizzare il suo progetto apostolico, infatti, Don Bosco ha fondato una Congregazione [pag. 111] «formata di ecclesiastici e laici». Questa è la forma della nostra Società: essa — dice l’art. 4 delle Costituzioni — è composta di chierici e di laici che vivono la medesima vocazione in fraterna complementarità».

Senza dubbio ciascuno scopre sempre la sua concreta vocazione attraverso un cammino di progressivo discernimento. Ad accompagnare tale cammino sono destinate la pastorale vocazionale e la formazione iniziale.

Nel popolo di Dio, lo Spirito del Signore distribuisce doni diversi, tutti radicati nella comune vocazione cristiana.[71] Sono modi distinti di realizzarla, adattati alla persona di ogni battezzato. Ogni dono o forma vocazionale è quindi in sé completa. Dichiara al riguardo il decreto conciliare sulla vita consacrata: «La vita religiosa laicale […] maschile […] costituisce uno stato in sé completo di professione dei consigli evangelici. Perciò il sacro Concilio […] conferma i membri in tale forma di vita religiosa nella loro vocazione».[72]

All’interno della nostra Congregazione vi è una comune vocazione salesiana che viene vissuta secondo modalità distinte, quella laicale e quella presbiterale. Non vi sono quindi due vocazioni diverse per grado e valore: completa quella del Salesiano prete e incompleta quella del salesiano laico, o viceversa. La vocazione del Salesiano coadiutore, ci assicura l’art. 3 delle Costituzioni, comprende tutti gli elementi inseparabili della nostra consacrazione apostolica salesiana: la speciale alleanza con Dio, la missione, la comunione fraterna, la pratica dei consigli evangelici, lo spirito salesiano con cui questa consacrazione viene vissuta.

Di conseguenza il Salesiano coadiutore partecipa all’attuazione del progetto di vita e di azione della comunità a titolo proprio e non derivato, in base cioè alla propria vocazione e al mandato ecclesiale che gli è proprio. «Il mandato ecclesiale che la Chiesa ci affida»[73] si radica nel libero dono della vocazione salesiana. La Chiesa lo riconosce e mira, col suo intervento, ch’esso venga fatto fruttificare. [pag. 112] 


F. Una vocazione originale 

Don Rinaldi ha scritto che «il Coadiutore salesiano è una geniale creazione del gran cuore di Don Bosco, ispirato dall’Ausiliatrice».[74] Egli ha insistito su questa «geniale modernità» e ne ha offerto i motivi: «Il Coadiutore salesiano non è il secondo, né l’aiuto, né il braccio destro dei sacerdoti suoi fratelli di religione, ma un loro uguale che nella perfezione li può precedere e superare, come l’esperienza quotidiana conferma ampiamente».[75]

Il CG21, approfondendo il tema, ha ulteriormente dichiarato che questa vocazione «è caratteristica rispetto ad altre vocazioni: all’interno della Chiesa, perché è al servizio della missione salesiana; e all’interno della Famiglia salesiana, perché è vissuta da un religioso letico in una comunità con caratteristiche proprie ereditate dal Fondatore».[76] 


G. Una vocazione significativa 

Si è detto che per godere di buona salute, l’identità di una persona o di un gruppo deve possedere ed esprimere un senso comprensibile ed operante.

Sicuramente per i Salesiani coadiutori che hanno seguito con generosità la loro vocazione, il vivere e lavorare con Don Bosco ha dato senso alla loro vita. La loro testimonianza quotidiana ha fatto sì che altri venissero attratti e si facessero anch’essi Salesiani laici.

Anche se poco conosciuta e, a volte, non ben compresa, la loro identità è stata spesso tenuta in grande considerazione sia nell’ambito della Famiglia salesiana che in ambienti civili ed ecclesiali. Non solo perché, come scriveva don Rinaldi, è «un genere di vita di percezione e di apostolato […] accessibile ad ogni ceto di persone»,[77] ma anche perché «investe tutte le dimensioni della vita e offre la possibilità di un pieno sviluppo della propria personalità»,[78] e, nella prospettiva della missione, risponde pienamente, in luoghi e culture [pag. 113] diverse, alle loro esigenze, specialmente a quelle proprie del «mondo del lavoro».[79] 


2.4 ESSENZIALE RECIPROCITÀ TRA SALESIANI LAICI E SALESIANI PRETI 

La rete di relazioni che, all’interno della Congregazione, unisce i Salesiani coadiutori ai Salesiani preti rientra nella loro identità vocazionale.

Sull’argomento sono intervenuti ripetutamente le nostre assemblee capitolari, specialmente il CG21 e il CG22. 


2.4.1 Reciprocità vocazionale 

Parlando della nostra Società, della sua forma, della sua indole propria, l’art. 4 delle Costituzioni pone l’affermazione: «La nostra Società è composta di chierici e laici». Essa ha un volto originale nella Chiesa, un volto «religioso e secolare», come disse Pio IX;[80] ha una sua propria modalità di vita e di azione, adatta alla novità dei tempi e al tipo di servizio educativo pastorale che svolge. Questa forma propria dipende appunto dal fatto che essa «è composta di chierici e laici». Si tratta della sua costituzione carismatica. Così è stata voluta dal Fondatore. Essa, — dichiarava Don Bosco nel testo costituzionale del 1875 — «consta di chierici e di laici, i quali for­mando un cuor solo e un’anima sola, conducono vita comune…».[81]

È il modo concreto con cui nel primo Oratorio si viveva la medesima vocazione stando con Don Bosco. Questa «esperienza di Spirito Santo» che il nostro Fondatore iniziò e che la Chiesa riconobbe come dono del Signore, come «carisma»[82] è uno degli elementi base che fanno essere la Congregazione quello che deve essere secondo il volere di Dio. [pag. 114]

È il nostro carisma comunitario: «ciascuno di noi è chiamato da Dio a far parte della Società salesiana»,[83] a vivere, in forza della sua stessa vocazione, in stretta comunione con gli altri.

Già in virtù del Battesimo e della Cresima Salesiani coadiutori e Salesiani preti sono fra loro uniti nella comunione ecclesiale. La vocazione salesiana poi fa sì che la forma vocazionale di ciascuno sia correlata a nuovo titolo con quella degli altri, cosi che fra gli uni e gli altri si attua una reale reciprocità vocazionale.

Correlazione e reciprocità non significano subordinazione o contrapposizione né perdita o fusione delle proprie caratteristiche, rispettivamente laicali e presbiterali. Significano piuttosto vicendevole comunione e comunicazione tra Salesiani che hanno caratteristiche proprie; significano interscambio dei rispettivi valori e partecipazione paritaria all’attuazione del progetto apostolico di Don Bosco.[84]

Dichiara al riguardo il VII successore di Don Bosco: «Le differenze nella figura e nel ruolo dei soci non vanno considerate ‘limitazioni’ o ‘gradi’, ma sorgenti di ricchezza comune; non mancanza di qualcosa, ma potenziale integrativo dei valori degli altri; apporto armonico a un tipo di comunità religioso-apostolica originale».[85] 


2.4.2 Fraterna complementarità 

L’art. 4 delle Costituzioni precisa ancora: chierici e laici «vivono la medesima vocazione in fraterna complementarità». Non si tratta di una complementarità qualsiasi, ma di «un peculiare tipo di complementarità organica».[86] Essa esige un equilibrato dosaggio tra la componente laicale e quella sacerdotale, non fissato una volta per sempre, ma aperto a una verifica continua che ne consenta la rettifica e l’opportuno adattamento ai tempi e ai luoghi.

«Medesima vocazione» e «fraterna complementarità» esigono, in generale, la piena uguaglianza dei Soci nella professione religiosa, [p. 115] la costitutiva reciprocità tra chierici e laici, l’adeguata formazione per questa mutua correlazione di vita.


A. Complementarità a livello di coscienza personale 

Perché questa fraternità e questa complementarità da valori ideali diventino valori reali che si vivono nel quotidiano di ogni giorno, occorre che i Salesiani, tutti, ne siano pienamente consapevoli convinti. Occorre che esse siano sempre più radicate nelle loro coscienze e manifestate nei loro atteggiamenti interni ed esterni.

Il Rettor Maggiore ha dichiarato a questo riguardo: «Ogni socio, chierico o laico, se ha vera coscienza di essere membro, si sente corresponsabile del tutto, apportando il dono di sé e della sua tipica vocazione. La componente ‘sacerdotale’ e quella ‘laicale’ non comportano un’addizione estrinseca di due dimensioni affidate ognuna a categorie di Confratelli in sé differenti, che camminano parallelamente e sommano forze separate; bensì a una comunità che è il soggetto vero dell’unica missione salesiana».

«Ciò esige una formazione originale della personalità di ogni socio; per cui il cuore del Salesiano chierico si sente intimamente attirato e coinvolto nella dimensione laicale della comunità, e il cuore del Salesiano laico si sente, a sua volta, intimamente attirato e coinvolto in quella sacerdotale. È la comunità salesiana, in ognuno dei suoi Soci, che testimonia sensibilità e realizza impegni che sono simultaneamente ‘sacerdotali’ e ‘laicali’».[87]

Le comunità devono maturare questi atteggiamenti poiché è questa coscienza vissuta nelle sue conseguenze ad emarginare in Congregazione ogni tipo di mentalità sia clericale che tende a deprezzare i valori della laicità, sia laicista che si contrappone, spesso emotivamente, o almeno si distanzia dai valori del sacerdozio. Queste mentalità impoverite sono fonti di tensioni e di amarezze, di incomunicabilità e discriminazioni e snaturano la nostra specifica comunione apostolica.[88] [pag. 116]


B. Complementarità a livello apostolico 

Cosa comporta, a livello di attività apostolica, la fraterna complementarità tra Salesiani coadiutori e preti? L’articolo 45 delle Co­stituzioni afferma: «La presenza significativa di Salesiani chierici e laici nella comunità costituisce un elemento essenziale della sua completezza apostolica». Di conseguenza la comunità non sarebbe più pienamente se stessa, se fosse mancante o comunque carente la presenza degli uni o degli altri.

Nelle intenzioni di Don Bosco i giovani devono essere accostati con attività fatte insieme a loro ma accompagnate dalla stretta collaborazione tra Salesiani preti e laici, fratelli nella stessa comunità religiosa.[89]

L’art. 44 delle Costituzioni riprende questa convinzione: nelle comunità ispettoriali e locali, «i membri hanno funzioni complementari con compiti tutti importanti. Essi ne prendono coscienza: la coesione e la corresponsabilità permettono di raggiungere gli obiettivi pastorali». E l’art, successivo precisa: «Ciascuno di noi è responsabile della missione comune e vi partecipa con la ricchezza dei suoi doni e delle caratteristiche laicale e sacerdotale dell’unica vocazione salesiana».

Per quanto riguarda, più specificamente la componente laicale, la presenza del Salesiano laico arricchisce l’azione apostolica della comunità: rende presente ai Salesiani presbiteri i valori della vita religiosa laicale e li richiama in permanenza alla viva collaborazione coi laici; ricorda al Salesiano prete una visione e un impegno apostolico assai concreto e complesso, che va più in là dell’attività presbiterale e catechistica in senso stretto.[90]

La presenza significativa e credibile del Salesiano coadiutore «testimonia ai giovani i valori della vita religiosa laicale, come alternativa alla vita religiosa sacerdotale; offre a quanti non si sentono chiamati a una vita consacrata un modello più prossimo di vita cristiana, di santificazione del lavoro, di apostolato laicale». Permette alla comunità salesiana una particolare incarnazione apostolica nel mondo e una particolare presenza nella missione della Chiesa.[91] [pag. 117] 


2.4.3 Influsso della reciprocità e complementarità sull’identità 

La reciprocità e la complementarità fra Salesiani laici e Salesiani preti influiscono sull’identità di entrambi, su quella delle comunità e dell’intera Congregazione.

A. La reciprocità e la complementarità caratterizzano l’identità delle persone

«Perché correlati tra di loro all’interno della comunità salesiana, Salesiani coadiutori e Salesiani preti si caratterizzano e si influenzano vicendevolmente.Non è possibile definire adeguatamente l’identità del Salesiano coadiutore senza doversi riferire all’identità del Salesiano prete, e viceversa. La crisi di identità o il cambio della figura di uno coinvolge più o meno profondamente anche l’altro. Le loro ricchezze spirituali si alimentano a vicenda e la povertà della propria vita spirituale, rispettivamente laicale o presbiterale, si ripercuote negativamente su entrambi».[92]

Affinché la comunità salesiana resti fedele al progetto originale e i suoi membri sviluppino fedelmente la propria fisionomia caratteristica, bisogna che Salesiani preti e Salesiani coadiutori si capiscano e si aprano gli uni agli altri alla comprensione del dono di Dio. «Così si realizza questo scambio mirabile, dove ognuno è se stesso, ma per gli altri, e tutti per coloro a cui si è mandati. In fondo un sacerdote che non consideri così il proprio fratello coadiutore e ne sminuisca la reale presenza e portata profetica, è uno che lotta con­tro il proprio significato».[93] E viceversa.

Una medesima inquietudine dovrebbe turbare la coscienza di tutti.[94]

B. La reciprocità e la complementarità caratterizzano la Congregazione e le sue comunità

«La presenza significativa e complementare di Salesiani chierici e laici nella comunità costituisce un elemento essenziale della sua [p. 118] fisionomia», si legge nell’art. 45 delle Costituzioni. Con ciò si riafferma la volontà esplicita di Don Bosco, del resto ripetutamente ricordata nel corso della nostra storia, circa la forma della nostra Società.[95]

Il Salesiano coadiutore è un «fattore necessario dell’opera salesiana», scrisse don Rinaldi.[96] Il CG19 lo dichiarò «un elemento costitutivo» della Congregazione così che essa, concludeva, non sarebbe più stata quella che Don Bosco volle se i Confratelli coadiutori fossero venuti a mancare.[97]

Il CG21 ne spiegava i motivi: «La specifica vocazione di religioso salesiano laico influisce sul tono globale della Congregazione e la definisce insieme alla dimensione sacerdotale». «Il tema del Salesiano coadiutore — prosegue citando una dichiarazione del VI successore di Don Bosco — tocca l’immagine della Congregazione… Domandarsi chi è il Salesiano coadiutore significa immediatamente domandarsi: qual è la natura della Congregazione, la sua missione, il suo spirito. Perché la Congregazione voluta e fondata da Don Bosco non è pensabile che come comunità apostolica di laici consacrati e di chierici. A guardar bene, i problemi dei Salesiani coadiutori si identificano con i problemi della Congregazione, sono i nostri problemi più veri, più essenziali.»

«Essa dunque — conclude il testo capitolare — deve mantenersi fedele alla sua natura carismatica voluta da Don Bosco. E non soltanto con una fedeltà teorica e dottrinale, ma concreta e storica. Non deve, cioè, limitarsi ad affermare che è clericale e laicale, ma esserlo veramente e visibilmente nella coscienza, negli atteggiamenti, nella vita e nelle manifestazioni esterne. […] Forse si può an­che aggiungere che quando in una ispettoria la proporzione tra Salesiani coadiutori e Salesiani preti è notevolmente compromessa, là non diamo più una testimonianza completa ed esatta di ciò che siamo carismaticamente».[98]

Su questi stessi temi è ritornato il VII successore di Don Bosco sia nella lettera citata su «La componente laicale della comunità salesiana», [pag. 119] sia in vari altri suoi interventi al CG22.[99] «Non si tratta — dichiarava — semplicemente di questo o quel socio che, per conto suo e in modo sciolto e quasi arbitrario, abbia un gusto personale più o meno ministeriale o profano; si tratta della comunità salesiana nella sua vitalità organica, ossia della Congregazione in quanto tale,che ha come componente essenziale della sua fisionomia un peculiare e simultaneo senso della consacrazione dell’Ordine [sacro] e della situazione laicale,permeantesi in una sintesi originale di vita comune».[100]

Le ragioni or ora dette motivano il «grido di allarme» che il Rettor Maggiore elevò al CG22.[101] 


2.4.4 Partecipazione alla vita e al governo della Congregazione 

Le strutture di animazione e di governo influiscono sull’identità della persona e del gruppo. Chiariti i rapporti di reciprocità e di complementarità tra Salesiani laici e Salesiani preti nella comunità e nella Congregazione, è ora possibile delimitare e comprendere meglio, da un lato la responsabilità dei Salesiani laici nelle strutture di animazione e di governo, e dall’altro, il servizio del Superiore salesiano presbitero. 

A. La responsabilità del Salesiano coadiutore nelle strutture di animazione e di governo

La nostra storia dimostra il ricco e vario contributo dei Salesiani coadiutori alla vita della comunità con la loro presenza negli spazi di responsabilità diretta e in organismi di animazione e di governo, a tutti i livelli.[102]

A livello locale egli esercita diversi ruoli e responsabilità sia nella comunità religiosa che in quella educativa: è preside, capo-laboratorio, [pag. 120]  direttore tecnico, direttore editoriale, economo, membro del consiglio della comunità.[103]

A livello ispettoriale partecipa a tutte le strutture di animazione dell’ispettoria: consulte, segretariati; fa parte del consiglio ispettoriale[104] e può essere delegato al capitolo ispettoriale.[105]

A livello mondiale può essere membro del Capitolo generale[106] e consigliere del Consiglio generale della congregazione.[107]

Egli offre così un contributo responsabile ed effettivo, correlato e organico,[108] all’animazione della comunità fraterna e apostolica, con una vera autorità in base ai principi di partecipazione, di sussidiarietà e di decentramento.[109]

Questa autorità è da lui esercitata «a nome e ad imitazione di Cristo come un servizio ai fratelli, nello spirito di Don Bosco, per ri­cercare e adempiere la volontà del Padre».[110]

B. Il servizio del Superiore salesiano come presbitero

Il servizio del Superiore salesiano è concepito e attuato nella prospettiva della fondamentale reciprocità e complementarità tra Salesiani laici e Salesiani preti. È diretto a cementare questi rapporti in sintonia col tipo specifico di missione, formalmente pastorale, propria della comunità.

Si tratta di un servizio che la nostra tradizione affida, come precisa l’art. 121 delle Costituzioni, a un confratello prete che, «per la grazia del ministero presbiterale e l’esperienza pastorale, sostiene ed orienta lo spirito e l’azione dei confratelli».[111] Di lui e del suo ministero hanno bisogno gli uni e gli altri, tutti.

Ciò dovrebbe assicurare l’ottica pastorale delle nostre attività e delle nostre opere: non soltanto quella comune a tutti i fedeli in [pag. 121] quanto soggetti attivi della missione della Chiesa, ma quella specifica legata all’esercizio del ministero presbiterale. «Ogni comunità, infatti, è chiamata ad essere una specie di ‘stazione missionaria’ per la gioventù. Colui che guida la comunità deve possedere i criteri del ‘pastore’, che danno alla missione comune una particolare connotazione ecclesiale».[112] 


2.5 L’AZIONE APOSTOLICA DEL SALESIANO COADIUTORE 

Si è già accennato più volte all’azione apostolica del Salesiano coadiutore. Per integrare quanto si è finora esposto e sulla linea dei contenuti propri di questo capitolo, si aggiungono qui alcuni ele­menti riguardanti:

—   i fondamenti dell’apostolato salesiano del coadiutore;

—   il fatto che tutta la sua vita dev’essere apostolica;

—   il «mondo del lavoro», campo privilegiato della sua azione. 


2.5.1 I fondamenti dell’apostolato del Salesiano coadiutore 

Il fondamento del suo apostolato è la consacrazione ricevuta nel Battesimo e nella Confermazione. Essa trova la sua pratica attuazione e pienezza nella consacrazione apostolica della professione salesiana.

A. La comune vocazione cristiana all’apostolato

Il Salesiano coadiutore è chiamato, come lo sono tutti i cristiani, a partecipare alla missione della Chiesa in forza dei sacramenti del Battesimo e della Cresima. È una verità più volte sottolineata dal Concilio. Eccone alcune dichiarazioni.

«La Chiesa, che vive nel tempo, per sua natura è missionaria».[113] «La vocazione cristiana è per sua natura anche vocazione [pag. 122] all’apostolato».[114] «Non vi è membro della Chiesa che non abbia parte nella missione di tutto il Corpo mistico».[115] I sacri pastori «sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutta la missione della salvezza che la Chiesa ha ricevuto verso il mondo».[116]

Nei sacramenti del Battesimo e della Cresima i fedeli vengono conformati a Cristo sacerdote, profeta e re e Signore. Di conseguenza hanno il diritto e il dovere di esercitare un’azione apostolica santificatrice o cultuale, profetica o di testimonianza e regale o rinnovatrice dell’ordine temporale, in modo che esso sia conforme al piano di Dio.[117]

B. Il modo salesiano di partecipare alla missione della Chiesa

Sono varie le vocazioni specifiche e dunque i modi di vivere la consacrazione battesimale, di partecipare alla missione della Chiesa e di svolgere l’azione apostolica, comune a tutti i cristiani.

La nostra consacrazione apostolica è il modo salesiano di vivere la consacrazione ricevuta nel Battesimo e nella Cresima. La nostra missione, giovanile e popolare, è il modo salesiano di partecipare alla missione della Chiesa. Il nostro servizio educativo pastorale verso i giovani e i ceti popolari è il modo salesiano di partecipare all’azione evangelizzatrice della Chiesa. [118]

Il cristiano che si fa Salesiano coadiutore si impegna a compiere la missione della Chiesa e le tre funzioni proprie di Cristo, partecipando alla realizzazione del progetto apostolico di Don Bosco, come membro educatore ed evangelizzatore di una comunità.

La sua consacrazione apostolica ricevuta nella professione religiosa è il modo salesiano di vivere la consacrazione battesimale e di realizzare la sua vocazione all’apostolato.[119] [pag. 123] 


2.5.2 Tutta la vita del Salesiano coadiutore è apostolica 

La vita intera e l’attività del fedele cristiano, e non soltanto qualche suo momento, deve essere apostolica. Così anche tutta la vita del Salesiano coadiutore e tutto il suo agire deve trasformarsi in apostolato.

L’apostolato non si riduce ad alcune azioni soltanto come la catechesi, la predicazione, l’amministrazione dei sacramenti. Il Vaticano II, che si rifà al pensiero biblico, comprende nell’apostolato tutte le azioni dirette a far sì che il mondo intero sia ordinato a Cristo, a far sì cioè che le persone vivano e operino in comunione di fede, di speranza e di amore con Dio e tra loro secondo l’esempio da­toci dal Signore Gesù.[120]

Accenniamo a due conseguenze pratiche.

La prima sta nel fatto che le prestazioni che i Salesiani coadiutori svolgono, i servizi domestici, le attività terziarie, i compiti culturali ed educativi, non possono essere considerati mestieri o professioni o azioni profane soltanto. Una corretta mentalità cristiana non accetta questa riduzione, perché equivarrebbe a fare propri, magari inconsapevolmente, atteggiamenti e comportamenti di tipo laicista. Per trasformarle in apostolato non basta la retta intenzione. Offrire le azioni della giornata al Signore è un elemento che contribuisce a far sì che un’azione sia buona, ma si può agire con retta intenzione e, nel contempo, compiere male un lavoro, ad esempio per incompetenza. Occorre considerare il lavoro come compito affidato a ciascuno dal Creatore da compiere in modo onesto e competente e da dirigere al servizio delle persone. La professionalità permane un aspetto importante di ogni apostolato autentico.[121]

La seconda conseguenza sta nel fatto che le attività che i Salesiani coadiutori svolgono non sono una specie di apostolato indiretto, ma una partecipazione viva e cosciente all’apostolato diretto della propria comunità. Il vangelo lo si annuncia perché venga vissuto; e vivere il vangelo vuol dire inserire nelle relazioni interpersonali i valori che propone.

Il Salesiano coadiutore che nel compiere il suo ufficio fa in [p. 124] modo che i suoi rapporti con quanti lavorano con lui o sono oggetto del suo servizio siano improntati a rispetto, comprensione, vivo senso di giustizia e a sincera carità fraterna, trasforma la sua attività in apostolato poiché vive il vangelo, lo testimonia coi fatti e lo irradia con il suo comportamento.

Con ragione il CG21 sottolinea «la necessità di confermare ed esplicitare la dimensione apostolica del lavoro e dell’azione educativa del Salesiano coadiutore,evitando una visione unicamente professionale della sua attività».[122] 


2.5.3 Il «mondo del lavoro», campo d’azione privilegiato per il salesiano laico 

Alcune attività, per loro natura e per l’ambiente socioculturale in cui si svolgono, possono risultare più confacenti e significative per l’identità laicale del Salesiano coadiutore. A patto che egli le svolga da religioso salesiano laico e, quindi, come espressione del suo essere sempre e dovunque membro attivo di una comunità educatrice ed evangelizzatrice. Sull’argomento è intervenuto in modo particolare il CG21.

«Se si guarda l’importanza e l’incidenza che il ‘mondo del lavoro’ ha in molte nazioni, appare chiaro che le attività concernenti l’area del lavoro risultano non le uniche ma certo fra le più significative per l’azione apostolica del Salesiano coadiutore in quelle zone».[123]

«Già Don Bosco, con la sensibilità propria del suo tempo, aveva sottolineato che uno dei compiti caratteristici del Salesiano coadiutore doveva essere quello di animare cristianamente il mondo del lavoro di cui aveva colto alcuni valori sempre attuali: il carattere di ascesi e di severa autodisciplina; la testimonianza e l’efficacia apologetica di religiosi lavoratori di fronte a un’opinione pubblica particolarmente sensibile al significato del lavoro».[124]

Oggi il «mondo del lavoro», per la natura che lo caratterizza e [p.125] per la riflessione che ha provocato a partire dalla «Rerum novarum» di Leone XIII e dalla «Quadragesimo anno» di Pio XI, alla «Mater et magistra» di Giovanni XXIII, alla «Gaudium et spes» del Vaticano II, alla «Populorum progressio» di Paolo VI, alla «Laborem exer-cens» e alla «Sollicitudo rei socialis» di Giovanni Paolo II, ha fatto un lungo cammino.

Si presenta come un vasto e complesso fenomeno che fa emergere numerose categorie sociali, con caratteristiche proprie, interdipendenti tra loro, spesso attraversate da tensioni e conflitti. È sorgente di diritti e di rispettivi doveri. Esso crea nuovi modelli culturali e forgia nuovi tipi di umanità. È un potente fattore di sviluppo per la persona. Situazioni di sfruttamento, di emarginazione e di disoccupazione o di parziale occupazione pongono gravi problemi educativi e pastorali specialmente nell’ambito giovanile.

Per i cristiani è un luogo dove si può vivere ed esprimere una spiritualità specifica. Con il lavoro infatti il fedele partecipa all’opera del Creatore, segue Cristo, «l’uomo del lavoro», ne condivide il cammino doloroso segnato dalla croce, ma sorretto dalla certa speranza della risurrezione.[125]

Il Salesiano coadiutore ricorda costantemente a tutta la comu­nità le urgenti e comuni responsabilità verso il mondo del lavoro. 


2.5.4 Uno specifico contributo all’apertura secolare della Congregazione 

Il contributo, mediante il quale i Salesiani laici fanno assumere alla nostra società caratteristici tratti secolari compatibili con lo spirito religioso è davverorilevante.

Si può costatare come le loro attività e funzioni di cui si dirà più ampiamente in tema di formazione, sono per lo più secolari, comuni cioè a quelle che solitamente svolgono le persone nel secolo. Le opere in cui lavorano, salesiane o non salesiane che siano, hanno carattere prevalentemente profano. Sono scuole tecniche e professionali, centri giovanili, opere educative e culturali e sono ormai largamente aperte all’ambiente socio-culturale in cui sono inserite. [pag. 125]

Esigenze poi di lavoro e di presenza tra i giovani comportano l’inserimento in alcune condizioni di vita che sono proprie dei secolari, con ampie possibilità e convenienza di collaborazione con loro, con i collaboratori laici, con i genitori degli alunni, con la più o meno vasta clientela delle molte opere.

Di più, dovendo a volte raggiungere i giovani e i ceti popolari nel loro ambiente al fine di essere loro vicini, di amarli in Cristo, di sollevarne l’indigenza, facendo proprie le loro legittime aspirazioni per una società più umana, i Salesiani laici sono portati da questo stesso servizio a vivere in una condizione secolare e ad animarla cristianamente.

In sintesi, la secolarità dei Salesiani coadiutori, anche se per la loro qualifica di religiosi è necessariamente limitata, rimane tuttavia per altri aspetti assai larga e sovente molto più ampia di quella consentita ai Salesiani preti. «Vi sono cose — affermava Don Bosco parlando ai Confratelli coadiutori — che i preti e i chierici non pos­sono fare e le farete voi»:[126] sono appunto quelle che la condizione del Salesiano laico consente e abilita a compiere.[127] 


2.6 ALCUNI TRATTI DELLA VITA SPIRITUALE DEL SALESIANO COADIUTORE 

Con l’espressione «vita spirituale» intendiamo riferirci al modo concreto con cui il credente accoglie, sperimenta, matura e vive la presenza in lui dello Spirito Santo. Così intesa, la vita spirituale è l’insieme di quegli atteggiamenti interiori e dei comportamenti esteriori con cui il cristiano vive la sua specifica vocazione apostolica nella Chiesa e nel mondo, docile all’azione dello Spirito del Signore. 


2.6.1. Vita spirituale è vivere lo spirito salesiano 

Nella Chiesa vi sono molti modi di vivere un’autentica vita spirituale [pag. 127] conforme al vangelo. Per noi, figli di Don Bosco, vita spirituale fa immediato riferimento allo spirito salesiano, cioè allo stile originale di vita e di azione vissuto dal nostro Fondatore e trasmesso a noi in preziosa eredità.

Non è tanto una dottrina (è anche questo, ovviamente), ma piuttosto quell’insieme di atteggiamenti e comportamenti che i discepoli di Don Bosco assumono ed esprimono vivendo e lavorando per l’attuazione del suo progetto apostolico.[128]

Il Salesiano coadiutore è chiamato a vivere e a testimoniare nella comunità un’esperienza evangelica che risponda alla sua specifica forma vocazionale. È chiamato a vivere lo spirito salesiano da Confratello laico.

In sintonia con le linee portanti dello spirito salesiano, il centro e la sintesi della vita spirituale del Salesiano coadiutore «è la carità pastorale caratterizzata da dinamismo giovanile […]; è uno slancio apostolico che fa cercare le anime e servire solo Dio».[129]

Ispirandosi agli esempi e agli insegnamenti del suo Fondatore e padre, egli «trova nel cuore stesso di Cristo, apostolo del Padre», «il modello e la sorgente» di tutta la sua vita spirituale e apostolica. È riconoscente al Padre, perché chiama tutti alla salvezza; è consapevole di partecipare alla predilezione di Cristo per i giovani poveri; è cosciente di essere un collaboratore di Dio, uno strumento umile, ma anche necessario ed efficace; nel suo agire fa proprio «l’atteggiamento del Buon Pastore che conquista con la mitezza e il dono di sé»; ha un radicato senso della fraternità umana e vive in comunione fraterna con tutti, sull’esempio del Signore Gesù.[130]

Operando, da Salesiano laico, per la salvezza della gioventù, «fa esperienza della paternità di Dio e ravviva continuamente la dimensione divina della sua attività. […] Coltiva l’unione con Dio, avvertendo l’esigenza di pregare senza sosta in dialogo semplice e cordiale con il Cristo vivo e con il Padre che sente vicino. È attento alla presenza dello Spirito».[131]

Svolge la missione apostolica, vive la comunione fraterna e pratica i consigli evangelici «in un unico movimento di carità verso Dio e verso i fratelli»: è il ‘da mihi animas’ che ha caratterizzato la vita e l’attività del suo Fondatore e la sua maniera di contemplare Dio; è il modo concreto con cui, sull’esempio di Don Bosco, il Confratello coadiutore incontra Dio che opera nelle persone e si manifesta negli avvenimenti per la salvezza dell’umanità.[132] 


2.6.2 Il Salesiano coadiutore vive, da salesiano laico, gli atteggiamenti e i comportamenti propri dello spirito salesiano 

A. Vive con gioia e riconoscenza la sua vocazione salesiana

Cosciente del prezioso dono della vocazione, è riconoscente al Padre. La vive con gioia da Salesiano laico: la considera un valore positivo e completo, significativo ed essenziale per la Congregazione.[133]

Consapevole della sua responsabilità, si affida alla fedeltà di Dio che lo ha amato per primo e rinnova quotidianamente la sua risposta alla speciale Alleanza che il Signore ha sancito con lui nella professione religiosa. Ne fa l’unica ragione della sua vita, l’unico cam­mino di santificazione.[134]

B. Vive in comunione di spirito e d’azione con i Salesiani preti

Chiamato a partecipare con i Confratelli preti all’attuazione del comune progetto apostolico e a vivere con loro una vita di fraternità, di lavoro e di preghiera, ha «il senso del noi» e identifica se stesso con la vita della comunità.

Mosso da questa convinzione, si impegna a far sì che la sua vita spirituale e la sua azione apostolica siano caratterizzate da rapporti di intima comunione e di fattiva collaborazione con i Salesiani preti.[135] [pag. 129]

È attento ad eliminare dal suo modo di pensare, di parlare e di agire ogni mentalità, gesto o espressione che riveli, in qualunque modo, o senso di disagio e di recriminazione o, peggio, risentimento e avversione. È generoso nel perdonare e nel dimenticare disattenzioni e torti subiti.[136]

Esprime in modo pratico il suo vivo senso della Chiesa come famiglia in cui tutti sono figli dello stesso Padre, fratelli dell’unico Signore e ugualmente responsabili, sebbene con ministeri e ruoli diversi, nell’edificare il Corpo di Cristo e nel diffondere il suo Regno.[137]

Ha coscienza dell’originalità del suo contributo e, per questo, del bisogno di essere aiutato.[138]

C. Vive nel «mondo del lavoro» alcuni valori dello spirito salesiano

Il «mondo del lavoro» è di solito il campo privilegiato della sua azione apostolica. Inserito in esso, viene a contatto con fenomeni che caratterizzano questo «mondo»: la solidarietà, la concretezza, l’adattamento, le varie forme di tensione e di conflittualità.[139]

Tutto ciò gli consente di fare esperienza personale e particolare di alcuni valori dello spirito salesiano e di testimoniarli in quegli ambienti: il senso del concreto e delle urgenze, lo spirito di iniziativa e di creatività, la capacità critica, la fattiva solidarietà, lo spirito di famiglia.[140]

D. Vive vicino ai giovani e ai fedeli laici con ottimismo, operosità e temperanza

La sua condizione laicale e il tipo di lavoro, che di solito svolge, gli consentono di essere vicino ai giovani e ai fedeli laici con una vicinanza caratteristica.[141]Pratica in modo originale lo stile salesiano [pag. 130] di relazioni: la semplicità, l’apertura e la cordialità, la delicatezza del tratto. E coltiva le virtù sociali, raccomandate dal Vaticano II ai fedeli laici: «la probità, lo spirito di giustizia, la sincerità, la cortesia, la fortezza d’animo», «l’arte del convivere e del cooperare fraternamente e del saper dialogare».[142]

Il tipo di lavoro a cui si dedica lo avvicina alla creazione, alla tecnica, all’arte e lo stimola a praticare l’ottimismo salesiano. Sa cogliere e accogliere con riconoscenza i valori terrestri; ammira la creazione e il potere che Dio in essa affida all’uomo; gioisce per i successi del progresso scientifico e tecnologico. D’altra parte è ben consapevole che purtroppo tale progresso non è sempre accompagnato da un corrispondente sviluppo umano, morale e religioso. Assume allora atteggiamenti illuminati e pratici di critica, senza indulgere al pessimismo, alla sfiducia e al disimpegno. Di fronte alle difficoltà e ai problemi che incontra nel suo lavoro sa essere sereno e sempre lieto.[143]

Seguendo l’esempio di Don Bosco, «si dà alla sua missione con operosità instancabile, curando di fare bene ogni cosa con semplicità e misura. Con il suo lavoro sa di partecipare all’azione creativa di Dio e di cooperare con Cristo alla costruzione del Regno.

La temperanza rafforza in lui la custodia del cuore e il dominio di sé e lo aiuta a mantenersi sereno. Non cerca penitenze straordinarie, ma accetta le esigenze quotidiane e le rinunce della vita apostolica: è pronto a sopportare il caldo e il freddo, la sete e la fame, le fatiche e il disprezzo, ogni volta che si tratti della gloria di Dio e della salvezza delle anime».[144]

«Nell’operosità di ogni giorno si associa ai poveri che vivono della propria fatica e testimonia il valore umano e cristiano del lavoro».[145] [pag. 131]

E. Vivendo e lavorando secondo lo spirito salesiano celebra la liturgia della vita

Consacrato dallo Spirito, il Salesiano coadiutore diventa tempio spirituale, partecipe del sacerdozio di Cristo e abilitato a offrire a Dio, come «sacrificio spirituale», tutto se stesso, le sue opere, le iniziative apostoliche, il lavoro giornaliero, il sollievo spirituale e corporale, le stesse molestie della vita.[146]

In questo suo vivere e operare è impegnato a raggiungere «quella operosità instancabile, santificata dalla preghiera e dall’unione con Dio, che dev’essere la caratteristica dei figli di san Giovanni Bosco», e a celebrare dunque la sua vita come liturgia.[147]

F. Vive in modo caratteristico la sua devozione a Maria

La professione religiosa ha «la forza di maggiormente conformare il cristiano al genere di vita verginale e povero che Cristo Signore scelse per sé e che la vergine Madre sua abbracciò».[148] Così dichiara la «Lumen gentium». E l’«Apostolicam actuositatem» aggiunge che i laici trovano in Maria il «modello perfetto della loro vita spirituale e apostolica».[149]

In Lei sono presenti, a livello di perfezione, la dimensione religiosa e quella laicale. L’imitazione e la sintonia diventano due esigenze della forma vocazionale del Salesiano coadiutore. Venera filialmente Maria come Ausiliatrice e madre della Chiesa, imitando l’intimità apostolica di Don Bosco. 


2.6.3 Lo spirito del Fondatore, luogo di unità 

Le due forme vocazionali, quella del Salesiano prete e del Salesiano laico, e la loro conseguente spiritualità sono costituzionalmente proprie a discepoli che lo Spirito Santo ha voluto che nascessero per Don Bosco e la sua missione.

La realtà che consente ai Salesiani coadiutori e preti di unificare, [pag. 132] a livello di riflessione e di vita, le loro distinte spiritualità, laicale l’una e presbiterale l’altra, è lo spirito salesiano. Il CGS lo descriveva come «il nostro proprio stile di pensiero e di sentimento, di vita e di azione nel mettere all’opera la vocazione specifica e la missione che lo Spirito non cessa di darci».[150]

Lo spirito salesiano non solo comprende e informa la spiritualità religiosa laicale e presbiterale, ma le costruisce in un progetto unitario con caratteristiche salesiane. Questo ruolo unificante e specificante è stato acutamente intuito da don Rinaldi: «La nostra santità, scriveva, non è tanto nella pratica del sistema di vita abbracciata con la professione salesiana e neanche nella sola imitazione delle virtù del nostro Padre, ma nel far sì che la vita salesiana da noi abbracciata, che l’imitazione delle virtù paterne siano animate dallo spirito di cui viveva e con il quale esercitava le virtù Don Bosco medesimo».[151] 


2.6.4 I testimoni eroici di santità salesiana laicale 

I lineamenti di vita spirituale fin qui tratteggiati non sono un ideale astratto. Sono valori vissuti concretamente da quei Salesiani coadiutori che sono stati e sono fedeli a Don Bosco.

Merita di essere qui trascritta un’autorevole dichiarazione del CG21: «La profondità della vita spirituale — vi si legge — tocca il suo vertice e si fa ricchezza per tutta la Congregazione quando, a imitazione di Don Bosco, si raggiunge la perfezione’ della carità in grado eroico. Abbiamo motivi sufficienti per credere che questo dono è stato concesso a non pochi Salesiani coadiutori. Ogni con­fratello ha presente qualche figura che ha realizzato questa pienezza in luoghi diversi e in svariate situazioni, anche le più nascoste e sacrificate. Molti sono entrati nella storia della Congregazione; alcuni di essi, martiri per la fede o eroi nella carità, sono candidati alla glorificazione dei santi.

Queste testimonianze ci offrono una prova ulteriore della ric­chezza carismatica contenuta nella vocazione salesiana laicale».[152]



[1] Cf. DESRAMAUT F., Problemi di identità salesiana, in F. DESRAMAUT-M. MIDALI (a cura), La vocazione salesiana. (Torino Elle Di Ci 1982) 19-59.

[2] Cf. VIGANÒ E., La componente laicale della comunità salesiana, in ACS 298 (ottobre-dicembre 1980) 34-38; ID., La Società di san Francesco di Sales nel sessennio 1978-1983. Relazione del Rettor Maggiore (Roma 1983) 237s.

[3] Cf. VIGANÒ E., La componente laicale…

[4] Cf. es. ACGS specialmente il documento 2 intitolato Don Bosco nell’Oratorio criterio permanente di rinnovamento dell’azione salesiana, (nn. 192-273).

[5] Cf. VIGANÒ E., La componente laicale… 16; ID., La società di san Francesco di Sales…, 237s.

[6] VIGANÒ E., La Società di san Francesco di Sales, 237s.

[7] C. 4.

[8] C. 45, 116, 45, 106.

[9] C. 4.

[10] Per un commento autorevole di questo asserto ci si può riferire al volume Il progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco.

[11] Cf. ACGS 184; ACG21 206; VIGANÒ E., La componente laicale della comunità salesiana 39s; ID., La Società di san Francesco di Sales…, 236-238.

[12] Cf. STELLA P., Don Bosco nella storia economica e sociale. 1815-1870. (Roma Las 1980).

[13] Cf. AG 4.

[14] Cf. EN 63.

[15] Cf. LG 13.

[16] EN 28.

[17] C 33.

[18] ACG21 171; ACG22 p. 148.

[19] C5.

[20] ACGS 151.

[21] C 44.

[22] Cf. ACG21 171.

[23] Cf. C 22, 23, 45, 46, 52.

[24] MB 12, 152.

[25] ACS 40, p. 574.

[26] ACS 55, p. 915.

[27] Cf. C 65-66, 76-77, 79.

[28] Cf. C 85-95.

[29] C 24, 52, 49, 63.

[30] C 40.

[31] MB 10, 889.1308.

[32] Cf. VIGANÒ E., La componente laicale…, 30-32.

[33] ACS 17 (1923)41.

[34] ACG21 179.

[35] VIGANÒ E., La componente laicale…, 10.

[36] GS 36b.

[37] Ivi.

[38] Cf. GS 36b.

[39] GS 43a.

[40] GS 36c.

[41] GS 21c, 36b.

[42] GS 36c.

[43] LG 31a. Cf. CFL 9-14.

[44] LG9b, 1.

[45] AA 5.

[46] GS 2. Cf. CFL 15.

[47] AA 1a che rimanda a LG 30 e 33.

[48] Cf. LG 31b; GS 43bcd; Cf. CFL 15.

[49] Cf. LG 31b; AA 2b, 6-8, 11-14: AG 32. Cf. CFL 15.

[50] Ivi.

[51] Cf. LG 31; Cf. CFL 15.

[52] Cf. AA 4.

[53] PC 11a.

[54] Si vedano le Costituzioni delle VDB.

[55] LG 46b.

[56] CIC c. 588 par. 3.

[57] ACGS 174.

[58] C 3.

[59] C 24.

[60] ACGS 149.

[61] Cf. C 2.

[62] C 45.

[63] Cf. ACGS21 178 dove è riportato il testo di ACGS 149.

[64] C 3.

[65] ACG21 178.

[66] Ivi.

[67] Ivi.

[68] C 45.

[69] MB 12, 151.

[70] C 44.

[71] Cf. LG 7c, 12b.

[72] PC 10a.

[73] Cf. PC 8ab.

[74] ACS 40, p. 574.

[75] Ibidem.

[76] ACG21 173.

[77] Cf. ACS 40, p. 575-577.

[78] ACG21 173.

[79] Cf. VIGANÒ E., La Società di san Francesco di Sales…, 322.

[80] MB 13, 82s.

[81] Cost. 1875, II 1.

[82] ET 11; MR 11.

[83] C 22.

[84] Cf. ACG21 194.

[85] VIGANÒ E., La componente…, 7.

[86] ACG21 196.

[87] Ibidem.

[88] Ivi.

[89] Cf. Il progetto di vita dei Salesiani…, p. 384.

[90] Cf. ACG21 195.

[91] Ivi.

[92] ACG21 196.

[93] Ivi.

[94] Ivi.

[95] C 4.

[96] ACS (1927), p. 621.

[97] ACG19, p. 65.

[98] ACG21 197-198.

[99] Cf. VIGANÒ E., La componente laicale…; ID., La Società di san Francesco di Sales…, 320-322; CG22 79-82.

[100] VIGANÒ E., La componente laicale…, 14.

[101] VIGANÒ E., La Società di san Francesco di Sales…, 322; CG22 81.

[102] Cf. ACG21 192.

[103] Cf. C 44, 45, 51, 66, 176, 178-179.

[104] Cf. C 161, 163-166, 169.

[105] Cf. C 170-174.

[106] Cf. C 145-151.

[107] Cf. C 141.

[108] Cf. C 44, 45, 51, 66.

[109] Cf. C 120, 122-124.

[110] Cf. C 121.

[111] Ib.

[112] Il progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco, 104s ed anche 808-811.

[113] AG 2a; v. anche AG 35; LG 9b, 17.

[114] AA 2a.

[115] PO 2a; v. anche LG 13ab, 17, 30, 32a; AG 5, 6g, 10, 35-37.

[116] LG 30 ed anche 32c.

[117] Cf. LG 10-12, 34-36; AA 2b, 3a.

[118] Cf. C 6, 31.

[119] Cf. Ivi.

[120] Cf. AA 2a.

[121] Cf. GS 67, 72.

[122] ACG21 182.

[123] ACG21 183.

[124] Ivi.

[125] Cf. ad es. LE 25-27.

[126] MB 16, 313.

[127] Cf. VIGANÒ E., La componente laicale…, 17, 26, 31-34.

[128] Cf. C 12.

[129] Ivi.

[130] cf. cu.

[131] C 12.

[132] C3, 12, 19, 21, 95.

[133] V. sopra al n. 3.2.1.

[134] Cf. C 196, 14, 2, 22.

[135] Cf. C 16, 44, 45, 49-52.

[136] Cf. C 52, 90.91.

[137] Cf. C 4, 13, 57.

[138] Cf. C44, 45, 49-51.

[139] V. sopra al n. 25.4.

[140] Cf. C 19, 18, 79.

[141] V. sopra al n. 25.4.

[142] Cf. C 15-17.

[143] Cf. e 17, e quanto si è detto ai nn. 4.1, 5.4.2.

[144] C 18.

[145] C 78.

[146] Cf. LG 10a, 34b.

[147] C 95.

[148] LG 46b; PC 25.

[149] AA 4 al termine.

[150] ACGS 86.

[151] ACS 10 (1929), p. 733.

[152] ACG21 191.

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